Nel caso in esame un dipendente, assunto dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 da un’azienda con meno di 15 dipendenti, ha impugnato giudizialmente il licenziamento per giusta causa intimatogli senza la preventiva contestazione disciplinare.
Il Tribunale di Roma investito della causa, con sentenza n. 10104 del 12 ottobre 2024, ha innanzitutto osservato che nelle imprese sopra i 15 dipendenti l’omessa contestazione dell’infrazione comporta l’inesistenza dell’intero procedimento disciplinare e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con la conseguente applicazione della tutela reintegratoria per insussistenza del fatto.
Il Tribunale ha anche evidenziato che nella contestazione il fatto (l’accertamento della cui sussistenza o insussistenza è rimesso al giudice) deve essere delineato nei suoi esatti termini e contorni così da consentire al lavoratore di poter esercitare il proprio diritto di difesa, rendendo le proprie giustificazioni. Giustificazioni che, se esaustive e dirimenti, potrebbero anche indurre il datore di lavoro (su cui grava la prova del fatto) a non proseguire nel procedimento disciplinare e a non intimare il licenziamento.
Ciò detto, nelle aziende (come nel caso di specie) sotto i 15 dipendenti, si pone il problema di individuare la tutela applicabile in caso di licenziamento adottato senza la preventiva contestazione poiché si tratta di una ipotesi non espressamente disciplinata.
Secondo il Tribunale, l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 23/2015 comprende, tra le ipotesi meritevoli di tutela reintegratoria, anche quelle derivanti da nullità virtuali, ossia quelle nullità che, pur in mancanza di una espressa previsione, costituiscono ipotesi di contrarietà a norme imperative ex comma 1 dell’art. 1418, “salvo che la legge non disponga diversamente”.
Ne deriva, secondo il Tribunale, che il licenziamento intimato senza la preventiva contestazione dell’addebito su cui si fonda è nullo con applicazione della tutela reintegratoria proprio perché intimato in violazione di una norma imperativa.
Infatti, l’art. 7 della Legge n. 300/1970 dispone che “il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito (…)”. Peraltro, la violazione di detta disposizione incide concretamente sulle garanzie di difesa del lavoratore, concretizzando una nullità di protezione conseguente al mancato rispetto del procedimento dettato a sua garanzia.
Oltretutto, non si tratta di un’ipotesi in cui “la legge disponga diversamente”, poiché, essa non rientra né nell’art. 9 (che riguarda l’ipotesi del licenziamento ingiustificato), né nell’art. 4 (che riguarda la violazione di tipo formale, mentre la mancata contestazione non costituisce solo una violazione formale ma ha dei riflessi sostanziali) né nell’art. 3 del D.Lgs. 23/2015 (che esclude la tutela reintegratoria nelle imprese sotto i 15 dipendenti).
Il Tribunale ha così accolto il ricorso del lavoratore e condannato la società alla sua reintegrazione.
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