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Il Vicepresidente Confindustria per le filiere e le medie imprese, Maurizio Marchesini, è intervenuto in audizione sul DDL di conversione in legge del DL 2 marzo 2024, n. 19, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR presso la Commissione Bilancio e Tesoro della Camera dei deputati.

Nei giorni scorsi, il Governo ha presentato la quarta Relazione sullo stato di avanzamento del PNRR. Uno dei dati più importanti di quel documento riguarda il livello delle risorse finora impiegate: a fine 2023, l’Italia aveva speso 45,6 miliardi di euro, a fronte di 101,9 ricevuti. Rispetto al totale di 194,4 miliardi, che includono le nuove risorse REPowerEU, ne restano ancora da spendere 151,4. La Relazione evidenzia anche che a trainare l’impiego delle risorse sono stati, finora, gli incentivi ai privati (quasi 27 miliardi) più che gli investimenti pubblici (circa 16 miliardi).

Si tratta di evidenze significative, che leggiamo da almeno due angolature.

Da un lato, esse confermano l’esigenza di accelerare la fase di attuazione in modo da utilizzare, entro il 2026, tutti i 194,4 miliardi assegnati all’Italia. Abbiamo a disposizione poco più di un biennio e dobbiamo considerare che, a seguito della rimodulazione, abbiamo spostato in avanti, nel periodo 2024-2026, 18 miliardi della programmazione precedente.

Ma soprattutto, si tratta di un’opportunità che non possiamo fallire. Faremmo un danno enorme al Paese, anche perché non utilizzare queste risorse significherebbe condannarci a una crescita dello zero virgola per i prossimi anni. Oltre a ciò, vanificheremmo qualsiasi ambizione di costruire una capacità fiscale comune, necessaria per affrontare le transizioni e mettere l’Europa in condizione di competere con USA e Cina.

In questo contesto, le misure introdotte dal Decreto sono nel complesso positive, proprio perché orientate, da un lato, a supportare e rilanciare gli investimenti privati per la twin transition e, dall’altro, ad accelerare e rendere più trasparente l’attuazione del PNRR.

Partendo dal capitolo investimenti, quello a nostro avviso di maggior impatto per l’economia, l’istituzione del Piano transizione 5.0 è una misura cruciale per le imprese.

Entrando nel merito della misura, il Piano 5.0 risulta coerente con le principali indicazioni fornite da Confindustria nella costante interlocuzione avuta con il MIMIT nei mesi scorsi, vale a dire definire un quadro certo per l’accesso all’agevolazione; rafforzare il nesso tra digitalizzazione e sostenibilità; supportare l’adeguamento delle competenze.

Sulle risorse, a fronte di una Manovra di bilancio 2024 carente dal lato degli investimenti, 5.0 mette a disposizione delle imprese 6,3 miliardi di euro, che si aggiungono ai 6,4 residui per la prosecuzione del Piano 4.0 fino al 2025, già stanziati con la Legge di bilancio 2021.

Positivo anche il coinvolgimento del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), che diventa il riferimento per l’accesso all’agevolazione, nonché per alcune forme di controllo.

Al contempo, occorre rilevare che l’operatività di 5.0 non è immediata, ma passa per un decreto attuativo, indispensabile per rendere concrete le nuove misure e la cui gestazione non sarà agevole. In vista di questo passaggio, evidenziamo fin d’ora alcuni punti di attenzione, su cui occorre riflettere, vista anche la rilevanza della misura in ottica PNRR.

Ci riferiamo principalmente a tre profili: 1) i ristretti tempi di implementazione; 2) le limitazioni previste per alcune categorie di imprese, che svolgono attività considerate in contrasto con il principio ambientale DNSH (Do Not Significant Harm); 3) il divieto di cumulo con le agevolazioni previste nella cd. ZES Unica.

 1.            Il primo punto riguarda i tempi di implementazione di 5.0: di fatto, per realizzare gli investimenti avremo a disposizione meno di due anni. Ciò comporta che, nei prossimi mesi, potrebbero verificarsi alcune strozzature dal lato dell’offerta, cioè l’impossibilità dei fornitori di completare ordini concentrati in un lasso temporale ristretto.

2.            Un secondo punto di attenzione riguarda le limitazioni previste per alcune categorie di imprese, che svolgono attività considerate in contrasto con il principio di non arrecare un danno significativo all’ambiente (DNSH). Per quanto riguarda i settori ETS, segnaliamo che la norma escluderebbe numerose imprese (più di 1.000) della produzione di carta, ceramica, acciaio, metalli non ferrosi, vetro, ghisa, cemento, diversi prodotti chimici, idrogeno, ecc., che rappresentano comparti strategici per il Paese, in quanto sono alla base delle filiere industriali e ne condizionano la competitività. Pertanto, le imprese che appartengono a tali settori andrebbero incluse nel perimetro di 5.0 per supportarle, attraverso l’efficienza energetica e gli investimenti in fonti rinnovabili, nel percorso di abbattimento delle emissioni, con benefici che si trasmetterebbero, a valle, a tutte le filiere produttive. Pertanto, considerato che il decreto attuativo dovrà indicare anche le eccezioni agli investimenti non agevolabili, auspichiamo un confronto costruttivo col Governo per circoscrivere, in quella sede, il perimetro delle esclusioni.

3.            Un terzo punto di attenzione riguarda il Sud, poiché 5.0 non è cumulabile con le agevolazioni – ancora da attuare – previste nella c.d. ZES Unica. Non si comprendono le ragioni di questo divieto (fermo quello di sovracompensazione), se solo si considera che 5.0 contiene misure generali e non selettive. Peraltro, il DL riduce in modo sostanziale il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, molto utilizzati proprio nelle regioni del Mezzogiorno; il quadro complessivo che si delinea rischia di non essere, quindi, favorevole al rilancio degli investimenti e alla riduzione dei divari in quell’area del Paese.

In conclusione, qualche ulteriore considerazione su 5.0.

Anzitutto, per ribadire la centralità di questo strumento. L’Europa ha fissato target di transizione vincolanti, per cui è essenziale accompagnare le imprese in questo percorso, basandosi sul criterio della neutralità tecnologica e favorendo l’evoluzione dei processi produttivi e l’innalzamento dei tassi di digitalizzazione e di innovazione organizzativa. Tutti obiettivi coerenti con la nuova misura, a maggior ragione se verranno considerati i punti di attenzione che abbiamo evidenziato.

E a questo proposito, sottolineiamo l’urgenza di definire i contenuti del decreto attuativo e fornire così alle imprese, in tempi compatibili con le strategie di investimento, i necessari chiarimenti sui diversi punti aperti. Su questo occorrerà, sin da subito, un coordinamento tra i diversi attori istituzionali coinvolti, cioè MIMIT, Agenzia delle Entrate e GSE; inoltre, il nostro auspicio è che venga istituita una cabina di regia con le imprese che possa garantire un confronto ampio e continuo nel tempo sull’attuazione dell’agevolazione.

 

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