Nota a Trib. Marsala, 20 gennaio 2022.
di Antonio Zurlo
Le circostanze di fatto.
Nella specie, l’Istituto di credito opponente deduceva di aver notiziato l’opposta, per il tramite di raccomandata A/R, di non essere in possesso di alcuna documentazione afferente ai rapporti oggetto di causa; per tale ragione, si opponeva al decreto ingiuntivo e alla concessione della provvisoria esecutorietà dello stesso, deducendo l’inesistenza della documentazione oggetto della condanna al rilascio. Contestava, altresì, l’ultradecennalità della documentazione richiesta, nonché l’abuso del processo da parte dell’opposta, chiedendo, in conseguenza, la condanna per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c.
Parte opposta, costituendosi in giudizio, insisteva per la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto opposto.
La decisione del Tribunale.
A giudizio del Tribunale marsalese, l’opposizione proposta dalla Banca è fondata e meritevole di accoglimento. Invero, anche alla luce della dichiarazione depositata dal Direttore della filiale, presso cui i rapporti bancari oggetto di causa erano stati instaurati e intrattenuti, il giudice ritiene che il decreto ingiuntivo debba reputarsi come inutiliter dato, trattandosi di provvedimento impossibile da portare in esecuzione, a fronte della conclamata inesistenza della documentazione oggetto dell’ingiunzione di consegna. Pertanto, lo stesso decreto ingiuntivo dev’essere, giustamente, revocato.
Quanto alla domanda avente ad oggetto la condanna ex art. 96 c.p.c., deve ritenersi che la stessa sia fondata, in ragione della reiterazione, da parte dell’opposta, della domanda anche successivamente al deposito della dichiarazione scritta da parte del Direttore della filiale. Difatti, è evidente che, a fronte della dichiarazione di inesistenza della documentazione oggetto di consegna, nessuna pronuncia di condanna avrebbe potuto essere adottata ai danni della Banca opponente. Di tal guisa, la condotta processuale di parte opposta è tale da integrare gli estremi dell’abuso dello strumento processuale, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.c., per avere resistito in giudizio, quantomeno con colpa grave, ingenerando in definitiva un rallentamento dell’attività giurisdizionale e ledendo il più generale principio di buona amministrazione della giustizia.
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