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La quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 15796 del 19 Marzo 2019 ha statuito che: ” risponde del reato di bancarotta fraudolenta colui che, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore commerciale, ovvero di amministratore, sindaco, direttore generale o liquidatore della società fallita, apporti un contributo concreto, materiale o morale alla produzione dell’evento, sempre che l’attività di cooperazione con il fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento, occorrendo sotto il profilo soggettivo del reato, la volontarietà della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio  quale indice della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori”.

L’ art. 216 L.Fall.(RD n. 267/1942)  nella sua struttura di disposizione a più norme individua tre tipologie differenti  di bancarotta: per distrazione, documentale e preferenziale.

L’elemento che accomuna le tre fattispecie penalmente rilevanti è rappresentato dalla condotta fraudolenta posta in essere dall’imprenditore di una società dichiarata fallita e volta ad arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori mediante l’occultamento, la distrazione in tutto o in parte dei beni oggetto del patrimonio sociale (art. 216 co I n. 1),  la sottrazione, distruzione di libri contabili (art. 216 co I n. 2), o ancora mediante il pagamento di alcuni soltanto dei creditori in danno degli altri (art. 216 co III).

Il reato di bancarotta è un reato proprio esclusivo in quanto la sua realizzazione richiede il possesso, da parte del soggetto attivo,  della qualifica di imprenditore, in assenza della quale il fatto non assume rilevanza penale.

La categoria dei reati propri esclusivi pone un problema relativo alla configurabilità di un concorso ex art. 110 cp da parte del soggetto privo della qualifica richiesta dalla norma, cd. extraneus.

Parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono che sia configurabile il concorso dell’extraneus nel reato proprio esclusivo, a condizione che la condotta tipica descritta dalla fattispecie incriminatrice sia posta in essere dall’intraneus .

Tuttavia, ciò non basta, occorre accertare altresì,sotto il profilo oggettivo, che l’extraneus abbia apportato un contributo causale o agevolatore alla realizzazione dell’evento dannoso o pericoloso, e sotto il profilo soggettivo la sussistenza del dolo di concorso, ossia la coscienza e volontà di concorrere con il soggetto qualificato all’esecuzione del reato.

Viceversa, a fronte di reati propri non esclusivi, per tali intendendosi quelli che possono essere realizzati anche dal soggetto privo della qualifica richiesta, con la conseguenza di un mutamento del titolo di reato in capo a quest’ultimo, è configurabile il concorso dell’extraneus nel reato posto in essere dall’intraneus a condizione che vi sia da parte del primo la consapevolezza, quantomeno sotto forma di conoscibilità, della qualifica soggettiva dell’intraneus.

Invero, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 117 cp, alla stregua del principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27 co III Cost. esclude che possa essere chiamato a rispondere del medesimo reato imputabile all’intraneus il soggetto che oltre ad essere privo della qualifica richiesta, sia anche ignaro del fatto di concorrere con un soggetto qualificato.

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte si è interrogata circa l’estensibilità della responsabilità penale per il reato di bancarotta fraudolenta anche agli amministratori di fatto, ossia a coloro i quali pur in assenza di una formale investitura esercitino le medesime funzioni attribuite ai soggetti formalmente preposti alla direzione ed al controllo della società.

Si tratta di stabilire se l’amministratore di fatto possa essere equiparato all’amministratore di diritto sotto il profilo della responsabilità giuridica, e dunque, possa parimenti considerarsi soggetto attivo del reato di bancarotta fraudolenta, o se al contrario risponda a titolo di concorso ex artt. 223-224 L.Fall..

Sul punto sono emerse due tesi contrapposte: l’una di tipo formale che attribuisce rilevanza all’ufficiale investitura dell’amministratore il quale deve essere stato incaricato dei relativi poteri e funzioni nel rispetto delle disposizioni di legge e deve risultare tale dallo statuto della società, l’altra di tipo sostanziale.

La tesi sostanziale trova accoglimento da parte della giurisprudenza maggioritaria e si basa su un’ interpretazione estensiva della nozione di imprenditore, quale soggetto attivo del reato de quo, che include anche l’amministratore di fatto e l’imprenditore occulto.

L’amministratore di fatto è colui il quale in assenza di formale investitura svolge in modo continuativo l’attività gestoria d’impresa ed esercita i poteri relativi alla sua qualifica; l’imprenditore occulto, invece, è quel soggetto che si cela dietro l’imprenditore formalmente nominato e pur non comparendo all’esterno, di fatto dirige la società.

Sono essenzialmente due le ragioni alla base della tesi sostanziale, rispettivamente di tipo logico e letterale.

La prima argomentazione di carattere logico fa leva sulla struttura del reato di bancarotta che individua quale soggetto attivo  l’imprenditore  in quanto quest’ultimo, in virtù del rapporto di prossimità rispetto al bene giuridico tutelato dalla norma,  è l’unico soggetto in grado di realizzare la condotta lesiva.

L’art. 216 L. Fall tutela plurimi beni giuridici a seconda della fattispecie che viene in rilievo tra le tre diverse tipologie di bancarotta: il diritto all’integrità della garanzia patrimoniale nella bancarotta patrimoniale, la par condicio creditorum, nella bancarotta preferenziale, il diritto all’ostensibilità della garanzia patrimoniale, in quella documentale.

Al pari dell’imprenditore anche l’amministratore, il sindaco,  il direttore generale della società si trovano in un rapporto di vicinanza con il bene giuridico protetto e , pertanto, risultano in grado di incidere sullo stesso.

Ne consegue che anche l’amministratore di fatto, in quanto soggetto preposto all’esercizio delle funzioni di gestione del patrimonio sociale, in virtù del rapporto di vicinanza con il patrimonio è nelle condizioni di poter influire sullo stesso con le proprie scelte, a nulla rilevando l’assenza di formale investitura.

Quanto, invece, all’argomento letterale, i fautori della tesi sostanziale richiamano l’art. 2639 cc ai sensi del quale è stabilito che : “per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione “.

Come  si evince dalla suddetta norma, l’amministratore di fatto può essere equiparato all’amministratore di diritto, con la conseguenza che il primo è gravato degli stessi doveri dell’amministratore di diritto e, pertanto, in caso di concorso delle condizioni oggettive e soggettive di cui all’art. 2639 cc lo stesso risponderà per i comportamenti penalmente rilevanti ad esso addebitabili.

Sono essenzialmente due le condizioni in presenza delle quali può dirsi sussistente la figura dell’amministratore di fatto: l’espletamento in maniera continuativa e non occasionale di funzioni riservate agli amministratori di diritto; il compimento di atti significativi che rispecchino i poteri inerenti la carica ricoperta.

Alla stregua di tali considerazioni, dunque, può dirsi che l’amministratore di fatto risponde del reato di bancarotta al pari dell’amministratore di diritto, quale soggetto intraneus, e non come concorrente esterno ex artt. 223 e 224 L.Fall.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica

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