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Venti anni di stop a nuove colate di cemento, venti anni di lotta all’abusivismo edilizio ma anche di sviluppo mancato. La legge regionale che dettava nuove norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana nacque nel 2003 (il governatore era Antonio Bassolino) con l’intento di fermare l’incremento dell’edificazione a scopo residenziale, l’aumento dei volumi abitabili e i carichi urbanistici all’ombra del Vesuvio. Fu un argine alla cementificazione selvaggia che, però, a sentire i sindaci, ha prodotto anche un certo immobilismo, condannando il territorio a vivere grosse difficoltà dal punto di vista economico.
Assieme al progetto «Vesuvìa» (30mila euro di bonus per chi lasciava la zona rossa), la legge doveva anche incentivare l’esodo della popolazione dalle aree a rischio eruzione, ma alla fine la gente è scappata per mancanza di investimenti e si è rifugiata a ridosso dei Paesi vesuviani: pochi chilometri di distanza ma zero vincoli. Per questo il consigliere regionale Carmine Mocerino (di Somma Vesuviana, dove è stato anche sindaco) ha chiesto a Vincenzo De Luca, all’assessore regionale all’Urbanistica Vincenzo Discepolo e al presidente della commissione Urbanistica Luca Cascone di rivedere la legge 21 del 2003 per «stilare un bilancio degli effetti che ha prodotto, delle ricadute che ha avuto sui territori interessati e, di conseguenza, provare a rivederla». Mocerino chiarisce: «Nessuno vuole nuovo cemento.
In effetti uno dei paradossi della zona rossa del Vesuvio è che, per esempio, a Somma Vesuviana o Sant’Anastasia ogni ipotesi di nuova edilizia è impensabile, mentre nelle vicine Pomigliano e Casalnuovo si è continuato, eccome, a costruire. È accaduto pure a San Giuseppe Vesuviano o Ottaviano, col cemento che si è spostato a Striano, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano. Pochi chilometri, a volte centinaia di metri, ma differenze sostanziali. E non si tratta solo di non fare case da capo: la legge 21 vieta «ogni mutamento di destinazione d’uso» comportante «l’utilizzo a scopo abitativo». Niente frazionamenti, ampliamenti manco a parlarne. Va detto che la legge ha avuto il grande merito di rallentare l’abusivismo edilizio, almeno quello di grandi dimensioni. Resistono i piccoli illeciti ma, come spiega il sindaco di Ercolano Ciro Buonajuto «l’assalto delle grandi speculazioni edilizie è stato fermato. Ricordiamo tutti quanto cemento selvaggio c’era anni fa». Ma il sindaco poi lancia un allarme: «Abbiamo bisogno di una disciplina che favorisca gli investimenti. A Ercolano il 50% degli immobili ha problemi di abusivismo, aprire un nuovo negozio è complicatissimo. La gente scappa e porta i soldi altrove».
La popolazione vesuviana è diminuita ma sono calati anche gli insediamenti produttivi. Ne è convinto Carmine Esposito, sindaco di Sant’Anastasia: «Quella legge nacque per penalizzare il Vesuviano e favorire altre zone della Campania. Fu un danno enorme e non sono mai arrivati i fondi promessi per la realizzazione delle vie di fuga». E Biagio Simonetti, primo cittadino di Ottaviano, riflette: «Se tanti comuni della zona rossa ancora oggi sono senza Puc è anche perché la legge ha vietato l’incremento residenziale ma poi nulla è stato fatto per favorire le attività consentite». Doveva portare meno case e più turismo, ma intorno al Vesuvio il boom dei visitatori si registra ancora solo intorno al cratere.
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