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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 5 ottobre 2021, n. 26947.

Redazione

 

Con la recentissima ordinanza in oggetto, la Sesta Sezione Civile richiama due distinti ordini di principi, enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sul tema della «speciale autorizzazione» del fideiussore richiesta dalla norma dell’art. 1956 c.c., per il caso di credito fatto al debitore nella conoscenza (da parte del relativo creditore) del sopravvenuto, e significativo, peggioramento delle condizioni patrimoniali e/o economiche di questi.

Più nello specifico, la «banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e buona fede contrattuale».

Non è coerente con i principi di corretta e buona fede nell’esecuzione del contratto il fatto che «la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debito, sì che possa ritenersi che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore»[1].

Peraltro, «è onere della parte, che deduca la violazione del canone della buona fede dimostrare, non solo che la nuova concessione di credito sbavvenuta nonostante il peggioramento della condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza» del debitore principale»[2].

L’altro principio enunciato attiene direttamente alla conformazione dell’atto di «speciale autorizzazione», previsto dalla norma dell’art. 1956 c.c. Secondo l’orientamento costantemente seguito, tale atto non deve per legge rivestire una forma particolare, né, tantomeno, essere manifestato a mezzo di peculiari formule. L’atto autorizzativo può anche risultare in modo implicito (bensì univoco) dal comportamento tenuto dal fideiussore, laddove, in concreto, ricorrano determinate condizioni[3].

A fondamento di tale assunto vi è il convincimento per cui non solo la banca sia soggetta al rispetto del canone fondamentale della buona fede oggettiva, ma lo sia, in termini del tutto speculari, anche il fideiussore (venendo in considerazione il principio di buona fede nell’interpretazione dei negozi di cui all’art. 1366 c.c.), nonché, del pari, quello per cui la protezione accordata dall’art. 1956 c.c. al fideiussore debba rispondere a una situazione di oggettiva esigenza di quest’ultimo (di permanente sua estraneità rispetto ai reali termini dello svolgimento del rapporto garantito, cioè), senza spingersi oltre o in altre direzioni.

Con riferimento alla fattispecie attenzionata, si deve osservare come la nuda circostanza della sussistenza di un legame parentale o di affinità non si manifesta fenomeno in sé stesso espressivo di nessun comportamento concludente, né autorizzativo di concessioni di credito, ex art. 1956 c.c., né di altro. Tale circostanza neppure indica che il fideiussore (perché parente o affine del debitore principale o di chi ne gestisce le sorti) sia effettivamente edotto dei termini effettivi dello svolgimento dei rapporti bancari in essere, né, tantomeno, delle condizioni patrimoniali (stabili, migliorate o, per converso, peggiorate) in cui venga a versare il debitore principale.

Ciò non esclude che, nel ricorrere di determinate e rilevanti circostanze ulteriori, anche la prefata sussistenza di un rapporto parentale o di affinità possa, eventualmente, partecipare alla formazione di una prova relativa alla significatività e «concludenza» di un dato comportamento che sia stato tenuto dal fideiussore. Nella specie in esame, tuttavia, è stato evocato il puro e semplice fatto dell’esistenza di un legame di affinità, senza addurre dati ulteriori.

 

Qui l’ordinanza.


[1] Cfr. Cass. 9 agosto 2016, n. 16827; Cass. 16 maggio 2013, n. 11979; Cass. 11 gennaio 2006, n. 394.

[2] Cfr. Cass. n. 394/2006.

[3] Esemplare al riguardo appare la pronuncia di Cass. 23 marzo 2017, n. 7444, per cui nel caso in cui «nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale», «la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito»; cfr., in termini non diversi, Cass., 29 novembre 2019, n. 31227.


 

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