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Quanto pesa il lavoro domestico nella produzione di ricchezza del Paese? Quanto spendono le famiglie per integrare il welfare che non c’è? E quindi quanto le famiglie fanno risparmiare allo Stato “facendo da sé”? Le risposte a queste domande, e a molte altre, si possono trovare nel V Rapporto annuale sul lavoro domestico, promosso dall’Osservatorio Domina, che sarà presentato mercoledì alle 14 presso la Sala Nassirya del Senato. Non solo una fotografia dell’esistente, ma uno strumento per comprendere meglio su quali leve sia possibile agire per migliorare l’assistenza ai bambini e agli anziani in particolare, agevolando i compiti di cura delle famiglie e, al tempo stesso migliorare la situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese.

Domina

Nel 2022 i lavoratori domestici regolari in Italia erano 894.299 con una riduzione rispetto al 2021 del -7,9% (-76.548 lavoratori). Un decremento che è la conseguenza da un lato della fine dell’emergenza Covid che aveva favorito le assunzioni e, dall’altro, dell’esaurimento degli effetti della “sanatoria”, la norma che ha consentito la regolarizzazione di molti lavoratori domestici stranieri, e che ha riportato gli assunti regolari ai livelli del 2016. Si stima però che i lavoratori del settore siano oltre il doppio: 1,85 milioni con un tasso di irregolarità del 51,8% che rappresenta la percentuale più alta di tutto il mercato del lavoro nel nostro Paese (11,3% la media generale). Particolarmente importanti possono dunque essere quelle politiche che – agendo sulla leva fiscale e sugli incentivi – possano favorire l’emersione del lavoro “nero” e “grigio”. In questo senso vanno sia l’avvio della sperimentazione della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, sia le misure del Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso previsto dal Pnrr. In entrambi i casi sono indicati come fondamentali maggiori sgravi fiscali per le famiglie che assistono in casa anziani e bambini, oggi limitati alla deducibilità dei contributi versati per i domestici fino a 1.549,37 euro l’anno e alla detrazione del 19% delle spese per le badanti fino a 2.100 euro. Ancora più importante, il segnale lanciato con la sperimentazione decisa dal Governo della Prestazione universale per i non autosufficienti – per ora limitata agli ultra 80enni gravi e poveri – di 850 euro al mese in aggiunta all’indennità di accompagnamento, spendibili però solo per l’acquisto di servizi e per rapporti di lavoro certificati di badanti e personale infermieristico.

Domina

Secondo il rapporto Domina, di cui “Avvenire” è media partner, nel 2022 la spesa delle famiglie per il lavoro domestico ha incontrato per la prima volta un calo, dopo l’aumento progressivo registrato dal 2017. Considerando gli 1,86 milioni di lavoratori complessivi, la spesa delle famiglie raggiunge i 14,3 miliardi, di cui 7,7 per le badanti e 6,6 per le colf. Pur avendo una produttività piuttosto bassa rispetto ad altri settori economici, il lavoro domestico offre comunque un contributo positivo al PIL italiano, pari all’1%. A livello territoriale un quinto del Pil del lavoro domestico italiano è prodotto in Lombardia (21,5%). In questo contesto le famiglie ricoprono un ruolo fondamentale come attori di welfare, dato che il loro impegno come datori di lavoro si traduce in un risparmio per le casse pubbliche. Senza la spesa delle famiglie, che garantisce la possibilità dell’assistenza a domicilio, lo Stato dovrebbe spendere circa 19,8 miliardi in più per la gestione nelle strutture socio-sanitarie di quasi 1 milione di anziani. Azzerando completamente l’indennità di accompagnamento, che oggi va a sostegno, dell’assistenza a domicilio, la spesa pubblica salirebbe a 33,3 miliardi.

I dati presenti nel rapporto dell’Osservatorio confermano il ruolo sociale del contratto collettivo del lavoro domestico che rappresenta il terzo contratto in Italia per numero complessivo dei lavoratori – commenta Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina -. Si rende ancora più necessaria quindi una struttura di governance adeguata per trasformare il tanto, troppo lavoro sommerso in lavoro regolare proponendo ai datori di lavoro incentivi finanziari. I tempi sono maturi per una riforma completa del settore capace di coinvolgere attivamente le parti sociali e capace allo stesso tempo di rispondere alle sfide demografiche, sociali ed economiche in corso nel nostro Paese”.

Venendo all’identikit dei lavoratori, a livello nazionale si registra una prevalenza di lavoratori domestici stranieri (69,5%) ma è in costante aumento il trend dei lavoratori domestici italiani che raggiungono il 30,5% del totale. Tra le nazionalità straniere la componente più significativa è quella rappresentata dell’Est Europa pari al 35,4% dei lavoratori domestici totali. I lavoratori domestici asiatici rappresentano invece il 17% dei lavoratori a livello nazionale e superano il 20% nelle regioni in cui è forte la presenza di colf, come il Lazio (27,7%), Sicilia (24,7%), Campania (23,8%) e Lombardia (22,5%). Sebbene il lavoro domestico sia storicamente identificato con il genere femminile, nel 2022 sono stati registrati oltre 121 mila lavoratori domestici di genere maschile (13,6% dei lavoratori totali). In alcune regioni il fenomeno è maggiormente presente: in Sicilia il 23% dei lavoratori domestici è di genere maschile e in Campania la percentuale arriva al 17%. Occorre però tenere anche conto che spesso, come nei periodi in cui ci sono periodiche sanatorie dei cittadini stranieri che lavorano in maniera irregolare nel nostro Paese, il settore domestico viene utilizzato per regolarizzare la posizione di lavoratori che operano in realtà in altri ambiti economici.

 

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