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Non viene meno la responsabilità dell’ex curatore fallimentare per aver sottratto risorse al fallimento, anche se il rendiconto è stato approvato senza rilievi critici.


Così ha disposto la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione nella sentenza 8 settembre 2011, n. 18438.


Il caso  sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava l’ex curatrice di una procedura fallimentare condannata dal Tribunale di Roma al risarcimento del danno da inesatto inadempimento dell’incarico, in quanto la stessa, ritardando il recesso da un contratto di locazione dei locali aziendali, aveva provocato la maturazione del debito dei canoni, e consentito alla fallita di continuare a svolgere la sua attività imprenditoriale, percependo introiti non confluiti nell’attivo della massa.


La sentenza del giudice di prime cure è stata parzialmente disattesa dalla Corte territoriale solo in relazione al quantum da risarcire, per il resto, è stata confermata la responsabilità della professionista.


In particolare, la Corte d’appello ha motivato la sua decisione argomentando che, secondo un’interpretazione teleologica dell’art. 38, comma 2, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, emerge che la norma, pur prevedendo l’azione di responsabilità nei confronti del curatore revocato, non ne esclude l’ammissibilità anche nei confronti del dimissionario.


La Corte di Cassazione, convivendo le argomentazioni del giudice del merito,  ha puntualizzato che non è tassativa l’indicazione contenuta nella Legge Fall., art. 38, comma 2, circa la revoca del curatore prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità, ma solo normale, secondo l’id quod plerumque accidit.


In effetti, la consecutio temporale – revoca ed esercizio dell’azione – ha natura estrinseca alla fattispecie, il cui requisito oggettivo riguarda la violazione dei doveri del munus. Non è sostenibile la tesi contraria a tale interpretazione, altrimenti si consentirebbe al curatore, consapevole del rischio di responsabilità, di sfuggire all’iniziativa processuale rinunciando all’incarico, prima che venga scoperto il pregiudizio riconducibile alla sua cattiva gestione.


La Suprema Corte ha inoltre ritenuto infondata la pretesa preclusione della domanda, per effetto dall’approvazione del rendiconto.


L’azione di responsabilità, relativa alla gestione ed alla condotta del curatore sotto il profilo del rispetto della legge e della diligenza nell’assolvimento dei doveri, è solitamente proposta in sede di giudizio di rendiconto, a norma della L. Fall., ex art. 116. Tuttavia, i Giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato che l’esame dello stesso non è limitato alla verifica di eventuali errori materiali, omissioni o improprietà dei criteri di conteggio adottati (Cass., sez. 1, 10 settembre 2007, n. 18940; Cass., sez. 1, 5 ottobre 2000, n. 13274).


Sebbene la verifica del rendiconto costituisca la sede consueta per controllare l’attività svolta dal curatore, ma non è la sede esclusiva. Non sussiste, infatti, una connessione assoluta sancita ex lege, per effettuare tale accertamento, essendo possibile scindere il controllo suddetto in due fasi: una contabile e l’altra, gestionale. Inoltre, seppur l’esame contabile si conclude senza rilievi critici, ciò non impedisce che essi emergano dall’esame gestionale, così come è previsto in tema di approvazione dei bilancio di società per azioni (art. 2434 c.c.); o in ipotesi di omessa contestazione degli estratti-conto bancari (Cass. sez. 1, 14 febbraio 2011, n. 3574; Cass., sez. 1, 19 marzo 2007, n. 6514).


(Altalex, 13 ottobre 2011. Nota di Maria Elena Bagnato)

 

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