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Da mesi ormai su Milano è calato il sipario. La città dei mille cantieri pare essersi arrestata: un vero e proprio “stallo urbanistico” dal quale apparentemente non si riesce più a uscire, soprattutto per l’incertezza sulle procedure da seguire a seguito degli eventi degli ultimi mesi, che di fatto hanno paralizzato gli operatori privati del settore edilizio così come anche l’amministrazione comunale. Il Governo ci aveva provato a sbloccare la situazione con una norma proposta assieme al decreto cosiddetto “Salva-casa” che alla fine è stata stralciata. Un’inattesa battuta d’arresto, dato che non è passata in Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati, e l’ormai famosa “Salva Milano“, che avrebbe dovuto risolvere l’intricato nodo normativo-giudiziario, è rimasta lettera morta. Il Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ora pare voglia comunque rilanciare la norma che afferma possa mettere fine al caos urbanistico milanese dopo le inchieste portate avanti dalla Procura sui presunti abusi edilizi nel capoluogo lombardo.

Come riportato pure in diversi nostri articoli passati, alcune inchieste della Procura di Milano stanno esaminando da mesi le possibili errate interpretazioni del Comune nell’attuazione di norme edilizie che prevedevano l’avvio lavori tramite SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), anzichè Permesso a Costruire, per la realizzazione di progetti immobiliari anche di grande entità. In questo momento pare siano 150 i progetti bloccati a seguito di quanto sta accadendo, in attesa che si faccia chiarezza.

Gli uffici tecnici del Comune affermano che le procedure sono state corrette, mentre, per gli inquirenti, alcune concessioni andavano gestite in maniera diversa e affermano, tra le altre cose, che gli oneri di urbanizzazione pagati avrebbero dovuto essere superiori.

Perciò, con questa ricerca dell’errore e del colpevole, la situazione pare essersi bloccata o perlomeno rallentata. I funzionari comunali volevano inizialmente essere trasferiti in massa dagli uffici tecnici, dato che temevano di essere indagati per l’applicazione di queste controverse normative rispetto ai documenti che passavano per le loro mani e chiedono tutt’ora che la cosa si chiarisca al più presto per essere tutelati nello svolgimento delle loro mansioni. La questione, detta in maniera semplice (anche se in realtà è molto complicata) è che progetti di demolizione e ricostruzione con bonus volumetrici sono stati trattati come semplici ristrutturazioni edilizie. Il Comune di Milano afferma che la normativa vigente, sia nazionale che regionale, vincola a considerare questi interventi alla stregua di ristrutturazione edilizia e per questo i suoi funzionari hanno operato in tal senso.

Tutto ha avuto origine con l’inchiesta per la costruzione del complesso “Hidden Garden” di piazza Aspromonte (12 indagati) costruito al posto di un edificio pre-esistente all’interno di una specie di ampia corte, seguita dall’inchiesta per la demolizione della palazzina liberty di piazza Trento e dall’avvio della demolizione delle palazzine liberty di via Lamarmora. Ma non solo, a seguire l’inchiesta sta rovistando tra le carte per la costruzione della Torre Milano (24 piani e 82 metri di altezza) di via Stresa, le Park Towers di Bluestone, a ridosso del Parco Lambro, il cantiere di via Lepontina all’Isola e il cantiere Bosconavigli a San Cristoforo, progettato dallo studio di Stefano Boeri. A queste, si aggiunge la recente notizia che vede indagati i costruttori del controverso progetto di Lac al Parco delle Cave di Baggio, con sequestro del cantiere.

Molti esultano a questo stop dei cantieri un po’ in tutta la città (anche se il rischio è trovarci con ecomostri abbandonati per anni), ma altri vedono il rischio che gli investitori, sopratutto quelli internazionali, che movimentavano il mercato milanese, si chiedano se valga ancora la pena operare a Milano.

