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Per realizzare un soppalco ad uso non abitativo per una superficie utile non residenziale di 41 mq è necessario il permesso di costruire. Di conseguenza non è possibile ottenere la sanatoria straordinaria del terzo condono edilizio in zona vincolata (previsto dal D.L. 236/2023, convertito in Legge 326/2003), visto che essa riguarda solo le opere di minore rilevanza. E in questa casistica non rientra un soppalco non residenziale abusivo.

Lo ha stabilito il TAR di Roma con la sentenza n. 2035 del 2 febbraio 2024, confermando l’orientamento già più volte espresso in materia dal Consiglio di Stato.

Soppalco non residenziale abusivo: il fatto

Nella vicenda decisa dal TAR, la proprietaria di un immobile sito al piano terra di un complesso condominiale impugnava il provvedimento di diniego di condono edilizio per la realizzazione di un soppalco ad uso non abitativo per una superficie utile non residenziale di 41 metri quadrati.

Il diniego è motivato, secondo gli uffici comunali, dall’esistenza di plurimi vincoli paesaggistici riguardanti la zona, incompatibili con la realizzazione dell’abuso edilizio di cui si chiede il condono.

I motivi del ricorso

Secondo la ricorrente il provvedimento dei comune è errato, per tutta una serie di rilievi:

  • Innanzitutto, l’amministrazione comunale stessa, nel 2012, avrebbe espresso l’intenzione di considerare suscettibili di sanatoria le opere abusive che, pur realizzate in zone su cui insiste un vincolo paesaggistico, non modifichino l’aspetto esteriore dell’edificio;
  • il d.P.R. 31/2017 escluderebbe gli interventi come quello in questione opere che necessitano di autorizzazione paesaggistica;
  • il Comune, prima di negare il condono, non avrebbe verificato se i vincoli citati comportino o meno inedificabilità assoluta, anche perché tali vincoli avrebbero carattere relativo e sono stati in passato disattesi.

Il TAR ha però rigettato il ricorso, confermando il diniego di condono.

Condono solo per interventi di minore rilevanza

Come ha stabilito anche il Consiglio di Stato, per gli abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall’articolo 32 del decreto legge n. 269 del 2003 (d.c. Terzo Condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Non sono invece in alcun modo suscettibili di sanatoria altre opere abusive (di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato). Ciò avviene anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti (Consiglio di Stato, 9 giugno 2022, n. 4685).

Soppalco non residenziale abusivo di superficie consistente: serve permesso

Nel caso preso in esame, non si è in presenza di un abuso di minore rilevanza. Un soppalco di superficie consistente (41 metri quadrati) non può essere considerato – come sostiene la ricorrente – un semplice intervento di ristrutturazione edilizia.

Per realtà – afferma il TAR – è necessario il permesso di costruire quando (come nel caso in esame) il soppalco è di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, comportando un incremento delle superfici dell’immobile e, quindi, anche un ulteriore possibile carico urbanistico.

Il diniego di condono è un atto vincolato

Respinti anche tutti gli altri motivi di ricorso. La sentenza del TAR sottolinea, in particolare, che i provvedimenti di diniego di condono edilizio costituiscono espressione di potere vincolato. Se non ci sono i presupposti di legge, l’ente deve adottare l’atto di diniego, senza possibilità di valutazioni discrezionali.

L’eventuale rilascio, in passato, del condono per analoghi casi di abusi non condonabili (e, quindi, in via di principio, annullabili) non può di per sé legittimare il ricorrente a pretendere un identico trattamento. Nel caso in esame, i giudici non hanno ravvisato alcun eccesso di potere o disparità di trattamento. Che, peraltro, per essere contestato deve riguardare casi macroscopici e situazioni tra loro assolutamente identiche.

 

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