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Case Green, il governo prova a evitare lo scontro con l’Ue: la maggioranza chiede di togliere gli incentivi per le caldaie a gas #finsubito prestito immediato


Le imprese del settore avevano definito «una doccia fredda» la manovra del governo. Ora un emendamento di Forza Italia e FdI invita l’esecutivo a correggere il tiro

Il governo italiano cerca di evitare lo scontro con l’Unione europea sulla direttiva Case Green. Il disegno di legge di bilancio per il 2025, redatto dal governo di Giorgia Meloni e ora al vaglio del parlamento, aveva mandato in agitazione le aziende che si occupano di caldaie e sistemi di riscaldamento. Il motivo? Nella bozza preparata dal ministro Giancarlo Giorgetti non c’è traccia del tanto annunciato riordino dei bonus edilizi. Anzi, il governo prevede di continuare a incentivare i sistemi di riscaldamento alimentati a combustibili fossili anche il prossimo anno. C’è solo un problema: questa proroga è in aperto contrasto con quanto prevede la direttiva europea sull’efficientamento energetico degli edifici, che impone agli Stati membri di eliminare ogni incentivo alle caldaie a gas entro il 1° gennaio 2025.

L’emendamento di Fi e FdI

In caso di mancata ottemperanza, il governo rischia di andare incontro a una procedura di infrazione europea. Ed è proprio per scongiurare questo scenario che un gruppo di parlamentari della maggioranza ha depositato un emendamento alla legge di bilancio. Una mossa che risponde a un duplice obiettivo: rimettere l’Italia in carreggiata rispetto alle prescrizioni della direttiva Case Green ed evitare lo scontro con Bruxelles. La proposta prevede di escludere dall’Ecobonus gli impianti di climatizzazione invernale con caldaie alimentate a combustibili fossili e porta la firma, tra gli altri, dei deputati Pella e Cannizzaro (Forza Italia), Mantovani (Fratelli d’Italia) e alcuni esponenti del Movimento 5 stelle. L’emendamento permetterebbe dunque di mantenere gli incentivi solo per sistemi di riscaldamento non alimentati a gas, come pompe di calore o riscaldamento a pavimento.

Come cambiano i bonus edilizi

Il ministero dell’Ambiente è al lavoro da tempo su una riforma delle detrazioni per l’efficientamento energetico degli edifici. Una misura più che mai necessaria per permettere all’Italia di raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati in sede europea. Di questa riforma, però, ancora non c’è traccia. E la manovra economica del governo, ora al vaglio del parlamento, prevede ben poche novità per i bonus edilizi. Resta invariato il Bonus Casa, relativo agli interventi edilizi semplici, per cui si può richiedere una detrazione del 50%. Scende invece lo sgravio previsto per l’Ecobonus, ossia l’agevolazione fiscale pensata per incentivare i lavori di efficientamento energetico: non più 65%, come previsto nel 2024, ma 50% per le abitazioni principali o 36% per le seconde case.

I timori delle aziende del settore

La decisione del governo, contenuta nel disegno di legge di bilancio, di mantenere l’incentivo del 50% anche per chi installa un sistema di riscaldamento o uno scaldabagno alimentato a metano aveva creato non poca preoccupazione tra gli addetti ai lavori. «L’Italia ha siglato obiettivi al 2030 che sono ambiziosi. Siamo sicuri che con questa legge di bilancio saremo in grado di raggiungerli? A nostro avviso, no», avverte Federico Musazzi, responsabile di Assoclima e Assotermica, le due associazioni di categoria dei produttori di caldaie, pompe di calore e climatizzatori. «La manovra per noi è stata una doccia fredda. Questa mancanza di chiarezza ha ripercussioni anche economiche», osserva Roberto Cortese, manager di Vaillant Group Italia, tra le aziende leader del settore. La speranza degli addetti ai lavori è che gli emendamenti presentati da maggioranza e opposizioni rimettano l’Italia in carreggiata e non portino a uno scontro con l’Europa. «Quando abbiamo letto il disegno di legge di bilancio la sorpresa è stata grossa, anche perché alcune linee di indirizzo erano contenute nel Piano energia e clima del governo e andavano in tutt’altra direzione», dicono ancora Musazzi e Cortese.

Cosa dice la direttiva «Case Green»

La direttiva Epbd, ribattezzata in Italia «direttiva Case Green», vieta a partire dal 1° gennaio 2025 la possibilità per gli Stati membri di incentivare i sistemi di riscaldamento alimentati con combustibili fossili. Nelle scorse settimane, la Commissione europea ha pubblicato una serie di linee guida su come applicare quel divieto. I sussidi per le caldaie a gas, spiega l’esecutivo comunitario nel documento, saranno leciti solo se destinati a sistemi ibridi con una «quota considerevole» di energia rinnovabile.

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L’alternativa alle caldaie tradizionali

Le istituzioni europee hanno indicato chiaramente qual è la tecnologia principale che sostituirà gradualmente i sistemi di riscaldamento alimentati a gas. Si tratta delle pompe di calore, che a differenza delle caldaie tradizionali sono alimentati a elettricità, anziché a gas, e permettono dunque di ridurre notevolmente l’impronta ecologica degli edifici. Il problema, un po’ come avviene per le auto elettriche, è il prezzo. Se una caldaia a condensazione di media fascia costa intorno ai 2mila euro, per una pompa di calore il prezzo lievita fino a 8-9mila euro, installazione esclusa. Una differenza tutt’altro che trascurabile, che i governi potrebbero appianare tramite appositi incentivi. Ed è proprio in questo senso che va letta la novità introdotta con la direttiva Case Green di spostare, a partire dal 2025, tutti i sussidi pubblici verso i sistemi di riscaldamento più ecologici, così da accelerare la decarbonizzazione del parco immobiliare europeo.

Il rischio di procedura d’infrazione

Gli stati membri hanno tempo fino a metà 2026 per recepire la direttiva Case Green nel proprio ordinamento. Ma alcuni articoli del provvedimento europeo, a partire proprio dallo stop agli incentivi alle caldaie a gas, entrano in vigore già dal prossimo anno. Se la legge di bilancio proposta dal governo italiano dovesse confermare la volontà di tirare dritto sui sussidi per i sistemi di riscaldamento a metano, l’Italia andrebbe incontro con ogni probabilità a una procedura d’infrazione europea. Le possibili sanzioni partono da un minimo di 7 milioni di euro, a cui ne vanno aggiunti da 8.500 a 510mila per ogni giorno di ritardo nell’applicazione del divieto.

In copertina: Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen durante un incontro a Bruxelles, 3 novembre 2022 (EPA/Stephanie Lecocq)



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