Naturalmente, meno cantieri significa anche meno soldi nelle casse del Comune, quindi meno opere comunali nei settori più disparati, come il verde pubblico, l’arredo urbano e le infrastrutture. Una cosa che potrebbe mettere in forse centinaia di interventi. Insomma, un blocco che spiazza l’economia della città, dato che si calcola che vi potrebbero essere più di 130 milioni di euro di mancati introiti. C’è da precisare, però, che anche la fine del superbonus edilizio ha condizionato il mercato, non avendo più centinaia di piccole e grandi operazioni di riqualificazione energetica che anche hanno contribuito a riempire le casse comunali.

Molti speravano nel cosiddetto emendamento “Salva Milano”, ora rinviato a chissà quando, per fare riprendere il settore. Chi lavora nel campo edilizio sta già subendo danni incalcolabili. Gli effetti ricadono sia sugli attori direttamente coinvolti, come gli sviluppatori, sia sui professionisti, come architetti e ingegneri, sia sulle imprese edili. Ma le conseguenze toccano anche gli equilibri del mercato immobiliare, col rischio che l’Italia stessa perda competività con altri mercati, dove maggiori garanzie e tempi di realizzazione certi permettono agli operatori di investire in modo più sicuro (quello immobiliare rimane comunque un investimento ad alto rischio, anche in condizioni ottimali).

Alla base di tutto ciò, come dicevamo, vi è una normativa che, in alcuni casi, potrebbe essere soggetta a interpretazioni e la coesistenza di norme obsolete, spesso in contrasto con gli strumenti attuativi locali, ma che sono ancora in vigore, generando così contraddizioni.

Sembra assurdo, infatti, che una “ristrutturazione edilizia” preveda la demolizione integrale dell’immobile per costruirne uno ex-novo. E lasciano perplesse le situazioni dove al posto di un capannone industriale abbandonato si possa erigere poi un condominio di 10 piani, pagando peraltro meno oneri di urbanizzazione, anche se superiori a una semplice ristrutturazione, piuttosto che dichiarare una nuova edificazione a seguito di un permesso a costruire.

Però, lo diciamo chiaramente, senza volere dare l’interpretazione autentica della norma e vestirci di un’autorità che non abbiamo, se ci si mette a leggere il testo della normativa pare che dica esattamente quello. Per quanto contraddittorio possa sembrare, una ristrutturazione può prevedere la completa demolizione dell’edificio e la sua ricostruzione fuori sagoma, applicando eventuali bonus volumetrici ove previsti.

Riportiamo qui di seguito uno stralcio del Dispositivo dell’art.3 del Testo Unico Edilizia in modo che ciascuno possa trarne le proprie conclusioni: « […]Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento puo’ prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.[…] »

Rimane il fatto che semplice “ristrutturazione edilizia” è considerato anche un intervento dove ci si limiti a rifare pavimenti, tubature e intonaci. Per cui la legge è per lo meno generosa nella sua definizione.

Certo le città devono andare avanti e convertire stabili dismessi, sia residenziali che ex industriali, piuttosto che costruire consumando nuovo suolo. La giunta Pisapia, ad esempio, aveva affrontato la questione degli edifici dismessi nell’ottica di favorirne il riuso. E sottolineamo la parola “riuso”.

Normative succesive, soprattutto di matrice regionale, ci hanno aggiunto il “carico” di bonus volumetrici (che già il comune di Milano non ha applicato secondo gli indici massimi).

In teoria, anche la normativa regionale aveva l’intenzione di favorire il recupero di aree dismesse, ma soprattuto in un’ottica più larga, sull’intero territorio regionale, dove, al di fuori di Milano, il comparto immobiliare è molto meno (diciamo) vivace e molto del patrimonio ex industriale presente in tantissime realtà rischia di marcire perennemente per i secoli a venire, dato che nessun operatore avrebbe alcun interesse a metterci mano.

Ma a Milano, dove già c’era la sua bella convenienza, una norma così ha sparigliato le carte e ci si sono buttati tutti “a pesce“.

