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Definizioni e numeri

Prima di entrare nel dettaglio della riforma, ricordiamo che il concordato preventivo è uno strumento che la legge mette a disposizione dell’imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, per evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle richieste dei creditori. Si chiama “preventivo”, appunto, per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura fallimentare che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario.

Altrettanto importante è la definizione di misure protettive. Si tratta in pratica di quelle azioni volte ad evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi. Si può quindi facilmente comprendere come, nella normalità dei casi, si tratti di misure a tutela del debitore nei confronti di iniziative dei creditori.

Ma quanti sono in Italia i casi di concordato preventivo? Secondo dati elaborati dal ministero della Giustizia, nei quattro anni compresi tra il 2014 e il 2018, il numero complessivo ha segnato una frenata, passando dai 3.635 ai 2.322.

Nello stesso arco temporale, i fallimenti, anche in questo caso in calo, risultavano essere a fine 2018 11.041 dai 15.381 di quattro anni prima. In crescita invece gli accordi di ristrutturazioni, passati da 251 a 382.

Misure protettive: prima e dopo la riforma

Quali sono quindi le novità previste dalla riforma? Per rispondere alla domanda, partiamo dal presupposto che nel momento in cui l’azienda presenta domanda di concordato, la legge prevede una sorta di salvagente per garantire il patrimonio. Se fino a ora, questo salvagente copriva tutto il periodo necessario per trovare un accordo tra debitori e creditori, le cose sono adesso destinate a cambiare sia nei tempi che nei modi.

Nel dettaglio la direttiva europea Insolvency (2019/1023) prevede che:

  •  le misure protettive durino al massimo 12 mesi, anche non consecutivi ma inclusi rinnovi e proroghe.  Questo periodo comprende anche l’eventuale periodo relativo alla nuova procedura di allerta (procedura stragiudiziale che si svolge dinanzi al c.d. OCRI,), che può arrivare fino a sei mesi. Questo significa che il debitore deve attentamente valutare l’effettiva esigenza di ottenere la sospensione di azioni esecutive o cautelari, considerando il rischio del venir meno delle misure protettive, prima di aver ottenuto l’omologazione del concordato;
  •  l’accesso non sarà più automaticamente legato alla presentazione della domanda di concordato, ma subordinato alla richiesta del debitore e stabilito e del giudice, caso per caso, successivamente ad un’apposita udienza da fissare entro 30 – 45 giorni;
  •   la domanda sarà accettata solo in presenza di reale pericolo;
  •  le misure protettive possono essere modificate o revocate in caso di atti di frode, oppure se il debitore non si sta adoperando per la predisposizione del piano e della proposta di concordato

Come si può facilmente intuire, si tratta di un cambio di rotta rispetto al passato. Se fino ad oggi le aziende potevano essere certe che il patrimonio non sarebbe stato toccato durante tutta la procedura di concordato, ora questo non è più vero.

Non solo. Rispetto al passato, quando l’accesso a queste misure era automatico con la pubblicazione della domanda di concordato, in un futuro non lontano andranno chieste dal debitore e autorizzate dal giudice.

Ma quali sono i casi in cui l’azienda potrà farne richiesta? Secondo la legge, tale opzione è prevista solo nei casi in cui le iniziative individuali dei creditori, se non contrastate, rischiano di danneggiare il patrimonio aziendale compromettendo definitivamente la possibilità di risanamento

L’Associazione curatori fallimentari ha già spiegato che potranno fare richiesta delle misure protettive solo le aziende che rischiano un pignoramento o la vendita all’asta.

Rischi per le aziende e creditori

Se l’obiettivo della norma è quello di garantire una maggiore tutela dei creditori, il rischio che questa possa rivelarsi un boomerang è alto. Questo perché i tempi (dodici mesi improrogabili) devono fare i conti con la lentezza della giustizia italiana.

Non si può dunque escludere – come fanno notare numerosi esperti – che il blocco delle procedure esecutive e cautelari possa terminare prima della fine della procedura di concordato preventivo.

In questa situazione, i creditori sarebbero quindi liberi di assumere tutte le iniziative a tutela dei loro interessi individuali. Alcuni di loro potrebbero per esempio acquisire nuove cause di prelazione, tali da modificare la gerarchia, priorità e misura dei pagamenti previste dalla proposta concordataria.

In definitiva, la cura potrebbe peggiorare lo stato di salute del malato.

 

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