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Nell’ambito di un articolato giudizio avente ad oggetto il reclamo proposto da una società di capitali avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, mediante la pronuncia de qua, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui criteri da adottare per la valutazione dello stato di insolvenza laddove la società sia in liquidazione, soffermandosi sul rilievo assunto a questo fine del finanziamento soci soggetto alla postergazione ex art. 2467 c.c.

Nello specifico, con il ricorso in cassazione la società ricorrente ha censurato la sentenza della Corte d’Appello di Messina nella parte in cui statuiva che la postergazione del rimborso dei finanziamenti soci (accertata in sede di giudizio) non escludesse la natura di passività della relativa esposizione della società verso i soci medesimi, con la conseguenza che l’importo dei finanziamenti avrebbe rappresentato una posta passiva di cui tenere conto nell’accertamento dello stato di insolvenza.

La società ricorrente ha sostenuto, di contro, che ai fini esclusivi dell’applicazione dell’art. 5 l. fall. ad una società in liquidazione non dovrebbe essere considerato anche il debito da restituzione dei finanziamenti soci in quanto, ad intervenuto fallimento, tale debito non sarebbe per legge passibile di soddisfazione.

Sul punto, la Suprema Corte ha innanzitutto richiamato il proprio consolidato indirizzo, secondo cui “ove la società sia in liquidazione, l’accertamento del requisito di cui alla L. fall., art. 5, deve essere basato sulla nozione di insolvenza cd. patrimoniale, vale a dire sulla mera circostanza che, alla data della sentenza di fallimento, la situazione patrimoniale esistente sia tale da far ritenere che gli elementi attivi del patrimonio non siano sufficienti ad assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori”. Ciò, in quanto “non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci”, non è richiesto che tale società disponga, “come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte” (cfr. da ultimo Cass. 28193/2020; Cass. 24660/2020).

Con riguardo al ruolo del finanziamento soci ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, la Corte ha ribadito che il regime dei finanziamenti dei soci, previsto dagli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., secondo cui essi sono postergati ove concessi in una situazione di squilibrio patrimoniale, non ne muta la natura di finanziamenti e non li trasforma in apporti assimilati al capitale di rischio (crediti sottochirografari, in quanto da rimborsare dopo gli altri creditori, ma prima dei soci).

I finanziamenti cd. anomali restano prestiti e non divengono apporti di capitali, i quali ultimi verranno rimborsati solo all’esito della liquidazione, dopo, quindi, la restituzione anche dei prestiti anomali”. Ne consegue, ad avviso della Suprema Corte, che anche il finanziamento soci deve essere considerato ai fini della valutazione della configurabilità, o non, dello stato di insolvenza della menzionata società, ai sensi della L. fall., art. 5, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo ai criteri utilizzabili per accertare la configurabilità, o meno di un tale stato in una società in liquidazione.

 

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