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Il carattere distintivo del marchio anteriore, in particolare la sua notorietà, deve essere preso in considerazione al fine di valutare se la somiglianza tra i prodotti od i servizi contraddistinti da due marchi sia sufficiente a provocare un rischio di confusione. Per determinare se sussista identità o somiglianza dei prodotti o dei servizi in questione, è necessario tenere conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra tali prodotti, vale a dire la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego, nonché la loro concorrenzialità o complementarietà.

Sono questi i principi sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. I civile, nell’ordinanza n. 31938 del 6 dicembre 2019 (testo in calce) con riferimento al tema del rischio di confusione tra marchi.

Sommario

1. Il caso

2. La decisione

1. Il caso

Il caso ha visto una spa depositare, nel 2011, la domanda di registrazione di un marchio figurativo per gli articoli rientranti nella classe 30 di cui all’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957 [1].

Una rinomata società multinazionale americana di alimenti e bevande ha però proposto opposizione sulla base di 3 marchi registrati.

L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) ha accolto parzialmente l’opposizione con l’esclusione dei prodotti “chewing gum, zucchero e cacao” perché ritenuti non affini.

La spa ha indi impugnato la decisione che la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell”UIBM ha accolto parzialmente, vale a dire limitatamente all’infondatezza dell’opposizione per le categorie merceologiche “caramello” e “caffé” in quanto giudicate ulteriormente escluse.

La spa ha presentato ricorso per cassazione, contestando in particolare la violazione dell’art. 12, comma 1, lett. d), del D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) con riferimento alla valutazione di affinità tra i prodotti destinati ad essere contraddistinti dai marchi.

La società ricorrente ha infatti eccepito che la Commissione avrebbe ignorato il consolidato orientamento giurisprudenziale che collega la definizione di affinità alla funzione di indicazione di provenienza del marchio e ravvisa l’affinità laddove la clientela possa ragionevolmente ritenere il collegamento dei prodotti alla medesima fonte produttiva.

La spa ha impugnato il provvedimento anche con riferimento al giudizio sulla confondibilità tra i marchi, denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nonché la non corretta applicazione dell’art. 12, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 30/2005 relativamente all’esame della componente distintiva del marchio anteriore.

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2. La decisione

Secondo quanto previsto dall’art. 1 del D.lgs. n. 30/2005 possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente sempre che siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

L’art. 12, comma 1, lett. d), del D.lgs. n. 30/2005 esclude tuttavia la possibilità di registrazione per i segni che alla data del deposito della domanda: siano identici o simili ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

In merito alla questione della valutazione di affinità tra i prodotti, la Cassazione ha innanzitutto evidenziato che la Commissione, nel caso di specie, si era conformata a quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità in forza della quale si intendono affini quei prodotti o servizi che, per la loro natura, la loro destinazione, alla medesima clientela o alla soddisfazione del medesimo bisogno, risultano in misura rilevante fungibili e, pertanto, in concorrenza tra loro.

La mancanza della distinzione precisa tra i segni che identificano i prodotti o i servizi nel mercato comporta pertanto il rischio di confusione e consequenzialmente dell’illecita aggressione all’altrui avviamento ed all’altrui clientela.

La Cassazione ha ulteriormente aggiunto che l’inclusione di due prodotti nella medesima classe merceologica prevista dall’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957 non è idonea a provarne l’affinità che non può tuttavia essere neppure esclusa dall’appartenenza degli stessi a classi differenti [2] [3].

L’apprezzamento sulla confondibilità deve pertanto essere compiuto verificando non solo l’identità o quantomeno la confondibilità tra i segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti, sulla base quantomeno della loro affinità.

Si tratta di giudizi che non possono però essere considerati tra loro indipendenti perché sono entrambi strumenti che permettono di accertare la confondibilità tra le imprese [4].

I Giudici di legittimità hanno dunque evidenziato che il giudizio di affinità va fondato sulla fungibilità dei prodotti per la loro natura e la loro destinazione alla medesima clientela od alla soddisfazione del medesimo bisogno.

Con la precisazione che l’affinità implica la comunanza di una qualità ontologica dei prodotti e non la mera appartenenza ad un medesimo ambito di origine culturale o di costo [5].

Si tratta di conclusioni che sono peraltro conformi a quanto previsto dalla normativa e dalla giurisprudenza europea [6].

Secondo quanto affermato dalla Corte UE, un rischio di confusione presuppone nel contempo un’identità o una somiglianza tra il marchio di cui è chiesta la registrazione ed il marchio anteriore ed un’identità o una somiglianza tra i prodotti od i servizi indicati nella domanda di registrazione e quelli per i quali è stato registrato il marchio anteriore.

Sono condizioni cumulative in quanto l’esistenza di un rischio di confusione per il pubblico deve essere oggetto di valutazione globale in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie [7].

Sempre relativamente al giudizio di confondibilità, la Cassazione ha anche ricordato che la qualificazione del segno distintivo come marchio c.d. “debole” non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione bensì solamente sull’intensità della tutela.

Per il marchio c.d. “debole” la confondibilità è infatti esclusa nel caso di modificazioni od aggiunte, anche lievi, mentre per quanto concerne il marchio c.d. “forte” sono considerate illegittime tutte le modifiche, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale o il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante [8].

Alla luce dei richiamati principi, la Cassazione ha rigettato i motivi di ricorso.

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 31938/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF


[1] La classe 30 di cui all’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957 sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, si riferisce al seguente genere di prodotti: “caramelle, confetteria, pasticceria, dolci, chewing gum, caramello, cioccolato, gelatine, confetteria, caramelle gommose, lecca – lecca, toffees, mentine, liquirizia, zucchero, caffè, cacao”

[2] Cass. civ. Sez. I, Sent., 18/08/2017, n. 20189.

[3] Cass. civ. Sez. I, Sent., 13/02/2009, n. 3639.

[4] Cass. civ. Sez. I, 10/10/2008, n. 24909; Cass. civ. Sez. I, Sent., 04/05/2009, n. 10218.

[5] Cass. civ. Sez. I, 22/12/2004, n. 23787.

[6] Secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lett. d) della Direttiva CEE 16 dicembre 2015, n. 2015/2436, un marchio d’impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo se l’identità o la somiglianza di detto marchio d’impresa col marchio d’impresa anteriore e l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi d’impresa può dar adito a un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione tra il marchio d’impresa e il marchio d’impresa anteriore.

[7] Corte di giustizia UE, sez. I, 18/12/2008 (Causa C-16/06 P).

[8] Cass. civ. Sez. I, Ord., 18/06/2018, n. 15927; Cass. civ. Sez. I, Sent., 24/06/2016, n. 13170.

 

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