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Cos’è il lavoro nero e quali sono le sanzioni previste? Come denunciare il lavoro irregolare o sommerso e quali sono le conseguenze.

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di Paolo Ballanti – 12 Luglio 2024


Per lavoro nero (detto anche “lavoro sommerso” o “irregolare”) si intende la pratica di impiegare lavoratori subordinati senza aver comunicato l’assunzione al Centro per l’impiego, con tutte le relative conseguenze su INPS, INAIL ecc.

Ogni datore di lavoro è tenuto infatti ad inoltrare un’apposita comunicazione telematica Unilav entro le ore 24 del giorno che precede quello di avvio del rapporto, fatta eccezione per i casi di urgenza e forza maggiore. L’adempimento è utile per denunciare agli enti preposti (Centri per l’impiego, Ministero del lavoro, INPS e INAIL) che si sta instaurando un rapporto di lavoro subordinato. Se manca la comunicazione, lo Stato è totalmente all’oscuro che quel soggetto sta svolgendo attività lavorativa in azienda. Ed è in questi casi che si parla di lavoro nero.

Diversa invece è la pratica del cosiddetto lavoro grigio, una pratica molto diffusa che prevede la regolare assunzione del lavoratore, per evitare le sanzioni da lavoro nero, ma con mansioni, livello e orari più bassi per pagare meno tasse e contributi sul lavoro.

Ecco i dettagli.

Lavoro irregolare: danni per il lavoratore e per lo Stato

Considerando che per chi è occupato in nero non vengono versati i contributi all’INPS e nemmeno le tasse all’Erario, il lavoro sommerso è un danno per lo Stato oltre che per gli stessi lavoratori coinvolti. Questi infatti vedranno accreditarsi ad esempio una pensione inferiore a causa dei periodi lavorati in nero, per i quali non sono stati versati i contributi all’INPS necessari per finanziare appunto l’assegno pensionistico.

Un modo per uscirne c’è. Il lavoratore può rivolgersi all’Ispettorato del lavoro competente per territorio o alla Guardia di finanza che procederanno alle opportune verifiche ispettive. Qualora dai controlli emerga che l’azienda ha occupato dei lavoratori in nero, la legge prevede l’applicazione di rilevanti sanzioni per l’azienda e non solo.

Approfondiamo nel dettaglio quali passi devono essere compiuti per denunciare il lavoro nero e cosa rischia l’azienda.

Lavoro nero: come comportarsi

Se non è l’ispettorato ad agire direttamente con una normale ispezione sul lavoro, può essere il lavoratore a denunciare il datore di lavoro nei casi di lavoro sommerso o irregolare.

La prima cosa che dovrebbe fare il lavoratore in nero è infatti denunciare la propria occupazione irregolare:

  • all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente,
  • alla Guardia di Finanza (o altra pubblica sicurezza),
  • oppure rivolgendosi ad un sindacato.

Ecco come procedere e cosa cambia da caso a caso.

Denuncia lavoro nero all’Ispettorato territoriale del lavoro

Il lavoratore può rivolgersi alla sede dell’Ispettorato territoriale del lavoro competente per il luogo in cui questi è irregolarmente occupato, al fine di richiedere una verifica ispettiva nei confronti dell’azienda. L’interessato può presentarsi di persona o in alternativa inviare una PEC o una raccomandata con avviso di ricevimento.

Chi denuncia è tenuto ad identificarsi. In nessun caso l’Ispettorato può prendere in considerazione richieste anonime di verifiche ispettive, a meno che non emerga con assoluta e incontrovertibile evidenza l’attendibilità e la gravità dei fatti denunciati. Ad ogni modo, la riservatezza del lavoratore è garantita dall’omissione, nel verbale di primo accesso ispettivo e nei documenti successivamente prodotti dall’Ispettorato, di qualsiasi riferimento al soggetto che ha inoltrato la denuncia. Questo per evitare eventuali ritorsioni dell’azienda.

E’ bene comunque che la denuncia sia accompagnata da prove documentali (eventuali assegni ricevuti dal datore, annotazione degli orari di entrata e uscita, dettagli dell’attività lavorativa prestata) e dichiarazioni di testimoni (colleghi o soggetti terzi che frequentano i luoghi posti nelle immediate vicinanze dell’azienda come bar o edicole).

