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Con il D.Lgs. n. 83/2022 si è data attuazione ai principi della Direttiva UE n. 1023/2019 c.d. Insovency, intervenendo su istituti alternativi alla procedura concorsuale per eccellenza, che da fallimento è diventata liquidazione giudiziale. In questa prospettiva il Titolo IV assume la nuova rubrica di “Strumenti di regolazione della crisi”, e all’interno del primo capo, relativo agli “Accordi”, troviamo una prima sezione composta da un solo articolo, l’art. 56, dedicato agli “Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”. 

In prima battuta preliminare va evidenziato il concetto di “Accordi”, poiché il Piano di risanamento è rivolto ai creditori, ma pur sempre è un atto unilaterale attraverso cui l’impresa riprogramma la propria vita aziendale da un punto di vista economico-finanziario-patrimoniale, ovvero avviando strategie efficaci di riposizionamento dell’impresa. I creditori sono chiamati a dare il consenso ma non ad approvarlo, né tanto meno a sottoscriverlo.

Di seguito la mappa concettuale dell’argomento in auge.

Allora basilare diventa la domanda cosa sia il piano attestato di risanamento? Il piano attestato di risanamento è un istituto giuridico che nella vecchia espressione presente nella legge fallimentare non aveva esplicita definizione, ma trovava una disciplina incidentale dei suoi effetti – relativamente all’esenzione da revocatoria – così come previsto dall’art. 67, comma 3, lett. d) della L. fall.

Tale piano può trovare, nella realtà quotidiana, rappresentazione da un business plan che, dopo aver analizzato le cause della crisi e la natura dell’attività caratteristica esercitata dall’impresa, passa ad individuare e a programmare una serie di correttivi volti a consentire il risanamento della stessa, che possono guardare al riequilibrio patrimoniale (ad es. aumento di capitale), ovvero al riequilibrio economico mediante il contenimento di costi (dismissioni, riduzioni del personale), oppure ancora alla eliminazione di ostacoli tecnologici o di mercato (rilancio dell’attività, partnership distributiva, ecc.), ovvero al ripristino più generale della marginalità positiva dell’attività stessa. Il piano può, tuttavia, accompagnarsi ad uno o più accordi con i creditori, idonei a consentire l’equilibrio finanziario del piano (ad es. remissioni totali o parziali di debito, rinunce ad interessi, rateizzazione del debito, rilascio di garanzie, ecc.). Al piano si deve accompagnare, quale elemento necessario, una relazione di attestazione circa la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità dello stesso piano a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’imprenditore. Per questo si parla, più propriamente, di piano attestato di risanamento.

Cosa indicare nel Piano attestato di risanamento? Il seguente schema cerca di riassumere le intenzioni del legislatore nel nuovo CCII.

Quando si ricorre al piano attestato di risanamento?  Ci si ricorre quando l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza vuole rivolgersi ai creditori e ad essi indirizzare un piano di riequilibrio economico-finanziario nel contesto di continuità aziendale. Tendenzialmente il ricorso al piano di risanamento avviene nelle situazioni di crisi meno gravi, non ancora sfociate in situazioni di vera e propria insolvenza, o non ancora     caratterizzate da un’accesa conflittualità con i creditori, posto che altrimenti possono risultare più adatti altri strumenti di regolazione della crisi , quali gli “accordi di ristrutturazione dei debiti” o il “concordato preventivo”, per gli effetti protettivi che accompagnano questi istituti e che mancano, invece, nell’ipotesi dei piani di risanamento. In alternativa, misure protettive possono essere conseguite attraverso la composizione negoziata.

Il nuovo art. 56 del CCI disciplina in modo innovativo il contenuto tipico di questo strumento di regolazione della crisi di carattere stragiudiziale e non concorsuale, prevedendo in particolare che il piano sia redatto per iscritto ed abbia data certa.

In sede di c.d. Correttivo al Codice della crisi e dell’insolvenza – adottato con il D.Lgs. n. 147/2020 – si è data maggiore importanza alla presenza del piano industriale, che deve evidenziare i suoi effetti sulla strategia finanziaria, nonché all’esigenza che siano indicati i creditori estranei e specificate le fonti destinate al loro soddisfacimento, così da rendere la documentazione necessaria all’adozione di questa misura negoziale di regolazione della crisi più completa e simile a quella da produrre a sostegno dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. A tal proposito si è altresì previsto che la facoltà di pubblicazione nel registro delle imprese debba compiersi unitamente all’attestazione ed agli accordi raggiunti con i creditori.

