In caso abusi edilizi per i quali sia stato
emesso un ordine di demolizione, non è possibile
ridurre il manufatto nei limiti consentiti dalla legge per
renderlo sanabile.
Questo perché ammettere lavori che modifichino l’opera
abusiva per rendere conforme – oltre la scadenza del termine finale
stabilito dalla legge per la condonabilità – ciò che
certamente non lo sarebbe stato, costituisce indebito
aggiramento della disciplina legale, spostando
arbitrariamente in avanti nel tempo la scadenza
consentita, addirittura legittimando ulteriori
interventi abusivi.
Demolizione abusi e condono edilizio: la Cassazione dice no
alla sanatoria condizionata
È un nuovo no alla sanatoria condizionata,
quello dettato dalla Corte di Cassazione nella
sentenza
del 5 marzo 2024, n. 9331, con la quale ha rigettato
il ricorso presentato contro l’annullamento di un titolo in
sanatoria e dell’ordine di demolizione di una struttura
ricettiva, non rispondente alle condizioni previste dalla legge n.
724/1994 (c.d. Secondo Condono Edilizio).
Secondo il ricorrente, l’annullamento del permesso di costruire
in sanatoria non sarebbe stato legittimo perché arrivato oltre 18
mesi dal suo rilascio e per altro ad opera del giudice
dell’esecuzione, che avrebbe evidenziato il superamento dei limiti
volumetrici consentiti dalla normativa sul condono.
Secondo condono edilizio: le condizioni per ottenere la
sanatoria
Gli ermellini hanno invece confermato la validità
dell’annullamento del titolo edilizio, rilasciato illegittimamente
dato che era stato superato il limite volumetrico
di mc 750 stabilito dall’art. 39, comma 1, I. n. 724 del 1994,
limite che vale sia per le opere residenziali che per quelle non
residenziali.
Secondo le disposizioni la concessione edilizia in sanatoria ai
sensi della legge n. 724/1994 vale per le opere abusive:
- ultimate entro il 31 dicembre 1993;
- che non abbiano comportato ampliamento del manufatto in misura
superiore al 30% per cento della volumetria della costruzione
originaria; - indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, che
non abbiano comportato un ampliamento superiore a 750 metri
cubi; - relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi
per singola richiesta di concessione edilizia.
Gli ermellini hanno evidenziato come la norma non consenta
distinzioni in relazione alla tipologia degli edifici e che la
sanabilità va interpretata in termini restrittivi, considerato che
si tratta di una lesione inferta ai valori espressi dalla normativa
urbanistica a tutela di un interesse pubblico preminente, non
rilevando in senso contrario le disposizioni di deroga dell’art.
39, comma 16, della stessa legge, che si riferiscono esclusivamente
al pagamento (e alla misura) dell’oblazione.
No a sanatoria condizionata
Inoltre va appunto disattesa la possibilità di ridurre l’abuso
nei limiti consentiti dalla legge: l’istanza del ricorrente avrebbe
potuto essere accolta solo se presentata entro il termine del
condono del 1994, mentre non è ammissibile come reazione
all’esecuzione dell’ordine di demolizione. Le uniche possibilità di
intervento, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle
previste dall’art. 35, comma 14, legge n. 47 del 1985 (che
disciplina modesti lavori di rifinitura delle
opere abusive) e dall’art. 43, quinto comma, della stessa legge,
che consente le opere strettamente necessarie a
rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati
completati per effetto di provvedimenti amministrativi o
giurisdizionali.
Ammettere lavori – sia pur di demolizione – che modifichino il
manufatto abusivo, alterandone significativamente la struttura e
riducendone la volumetria, al fine di rendere sanabile, dopo la
scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la
condonabilità delle opere, ciò che certamente in allora non lo
sarebbe stato costituisce indebito aggiramento della disciplina
legale poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine
finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio,
addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi.
Il sindacato del giudice dell’esecuzione
In relazione al ruolo del giudice dell’esecuzione e
al fatto che abbia annullato il titolo (ottenuto per altro
dopo l’ingiunzione a demolire), spiega la Cassazione che il
conseguimento di un permesso in sanatoria non esclude il controllo
del giudice penale, in vista dell’interesse sostanziale che il
reato assume a tutela, cioè l’interesse alla tutela del
territorio.
Proprio perché il provvedimento amministrativo va ad incidere su
un reato già commesso, il giudice penale non può sottrarsi al
compito di controllare, pieno iure, la sussistenza dei
presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di
sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere
di rilascio.
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