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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 24 gennaio 2020, n. 1666.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Le circostanze fattuali.

La società ricorrente proponeva regolamento di competenza, in relazione alla sentenza con la quale il Tribunale di Padova, attinto dalla resistente, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo (fattole notificare dall’odierna istante nella sua veste di fideiussore di un soggetto imprenditore terzo), aveva accolto l’eccezione di incompetenza territoriale, sollevata dall’opponente in ragione della sua qualità di consumatore, declinandola in favore del Tribunale di Trani.  Più nello specifico, il giudice a quo aveva inteso richiamarsi ai più recenti principi fissati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ritenendo applicabili gli artt. 1, paragrafo 1 e 2, lett. b), della Direttiva 93/13/CEE anche alla fideiussione stipulata da una persona fisica, con un ente creditizio, per garantire un debito di una società commerciale, quando tale persona ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società e che spetta quindi al giudice nazionale procedere al relativo accertamento (nella specie, era incontestato il fatto che la resistente fosse una professoressa di lettere in pensione e, al contempo, non poteva ritenersi provato, in ragione degli allegati vincoli familiari tra la stessa e il soggetto garantito, la natura di società di famiglia del sodalizio societario, posto che l’interesse all’arricchimento della famiglia è scopo di natura privata e non attiene all’attività professionale).

 

La decisione della Corte.

La Sesta Sezione ribadisce il recente convincimento per cui «i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria – all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore»[1].

In tal guisa, come anche già statuito in riferimento a una fattispecie non dissimile da quella oggetto di controversia[2],  il giudice territoriale ha esattamente fondato il proprio giudizio sui prefati dettami della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[3] che, nel fornire l’interpretazione degli artt. 1, paragrafo 1, e 2, lett. b), della Direttiva 93/13, ha affermato il principio secondo il quale «tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società». Un siffatto contratto di garanzia (o di fideiussione), benché possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce, dal punto di vista delle parti contraenti si presenta come un contratto distinto, quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale; consequenzialmente, è in capo alle parti del contratto di garanzia (o di fideiussione) che si deve valutare la qualità in cui queste hanno agito. A tal riguardo, il Collegio evidenzia come la nozione unionale di “consumatore” abbia un carattere oggettivo, dovendo essere valutata alla luce di un criterio funzionale, volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione. Tale ultimo accertamento spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione della Direttiva, tenendo in considerazione tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova.

Nel caso di una persona fisica, che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al giudice nazionale determinare se tale soggetto abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che lo legano a tale società (quali, per esempio, l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale), o se, per converso, abbia agito per scopi di natura privata.

A differenza di quanto affermato in passato dalla giurisprudenza, anche di legittimità[4], il parametro identificativo della qualità di consumatore non si colloca nella obbligazione in sé, che il soggetto assume.

Nel caso de quo, il giudice territoriale si è esattamente uniformato ai summenzionati principi, avendo ritenuto dirimente, nell’accertamento fattivo della qualità di consumatore, le circostanze relative al collocamento a riposo e alla pregressa attività lavorativa della resistente, nonché l’assenza di prova di un suo qualsivoglia coinvolgimento nell’attività di impresa.


[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 13 dicembre 2018, n. 32225, con nota di G. Fiengo, Il garante consumatore, in Ridare.it, 10 giugno 2019.

[2] V. Cass. Civ., Sez. VI, 31 ottobre 2019, n. 28162, in dejure.it.

[3] V. CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, in eurlex.com.

[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 29 novembre 2011, n. 25212, con nota di S. Bortolotti, Il fideiussore di una società non è un consumatore, in Diritto & Giustizia, fasc. 0, 2011, 506; Cass. Civ., Sez. I, 9 agosto 2016, n. 16827, con nota di L. Vizzoni, Cassazione e vicenda fideiussoria: fra qualifica soggettiva del garante e abusi del creditore., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 3, 2017, 290.


 

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