Sulle procedure ispettive si segnala un precedente approfondimento.

Denuncia lavoro nero alla Guardia di finanza

In alternativa, il lavoratore in nero può rivolgersi alla Guardia di finanza (o chiamare il 117) dal momento che ai casi di lavoro sommerso si accompagnano fenomeni di evasione fiscale. Per facilitare l’attività degli uffici è reso disponibile in rete un fac-simile di denuncia contenente:

  • I dati di chi denuncia;
  • Il luogo in cui sono occupati i lavoratori in nero;
  • I documenti probatori dell’irregolarità (da allegare).

Il modulo (con il documento di riconoscimento del denunciante) può essere consegnato anche da un terzo in possesso di apposita delega. Ad ogni modo, la Guardia di finanza non rivelerà all’azienda chi li ha denunciati.

Vertenza sindacale e/o causa di lavoro

Ultima opzione per il lavoratore in nero è quella di rivolgersi al proprio sindacato di categoria; questo può contattare il datore di lavoro e avviare un tentativo di conciliazione tra le parti coinvolgendo anche Ispettorato del lavoro, INPS e INAIL. Qualora la conciliazione non abbia esito positivo, il lavoratore può intentare una causa dinanzi al Giudice del lavoro, eventualmente facendosi assistere dagli studi legali convenzionati con il sindacato.

Per i dettagli della vertenza sindacale si rinvia all’approfondimento: Vertenza sindacale: significato, quando farla e costi da sostenere

Lavoro nero, sanzioni

Dal punto di vista amministrativo la principale conseguenza per l’azienda che ha lavoratori irregolari è l’applicazione delle sanzioni per lavoro nero. Altre conseguenze sono poi previste sul piano civile (il lavoratore potrebbe intentare causa al datore per ottenere differenze retributive, straordinari non pagati o tfr).

Vediamole le sanzioni per lavoro in nero, con gli importi aggiornati alla Legge di Bilancio 2019.

Maxisanzione per lavoro nero

Il datore che occupa personale “in nero” è tenuto a pagare una sanzione amministrativa pecuniaria (esclusi i casi di pagamento in misura ridotta). Dal 2 marzo 2024 , con l’entrata in vigore del DL 19 2024 gli importi sono sono aumentati come segue:

  • da 1.950 a 11.700 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro (in caso di recidiva 2.400-14.400);
  • da 3.900 a 23.400 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di effettivo lavoro (in caso di recidiva 4.800-28.800);
  • da 7.800 a 46.800 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di effettivo lavoro (in caso di recidiva 9.600-57.600).

Sono esclusi dalla sanzione i datori di lavoro domestico e i casi di omessa comunicazione di rapporti di lavoro instaurati con lavoratori autonomi o parasubordinati per i quali non è stata fatta, se obbligatoria, la comunicazione preventiva. Sono inoltre previste maggiorazioni in caso di recidiva per le stesse irregolarità.

Leggi anche: Maxisanzione lavoro nero 2024: come cambiano gli importi e altre novità

Quando non si applica la maxisanzione

La maxi sanzione non si applica se:

  • Dagli adempimenti di carattere contributivo in precedenza assolti (come l’invio della denuncia mensile UNIEMENS) risulta la volontà del datore di non occultare il rapporto. Anche se la qualificazione ad esso assegnata dalle parti è differente (ad esempio è stata denunciata una co.co.co. mentre dall’ispezione emerge che il rapporto ha natura subordinata), in questo caso si rendono applicabili la sola sanzione per mancata comunicazione preventiva e le sanzioni dovute per le differenze di contribuzione;
  • Se il datore, prima dell’ispezione, dell’accertamento o di un’eventuale convocazione per un tentativo di conciliazione, regolarizza spontaneamente, per l’intera sua durata, il rapporto avviato senza la preventiva comunicazione obbligatoria.

Per poter avere uno “sconto” sulle sanzioni si può accedere alla diffida obbligatoria. Se il lavoratore trovato in nero viene assunto:

  • per un periodo di 120 giorni con contratto a tempo indeterminato anche part-time
  • o a tempo determinato e full time per un periodo non inferiore a tre mesi,

la sanzione sarà applicata in misura minima. E’ importante sottolineare che in entrambi i casi il tempo minimo deve essere rispettato obbligatoriamente. Quindi si può decadere da questo beneficio anche se il lavoratore si dimette prima o il rapporto di lavoro si interrompe in anticipo per qualsiasi ragione.

