Le categorie maggiormente coinvolte comprendono artigiani, esercenti, commercianti e piccoli imprenditori che, a causa dell’insolvenza, sono stati segnalati alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Questa condizione impedisce loro di accedere a nuovi finanziamenti, aggravando la loro vulnerabilità economica.
Le aree più colpite
A livello provinciale, il fenomeno colpisce maggiormente le grandi città. Roma guida la classifica con 10.827 aziende insolventi, seguita da Milano (6.834), Napoli (6.003), Torino (4.605) e Firenze (2.433). Tuttavia, i peggiori aumenti percentuali si registrano in città di medie e piccole dimensioni: Benevento (+17,3%), Chieti (+13,9%), Savona (+12,4%), Rieti (+11,8%) e Lecce (+11,4%).
Il Sud Italia si conferma l’area più fragile, con 39.538 aziende in difficoltà, pari al 33,6% del totale nazionale. Seguono il Nordovest (29.471), il Centro (29.027) e il Nordest (19.677), con percentuali che riflettono un divario economico ormai strutturale.
Il crollo dei prestiti alle imprese
Dal 2011 ad oggi, le aziende italiane hanno perso l’accesso a ingenti finanziamenti bancari. Nel 2011, i prestiti erogati alle imprese ammontavano a 1.017 miliardi di euro; oggi sono scesi a 667 miliardi, segnando una perdita di 350 miliardi (-52,4%).
Dopo un lieve aumento durante la pandemia, che aveva portato lo stock a 757,6 miliardi nell’agosto 2022, si è assistito a una nuova contrazione. La riduzione del credito rappresenta una delle cause principali delle difficoltà finanziarie delle imprese, che si trovano senza risorse per sostenere la propria operatività e investimenti.
Una crisi che mina il tessuto imprenditoriale
Questa situazione evidenzia non solo una crisi economica diffusa, ma anche la difficoltà del sistema bancario nell’offrire sostegno al tessuto imprenditoriale. Il rischio usura cresce, soprattutto tra le piccole imprese che, escluse dal credito tradizionale, possono diventare preda di fenomeni illegali.
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