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La clausola di pagamento degli interessi di mora dovuti in caso di ritardo nel versamento delle rate contenuta in un contratto di prestito al consumo va qualificata come clausola penale e deve ritenersi abusiva ed inefficace in quanto presuntivamente vessatoria, a meno che il professionista non riesca a fornire la prova che essa è stata oggetto di specifica trattativa con il cliente consumatore.


Sono queste le conclusioni formulate dal Tribunale di Tribunale di Cremona al termine di una controversia avente ad oggetto l’opposizione promossa contro il decreto ingiuntivo azionato da una società finanziaria che aveva richiesto la restituzione sia della somma residua non pagata dovuta a titolo di capitale per un contratto di prestito al consumo adempiuto solo in parte dal debitore sia degli interessi di mora ad esso collegati.


La richiesta di liquidazione era stata motivata dalla società finanziaria in forza di una clausola di pagamento degli interessi di mora dovuti in caso di ritardo nel versamento delle rate così come contenuta all’interno del contratto di finanziamento.


Il debitore aveva però contestato la validità della clausola, in quanto ritenuta abusiva ed inefficace perché connotata dal carattere della vessatorietà.


Nell’affrontare la questione, il Tribunale di Cremona ha preliminarmente osservato che la riferita clausola contrattuale doveva essere qualificata come clausola penale ex art. 1384 c.c. la cui entità può essere dunque diminuita equamente dal giudice qualora l’obbligazione principale sia stata eseguita, come nel caso di specie, solo in parte dal debitore.


Il Tribunale di Cremona ha però parallelamente evidenziato che detta clausola doveva ritenersi anche soggetta alla disciplina prevista dall’art. 33, comma II, lett. f), del Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del Consumo) che regola la materia delle clausole vessatorie nel contratto concluso tra un professionista ed un consumatore.


Secondo quanto previsto dall’art. 33, comma II, lett. f) del Decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, si presumono difatti vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo.


In forza di quanto sancito dall’art. 33, comma II, lett. f) del Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il Tribunale di Cremona ha pertanto affermato che la clausola di pagamento degli interessi di mora dovuti in caso di ritardo nel versamento delle rate contenuta in un contratto di prestito deve presumersi vessatoria, fatto salvo il caso in cui il professionista non riesca a provare che essa è stata oggetto di specifica trattativa con il cliente consumatore ed, a tal fine, non appare neppure sufficiente la presenza della doppia sottoscrizione apposta sul modello contrattuale.


Sulla base di dette premesse, il Tribunale di Cremona ha in conclusione accolto le ragioni del debitore, dichiarando abusiva ed inefficace la clausola penale, poiché l’opposta non aveva provato né offerto di provare che l’inserimento della clausola sugli interessi di mora era avvenuta a seguito di apposita trattativa con l’opposto.


(Altalex, 13 novembre 2013. Nota di Leonardo Serra)

 

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