Risultano fondamentali le tecniche professionali dei piani di risanamento esplicate, e che riguardano inizialmente alla verifica dei dati aziendali, per poi passare ad individuare le cause della crisi e, di conseguenza, le operazioni o manovre correttive più idonee al superamento di tale stato, e che successivamente vanno attestate come fattibili. Rispetto a quanto fin qui evidenziato, è rilevante la raccolta delle leges artis approvata dal Consiglio Nazionale dei dottori Commercialisti ed Esperti contabili, con delibera del 3 settembre 2014, nel documento relativo ai Principi di attestazione dei piani di risanamento (aggiornati con successiva delibera del 16/12/2020), cui hanno fatto seguito i Principi di redazione dei piani di risanamento, presentati dal CNDCEC nel settembre 2017 ed aggiornati il 26/05/2022. Tali principi assumono rilevanza anche con riferimento alle metodiche da seguire nella redazione dei piani e nelle attestazioni presenti in ambito concordatario o negli accordi di ristrutturazione.

Il piano attestato di risanamento è una procedura concorsuale? Lo strumento di regolazione della crisi previsto dal nuovo art. 56 CCII ha carattere stragiudiziale e non concorsuale. La natura non concorsuale dei piani è stata ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multiis, Cass. n. 9087/2018), nella cui motivazione è dato leggere che “il piano attestato di risanamento ex art. 67 l.fall. non è una “procedura concorsuale”, ma rientra nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali”, mancando di qualsivoglia intervento giudiziale (sia esso di valutazione o di controllo) e della partecipazione necessaria del ceto creditorio, essendo piuttosto frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria” che nella sua traduzione operativa, poi, viene ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attestatore, che può anche comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con i creditori o terzi in genere, come conferma la possibilità di scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d), che di per sé rappresenta una scelta propria dell’autonomia d’ impresa”.

Quali vantaggi comporta il piano attestato di risanamento? 

L’utilizzo del piano attestato ha due importanti vantaggi rispetto ad altre soluzioni puramente stragiudiziali della crisi, consistenti negli effetti che lo stesso produce quale istituto meritevole di tutela nel nostro ordinamento: l’esenzione da revocatoria e da responsabilità penale.

Non si tratta di una esenzione indiscriminata, naturalmente, ma la stessa va attentamente valutata rispetto ai nuovi artt. 166 c. 3, lett. d) e 324 CCII, che fungono altresì da incentivi ad affrontare in modo virtuoso e tempestivo la crisi di impresa, essendo evidente che questo istituto è utilizzabile (proprio perché manca di effetti protettivi e riposa sull’accordo con i creditori) nei casi in cui la crisi è appena iniziata e non ha ancora dato origine ad iniziative aggressive dei terzi o ad un ingente indebitamento con l’erario. La giurisprudenza di legittimità con la sentenza di Cassazione n. 3018/2020 cosi mette in luce che: “il giudice deve effettuare, con giudizio “ex ante”, una valutazione, parametrata sulla condizione professionale del terzo contraente, circa l’idoneità del piano, del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo, a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, seppure in negativo, vale a dire nei soli limiti dell’assoluta, evidente inettitudine del piano presentato dal debitore a tal fine”.

L’esenzione da revocatoria riguarda gli atti, i pagamenti e la concessione di garanzie su beni del debitore, purchè siano esecutivi del piano attestato ed in esso siano specificamente indicati. L’esenzione, rispetto al passato, non riguarda solo la revocatoria fallimentare ma anche quella ordinaria, ed è destinata a venir meno in caso di dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore di cui il creditore (o il terzo che compie l’atto da revocare) sia a conoscenza.

L’esenzione da responsabilità penale non è indiscriminata: per favorire il piano attestato e gli accordi attuativi riguarda infatti la sola bancarotta preferenziale e la bancarotta semplice, così che un piano che contenesse operazioni distrattive dell’azienda continuerebbe a poter essere perseguito penalmente.

Da notare che oggi è possibile ottenere effetti equivalenti a quelli del piano attraverso un accordo con i creditori raggiunto in sede di composizione negoziata, purchè sottoscritto anche dall’esperto che giudichi coerente il piano, che sta alla base della soluzione raggiunta, rispetto alla regolazione della crisi o dell’insolvenza (art. 23 c. 1 lett. c) CCI).

Una importante novità del nuovo Codice, peraltro coerente all’allargamento della stabilità degli atti e pagamenti esecutivi del piano anche rispetto alla revocatoria ordinaria, riguarda il presupposto soggettivo: l’istituto appare infatti utilizzabile dall’imprenditore tout court, non necessariamente commerciale (vds. art. 56, comma primo, CCII), quindi ad esempio anche da parte dell’imprenditore agricolo, mentre vanno espresse perplessità circa la sua utilizzabilità da parte dell’imprenditore “sotto soglia”, come un autore ha proposto, considerato che l’impianto del codice mantiene una netta distinzione fra imprese dotate oppure prive dei requisiti dimensionali di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), mentre anche lo stesso art. 25 quater in tema di composizione negoziata per le imprese “sotto soglia” non prevede il piano attestato fra i possibili strumenti utilizzabili in caso di esito negativo della contrattazione con i creditori.

 

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