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Per i rapporti giuridici caratterizzati dalla coesistenza di reciproche obbligazioni, il nostro Ordinamento ha previsto una modalità satisfattiva di estinzione (“per le quantità corrispondenti”, art. 1241 c.c.) che si realizza attraverso la loro (vicendevole) compensazione. Per molti autorevoli interpreti, la compensazione rappresenta non solo una modalità di estinzione del debito, ma anche una modalità di realizzazione del credito.

L’art. 1243 c.c. individua due tipi di “compensazione” (“legale” e “giudiziale”), identiche per gli effetti conseguiti ma differenti nei presupposti.

In attesa che le Sezioni Unite Civili si pronuncino sulla questione demandata dalla Sezione III con ordinanza n. 18001 dell’11.9.2015 circa la opponibilità in compensazione di un credito fondato su sentenza non ancora passata in giudicato, sono da segnalare due pronunzie (n. 13244 e n. 13279) con cui la Cassazione ha recentemente trattato taluni aspetti dell’istituto.

Nella sentenza n. 13244 viene affrontato il caso di un Condominio che aveva impugnato il precetto notificatogli da una Società opponendo in compensazione un contro-credito derivante da un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (che era stato addotto in compensazione dal Condominio anche in altro giudizio). Il Giudice di primo grado accoglieva l’opposizione, rilevando che medio tempore il decreto ingiuntivo era divenuto definitivo a causa di declaratoria di improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo e ritenendo irrilevante la circostanza che il contro-credito fosse stato addotto in compensazione in altra sede. La Corte d’Appello ribaltava il primo verdetto: poiché la compensazione è un mezzo di estinzione delle obbligazioni, essa necessita il definitivo e incontestabile accertamento su entrambe le obbligazioni da estinguere; pertanto poiché il credito vantato dall’opponente (si deve ritenere che, per refuso, la Cassazione abbia utilizzato la parola “appellante”) anche se consacrato in un titolo provvisoriamente esecutivo, era ancora sub iudice, doveva ritenersi controverso e suscettibile di accertamento negativo o modificazioni quantitative, da ciò discendendo il difetto del requisito della certezza e dunque l’impossibilità di addurlo in compensazione.

Nel caso disciplinato dalla sentenza n. 13279, invece, la Cassazione ha affrontato la particolarità della compensabilità tra crediti “comunitari” e crediti “statali” (argomento che meriterebbe autonoma e separata trattazione), in una controversa che vedeva contrapposta l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura ad una impresa agricola.

Nella sentenza n. 13244 la Cassazione ha riformato la decisione di secondo grado partendo dalla affermazione che “la compensazione presuppone che ricorrano i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., cioè che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di pronta e facile liquidazione)”: la compensazione legale, differentemente da quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, da ciò derivando che la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già conseguito; ciò che rileva è che l’effetto estintivo sia nella disponibilità della parte (unico soggetto che può eccepire la compensazione, non essendo essa rilevabile d’ufficio) e senza che sia richiesta una “autorizzazione alla compensazione” alla controparte (vd. anche Cass. 22324/2014).

La Corte ha poi precisato che la compensazione legale tuttavia non opera nel caso in cui il credito addotto in compensazione sia contestato nell’esistenza o nell’ammontare, dal momento che la contestazione esclude la liquidità del credito, necessitandosi per legge la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito. A tal riguardo, la pronuncia n. 13279/2016 è entrata maggiormente nello specifico, andando a precisare che “la contestazione giudiziale dell’esistenza – così come dell’ammontare – del controcredito ne impedisce la compensazione legale ex art. 1243, co. 1, c.c., essendo sufficiente rilevare in proposito come il requisito della certezza del credito, oltre a quelli della esigibilità e liquidità, sia implicitamente richiesto quale elemento necessario dalla norma dell’art. 1243 c.c., atteso che la contestazione del credito viene a risolversi in ogni caso anche in un difetto del requisito di liquidità” (vd. anche Sez. Un. Civ. n. 2234/1975; Cass. Lav. n. 14818/2002; Cass. III n. 13208/2010).

La compensazione giudiziale (art. 1243, co. 2, cod. civ.), invece, può essere disposta dal Giudice, sempre su eccezione di parte, nel caso in cui il credito opposto in compensazione sia “di facile e pronta liquidazione”.

A differenza della prima (che presuppone la sussistenza – anteriormente al giudizio – di contrapposti crediti certi, liquidi ed esigibili), la compensazione giudiziale presuppone che il credito, pur illiquido (vale a dire, non ancora espresso in misura determinata), sia di facile e pronta liquidazione. In ipotesi simili, dunque, il Giudice dinanzi al quale è sollevata l’eccezione di compensazione, è tenuto ad operare un giudizio ampio, teso all’accertamento dell’an debeatur, che costituisce giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Per questa ragione l’eccezione di compensazione non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio ancora in corso, dal momento che il relativo credito non è liquidabile se non in quella sede (Cass. n. 10055/2004). Il giudice che non riconosca la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione deve disattendere la relativa eccezione, senza che tanto pregiudichi la possibilità per il convenuto di far valere il proprio asserito credito in altro autonomo giudizio.

Le due sentenze in commento pur avendo svolto un rapido, ma efficace, lavoro di “sistemazione”, palesano la necessità di un intervento risolutore delle Sezioni Unite: difatti, mentre per la Seconda Sezione (sent. n. 13244/2016) “appare connaturale allo stesso istituto della compensazione giudiziale che il credito che si pretende estinguere in tutto o in parte mediante l’istituto de quo sia un credito sub iudice, posto che la valutazione circa i presupposti per l’operatività della fattispecie estintiva è rimessa al giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di condanna, il che quindi esclude a monte che anche il credito da estinguere debba essere stato accertato con sentenza definitiva”, la Terza Sezione (sent. n. 13279/2016) ha convintamente affermato che “la litigiosità del controcredito è condizione ostativa ad entrambi i tipi di compensazione legale e giudiziale, in quanto il reciproco effetto estintivo presuppone che entrambi i crediti siano effettivamente esistenti, e dunque richiede che nella specie il controcredito sia stato accertato in modo definitivo (mediante accertamento contenuto in sentenza passata in giudicato od in altro provvedimento divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di decadenza, o per rinuncia volontaria alla contestazione del controcredito), con la conseguenza che la compensazione rimane impedita le volte in cui il credito opposto in compensazione sia stato ritualmente contestato in un separato giudizio, in quanto potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, dovendo ancora precisarsi che, l’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi in quel giudizio ancora pendente, non consentono di ravvisare il necessario requisito della definitività, e dunque della certezza del controcredito richiesta per operare la compensazione, trattandosi di titoli accertativi del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio”.

Non resta che attendere l’intervento delle Sezioni Unite per verificare se anche questi aspetti saranno risolutivamente chiariti.

(Altalex, 30 settembre 2016. Articolo di Palmo Matarrese)

 

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