L’amministrazione comunale non è stata in grado o non ha voluto (vedetela come vi pare) regolare in maniera adeguata questo “liberi tutti” e oggi siamo qui in balia di un futuro incerto per vicende giudiziarie intrecciate con quelle politiche, a loro volta intrecciate a quelle economiche.

Perché diciamo questo, perché secondo noi c’è stata una carenza di regolamentazione? Senza entrare nel merito della giustezza o meno della normativa e della sua applicazione, il suo prodotto urbanistico è stata la comparsa, in maniera casuale, di volumetrie importani e fuori sagoma rispetto al contesto, nei posti più disparati della città. Un disegno urbano lasciato al caso e senza progettualità, che in qualche modo andrebbe governato.

Ora il Sindaco ha deciso di prendere in mano la situazione e vedere di districare la matassa. Milano non può aspettare le decisioni di Roma, bisogna agire in fretta, ha affermato.

Infatti le parole provenienti dalla politica romana per Milano suonano, comunque, vaghe, tanto che Sala sottolinea come «non possiamo aspettare in eterno. Acceleriamo sul PGT, perché è chiaro che i tempi ormai sono veramente limitati».

L’amministrazione comunale immagina, perciò, di rivedere il Piano di Governo del Territorio (la cui discussione era comunque in agenda), anche se ancora è difficile capire come, visto che i dubbi normativi rimangono.

Prendendo spunto da questa volontà di affrontare di petto questa questione nel nuovo PGT, noi di Urbanfile vorremmo dire la nostra in merito.

Per “sanare” il passato non sappiamo cosa suggerire. Ma per il futuro, a nostro modesto parere, si dovrebbero iniziare e reintrodurre delle norme che si occupino del disegno urbano, riportandolo sotto il controllo di chi è preposto ad amministrare la città. Per esempio indicando le aree dove potere costruire in altezza (ci sono voci di corridoio a indicare che un ragionamento di questo tipo si stia già facendo) o comunque con maggiore volumetria. Queste aree dovrebbero essere quelle ad alta accessibilità, soprattutto di trasporto pubblico, e concentrazione di servizi.

Abolire i bonus volumetrici per gli edifici dismessi, dunque? O lasciarli solo per queste zone già individuate, privilegiando, quindi, alcune zone rispetto ad altre e, di conseguenza, favorendo alcuni operatori rispetto ad altri?

No, non è necessario abolire i bonus. Peraltro potrebbe non essere possibile, dato che discendono da una norma regionale, come avevamo accennato prima. Però si può fare un’altra cosa: applicare, una buona volta, in maniera estensiva la perequazione, introdotta molti PGT fa e mai pienamente applicata. Questa consente, previ accordi tra le parti, anche con il Comune o favoriti da quest’ultimo, di spostare volumetria da un ambito all’altro.

Per cui, un diritto di volumetria maturato su un edificio dismesso in una zona individuata come inadeguata ad avere alti indici di edificabilità, può essere spostato in una di quelle (auspicabilmente poche) zone dove si vuole concentrare la densità. In questo modo si può nell’ordine: non andare contro la normativa regionale, evitare che la città diventi un patchwork casuale con edifici fuori contesto che spuntano come funghi, aumentare la densità nelle zone più servite della città migliorando il funzionamento complessivo della stessa, infine migliorare (forse) l’estetica cittadina con un disegno urbano ragionato e coerente, non più casuale e disordinato.

Non pretendiamo, su un tema complesso come la normativa urbanistica, che queste nostre indicazioni possano essere veramente risolutive. Soprattutto per quanto riguarda le questioni pregresse. Ma sentivamo di voler dare comunque un contributo, condividendo le nostre visioni e le nostre speranze.

  • Referenze immaigni: Comune di Milano, Roberto Arsuffi,
  • Imprese dili, Procura, Magistratura, Urbanistica, nuove costruzioni, ristrutturazione



 

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