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La recente entrata in vigore del Codice della Crisi (CCII) di cui al D.Lgs. 14/2019, come novellato dal D.Lgs. 83/2022, ha dato nuova linfa al dibattito sugli “adeguati assetti organizzativi”.

L’argomento è fisiologicamente correlato al tema dei modelli organizzativi di cui al D.Lgs. 231/2001, a dispetto della diversa ratio delle norme, una mirata ad individuare tempestivamente i segnali della crisi d’impresa e l’altra a prevenire gli eventuali reati a carico della stessa (trattasi con evidenza di distinzione semplicistica e meramente esplicativa).

È evidente, peraltro, l’attitudine dei modelli 231 a costituire assetti organizzativi adeguati.

Norme del Codice della crisi sugli adeguati assetti organizzativi

Tale attitudine emerge con evidenza dalla lettura ragionata delle disposizioni del Codice della Crisi riguardanti gli assetti organizzativi adeguati, partendo dall’art. 3 CCII che reca disposizioni in materia di adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa da parte dell’imprenditore individuale e di quello collettivo.

Il primo deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte; l’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c. ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative secondo le modalità analiticamente descritte nella medesima norma.

In questa sede giova richiamare il contenuto dell’art. 2086 c. 2 c.c., come novellato dall’art. 375 CCII, in vigore già dal 16 marzo 2019.

La disposizione da ultimo citata, rubricata “assetti organizzativi dell’impresa”, introduce a carico dell’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva l’obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Continuando la lettura del Codice della Crisi, l’art. 377 CCII, rubricato “assetti organizzativi societari”, modifica gli artt. 2257,2380-bis, 2409-novies e 2475 c.c., stabilendo che la gestione dell’impresa rispettivamente nelle società di persone, nelle società per azioni, con sistema tradizionale o dualistico, e nelle società a responsabilità limitata, deve svolgersi nel rispetto dell’art. 2086 c. 2 c.c. e spetta esclusivamente agli amministratori (al consiglio di gestione nel caso del sistema dualistico).

Dalla lettura congiunta delle norme sopra richiamate emerge, da un lato, che l’obbligo di istituzione di assetti organizzativi adeguati è posto esclusivamente in capo agli amministratori; dall’altro, che detto obbligo è funzionale anche (ma non solo) alla tempestiva rilevazione della crisi.

Quanto al contenuto dell’obbligo, giova richiamare le norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate del CNDCEC e precisamente la norma 3.5, che definisce “adeguato” un assetto organizzativo se presenta una struttura compatibile alle dimensioni della società, nonché alla natura e alle modalità di perseguimento dell’oggetto sociale, nonché alla rilevazione tempestiva degli indizi di crisi e di perdita della continuità aziendale.

La stessa norma specifica che per assetto organizzativo si intende:

  • il sistema di funzionigramma e organigramma e, più precisamente, il complesso delle direttive e procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un elevato livello di competenza e responsabilità;
  • il complesso procedurale di controllo.

Il predetto sistema di direttive e procedure deve essere tale da assicurare una gestione dell’impresa orientata al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla governance in conformità a quanto previsto dalle disposizioni normative e regolamentari vigenti. In tal senso, attiene senz’altro alla definizione dell’assetto organizzativo l’individuazione delle modalità di strutturazione e funzionamento degli organi di amministrazione e di controllo, anche in proporzione alla natura e alla grandezza dell’impresa.

Raccordo tra Codice della Crisi e sistema 231

Il quadro sinteticamente descritto non può non evocare quanto disposto dagli art. 6 D.Lgs. 231/2001 e art. 7 D.Lgs. 231/2001 in materia di modelli di organizzazione, gestione e controllo dell’ente.

Si pensi all’art. 6 c. 2 D.Lgs. 231/2001 che, seppure in chiave di prevenzione dei reati nelle aree a rischio, stabilisce che i modelli debbano prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire, individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati, prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli, introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

Ancor più rappresentativo è l’art. 7 c. 3 D.Lgs. 231/2001: “il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”.

Certamente la locuzione “assetto organizzativo” inquadra un concetto più ampio rispetto al modello previsto dal D.Lgs. 231/2001, che peraltro ricomprende.

In ragione di quanto osservato in relazione alla definizione di “assetto organizzativo”, infatti, l’adozione di un modello organizzativo appare una scelta coerente con gli obiettivi del legislatore, sia in relazione all’esigenza di dotare l’impresa di una struttura organizzativa compatibile rispetto alla natura, alle dimensioni e alla complessità della stessa, sia al fine di garantire che i poteri e le funzioni siano assegnati ed effettivamente esercitati a livelli appropriati di competenza e responsabilità.

In altre parole, le disposizioni del Codice della Crisi rafforzano un approccio ormai consolidato che, superando la visione dell’adozione dei modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 esclusivamente in chiave di esenzione da responsabilità, inquadra gli stessi come strumenti di previsione e controllo che possono essere ricompresi nel perimetro applicativo di altre norme civilistiche già a partire dalla riforma del diritto societario del 2003.

Si pensi, ad esempio, all’art. 2381 c. 3 e 5 c.c., che ancor prima della riforma della crisi d’impresa stabilivano un principio generale di adeguatezza nel governo societario, ponendo in capo all’organo amministrativo l’onere di curare e valutare, in base alla natura e alle dimensioni dell’impresa, l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

Dunque, è evidente che il modello organizzativo rientra a pieno titolo nel perimetro degli adeguati assetti organizzativi delineato dal legislatore; è altrettanto evidente come il Codice della Crisi restituisca importanza alla disciplina della responsabilità degli enti imponendo, agli imprenditori che ancora non lo hanno adottato, una doverosa riflessione.

 

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