Sospensione dell’attività e sanzioni sicurezza sul lavoro

Infine, incorre nel provvedimento di sospensione dell’attività l’azienda in cui almeno il 20% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti irregolare. Novità importante: la percentuale passa dal 20 al 10% con il Collegato Fiscale 2022.

Nei casi di irrogazione della maxisanzione non trovano applicazione le altre ordinarie sanzioni amministrative; quelle cioè previste in caso di omessa comunicazione obbligatoria o di omessa o infedele registrazione sul Libro unico del lavoro.

Infine in caso di lavoro nero troveranno applicazione anche le sanzioni riguardo alla materia della salute e sicurezza sul lavoro D.lgs. 81/08.

Altre sanzioni lavoro sommerso

Altre sanzioni che possono chiamare in causa l’azienda sono:

  • Sanzioni INPS per omesso versamento dei contributi;
  • Sanzione per mancato Unilav;
  • Sanzione per mancata consegna della lettera di assunzione;
  • Sanzioni INAIL per omesso versamento dei premi assicurativi;
  • Il lavoratore potrebbe intentare causa all’azienda per ottenere il riconoscimento delle differenze di retribuzione. Secondo quanto previsto dal contratto collettivo applicato e da tutti gli altri istituti di correlati (straordinari, indennità, ferie e permessi, tfr);
  • Sanzioni per la corresponsione della retribuzione in contanti (Leggi il ns approfondimento: Divieto retribuzione in contanti: sanzione doppia se c’è anche lavoro nero);
  • Sanzioni per mancata formazione / informazione sicurezza sul lavoro.

Lavoratore in nero: cosa rischia il dipendente

Vediamo infine cosa rischia il lavoratore in nero? Nella generalità dei casi la persona che che lavora in nero esce più tutelata da questa situazione, in quanto vittima del datore di lavoro ovvero parte lesa.

Tuttavia potrebbe capitare che il lavoratore sia d’accordo con l’azienda perchè trae anch’esso dei vantaggi da questa situazione. Si pensi ad esempio al percettore di una prestazione a sostegno del reddito, come ad esempio il disoccupato che prende la NASpI oppure il Reddito di Cittadinanza. Questo potrebbe continuare a percepire la disoccupazione e in più guadagnare uno stipendio da lavoro.

In questi casi anche il lavoratore rischia grosso, in quanto oltre a vedersi revocata la disoccupazione o l’RdC, potrebbe essere costretto a restituire anche gli arretrati se viene accertato che lavora da molto tempo. Inoltre vi sono anche delle conseguenze penali, in quanto il lavoratore in questo caso compie una truffa nei confronti dell’INPS per percepire indebitamente una prestazione che non gli spetta.

Cassazione Lavoro Nero: altre Sentenze

Ecco un elenco di utili sentenze della Cassazione sul Lavoro Nero.

Cassazione: anche i compensi in nero del lavoratore devono essere dichiarati al fisco

La Cassazione, con sentenza nr. 9867 del 5 maggio 2011, ha stabilito che il contribuente è tenuto in ogni caso, a dichiarare al Fisco, i compensi “in nero” che, andranno a formare la base imponibile d’imposta. La sentenza ha riguardato una lavoratrice che, impugnava un avviso di accertamento IRPEF con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione i redditi percepiti, e non dichiarati, dalla società per la quale la ricorrente lavorava, nel corso dell’anno 1996, con irrogazione delle relative sanzioni. I pagamenti effettuati “a nero” dalla società risultavano dalle ricevute autografe della lavoratrice, rinvenute ed acquisite in occasione di una verifica fiscale effettuata a carico della, stessa società.

Gli Ermellini, rifacendosi a precedenti orientamenti giurisprudenziali, (Cass. 8504/2009), hanno ribadito che “in caso di mancato versamento della ritenuta d’acconto da parte del datore di lavoro, il soggetto obbligato al pagamento del tributo è comunque anche il lavoratore contribuente” .

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