Commento alla Sentenza della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE SOTTOSEZIONE SECONDA N. 1771/2017
La questione sull’indennità prevista dalla Legge Pinto per la lungaggine dei procedimenti giudiziari solleva interrogativi rilevanti, in particolare per gli amministratori di società a responsabilità limitata (S.r.l.) che si trovano a fronteggiare le conseguenze di un fallimento nella circostanza in cui vogliano agire in proprio e non quali rappresentanti legali. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1771 del 2017, ha fornito i dovuti chiarimenti.
La Legge Pinto, introdotta per tutelare i cittadini dall’eccessiva durata dei processi, consente di richiedere un indennizzo per i danni subiti a causa del prolungarsi irragionevole di un procedimento. Tuttavia, questa tutela è limitata alle parti effettive del procedimento. La domanda sorge spontanea: un amministratore, pur non essendo parte diretta del processo, ma coinvolto come rappresentante legale della società, può accedere a questa tutela?
La Sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: l’amministratore di una S.r.l. non è legittimato a richiedere l’indennizzo in nome proprio per la durata irragionevole del fallimento che coinvolge la società. Secondo i giudici, il diritto all’equa riparazione è strettamente legato alle parti del processo e non può essere esteso a chi rimane formalmente estraneo al procedimento.
La Corte ha sottolineato che:
“Il diritto alla trattazione delle cause entro un termine ragionevole è riconosciuto esclusivamente in favore delle parti della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in favore di soggetti estranei.”
Pertanto, un amministratore, pur avendo subito indirettamente dei danni personali o patrimoniali, non può agire per ottenere l’indennizzo, nemmeno se la società è stata cancellata dal registro delle imprese.
Estinzione della Società e Conseguenze Giuridiche
Quando una società fallita viene cancellata dal registro delle imprese, essa si estingue, perdendo la capacità di agire o di difendersi in giudizio. Gli eventuali crediti residui, come il diritto all’indennizzo per la durata del fallimento, sono considerati tacitamente rinunciati. Questo principio, ribadito dalla Cassazione, implica che anche i soci o gli amministratori non possano succedere alla società per reclamare tali diritti.
Secondo la Corte, la cancellazione dal registro avviene in base alla normativa fallimentare e non può essere considerata una scelta volontaria della società. Tuttavia, proprio perché obbligatoria, questa operazione rappresenta un atto finale che chiude ogni rapporto giuridico pendente, incluse le pretese indennitarie non definite.
Riflessioni Finali
Questo orientamento chiarisce i limiti della tutela offerta dalla Legge Pinto, evidenziando come sia rivolta esclusivamente a chi ha partecipato direttamente al procedimento giudiziario. Gli amministratori di società di capitali fallite, pur trovandosi spesso in situazioni di grave difficoltà personale e patrimoniale, non possono far valere un diritto di natura individuale per procedimenti che hanno coinvolto esclusivamente la società.
Per chi si trova in simili circostanze, è essenziale comprendere i confini giuridici delle proprie azioni e valutare con attenzione le implicazioni della cancellazione della società dal registro. Consultare un legale specializzato può aiutare a individuare le strategie più adeguate, evitando azioni che potrebbero rivelarsi prive di fondamento.
Noi avvocati di PintoLex patrociniamo da anni numerosi clienti in tutta Itala per i loro casi, pur avendo sede a Bari.
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Si ringrazia per la Sentenza lo Studio Legale Berto
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