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L’esigenza di liquidità si conferma la preoccupazione principale delle PMI italiane durante la crisi connessa all’emergenza Covid-19. È il quadro che emerge da un sondaggio condotto da Api (Associazione Piccole e Medie Industrie) dal titolo “Liquidità, le PMI lanciano un SOS (?)”, che evidenzia una netta differenza tra la situazione delle aziende, in termini di risorse, prima e dopo l’epidemia.

In particolare, il 74% degli imprenditori valutava positivamente la liquidità della propria azienda prima del Covid-19, ma oggi il 65% dello stesso campione reputa negativa la propria situazione sul fronte delle risorse. Tra i problemi di liquidità principali vi sono gli insoluti (39%), la necessità di pagare i dipendenti (31,7%) e i pagamenti dei fornitori (24,4%).

“Per una piccola e media impresa la mancanza di liquidità è paragonabile ad avere un’automobile con serbatoio vuoto: sarà un’auto che non parte o che si fermerà presto”, dichiara Paolo Galassi, Presidente di Api. “E l’Italia come potrà tagliare il traguardo o posizionarsi in pole position se la sua scuderia non solo è senza benzina ma anzi la corsa delle PMI sarà frenata da mille altri ostacoli, come la burocrazia? Il know how del Made in Italy verrà disperso? A settembre, quando inizierà un autunno caldo in tema di relazioni industriali, dove finiranno le competenze dei lavoratori delle industrie?”.

Più della metà del campione (il 64,5%) si è già rivolto agli istituti di credito per richiedere un prestito. I finanziamenti più richiesti sono quelli garantiti al 100% dallo Stato, che con la conversione in legge del dl Liquidità possono arrivare ad un importo di 30.000 euro e avere una durata massima di 10 anni (qui è possibile scaricare il modulo e saperne di più). A questi prestiti si è rivolto il 50% delle PMI intervistate. Minori invece le percentuali di chi ha chiesto un prestito fino a 100.000 euro (10%), da 100.000 a 200.000 euro (5%), da 200.000 a 300.000 euro (15%), da 500.000 a 750.000 euro (5%), da 750.000 a 1 milione (10%), superiore al milione (5%).

Per quanto riguarda la durata (che, come detto, ora può essere di massimo 10 anni), la maggior parte delle PMI ha chiesto un finanziamento di 6 anni (60%), seguita da quelli di 4 anni (20%), 3 (15%) o inferiore ai 2 (5%).

Ma il dato più preoccupante è forse quello che mette in contrasto imprese e istituti di credito: dal sondaggio di Api infatti emerge che il 64% delle PMI intervistate giudica negativamente le informazioni e il supporto fornito dall’istituto di credito, con il 74% che non ha riscontrato corrispondenza tra le informazioni in suo possesso sul decreto Liquidità e quelle ricevute dalla banca.

“Abbattere il costo dei contributi da lavoro dipendente”, “maggiore accesso a crediti e finanziamenti semplificando la burocrazia”, “contributi a fondo perduto invece di prestiti” che indebitano ulteriormente le aziende: sono le richieste del Presidente di Api Galassi.

“Un’emergenza va gestita con misure straordinarie e con facilità di accesso agli strumenti”, continua Galassi. “I fondi ci sono, l’Europa è finalmente scesa in campo, ora gli imprenditori si aspettano che i soldi arrivino e non restino intrappolati a causa di cavilli e burocrazia. La tempestività è oggi un fattore imprescindibile per salvare le imprese. Tra le associate ci sono, infatti, aziende che registrano una perdita del fatturato del 70% e anche l’ultimo dei tanti decreti non ha fatto abbastanza. Alle piccole e medie imprese non servono briciole o assistenzialismo per tamponare l’emergenza ma una politica industriale che dia visione di lungo periodo, oltre a risposte chiare e immediate. Basta appunto vedere i ritardi nell’erogare la cassa integrazione, oltre alla mancanza di chiarezza e di norme univoche. Questa crisi ha fatto venire al pettine i nodi di un’economia già in crisi”.


 

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