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È costituzionalmente illegittimo l’art. 291, primo comma, del codice civile, per l’irragionevolezza di una regola priva di un margine di flessibilità, nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando.

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La sentenza ricostruisce l’evoluzione dell’istituto dell’adozione e, per quanto qui interessa, si sofferma sull’adozione di persone maggiori di età. Questa “non persegue più, e soltanto, per come vive attualmente nell’ordinamento, la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze destinate a riverberarsi sul mero piano di disciplina relativa agli alimenti e alle successioni, ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto a quelli patrimoniali…l’istituto – suggellando sovente l’effettiva e definitiva coincidenza tra situazione di fatto e status – formalizza legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo.”

Significativa è l’osservazione per cui “il perimetro di riferimento è innanzitutto segnato dal fenomeno delle così dette famiglie ricomposte – in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami, che trovano fondamento e consistenza in quella misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare – per poi spingersi ad assecondare altre istanze, in cui l’esigenza solidaristica resta variamente declinata.”

Rileva poi la Corte che” le abitudini di vita acquisite e le relazioni affettive instaurate tra persone maggiori di età, stabilizzate nel tempo, ricevono riconoscimento giuridico in quanto descrivono storie personali di crescita e integrazione…. la valorizzazione di una storia affettiva, per la parte in cui ha già trovato solida espressione sociale, riflette l’esistenza di un maturato percorso di identità personale, che non può essere privato del dovuto riconoscimento giuridico, pena la violazione dell’art. 2 Cost.”

Ma maggiormente significativa è la latitudine della discrezionalità riconosciuta al giudice. Premesso, infatti che “la disposizione censurata, non consentendo al giudice di intervenire, derogando, se del caso, al limite minimo nel divario di età tra adottante e adottando, si rivela in radice incapace di tutelare situazioni affettive largamente affermatesi, senza che tale assoluto sacrificio trovi coerente giustificazione compensativa”, la sentenza conclude affermando che “Il punto di equilibrio è nell’accertamento rimesso al giudice…. che, caso per caso e nel bilanciamento degli interessi coinvolti, individuati in ragione della nuova funzionalità dell’istituto, provvederà ad apprezzare se esistano motivi meritevoli che consentano di derogarvi nel caso in cui la riduzione di quel divario risulti esigua.” Infatti “non è necessario che la nozione di esiguità sia ulteriormente definita tramite l’indicazione di criteri più specifici, ai quali il giudice dovrebbe ispirarsi nel valutare i singoli casi in cui il limite minimo dei diciotto anni possa essere derogato. Essa rappresenta una clausola generale, che richiama la necessità di conservare una ragionevole imitazione del divario esistente in natura tra genitore e figlio, la cui impellenza è destinata ad affievolirsi via via che aumenta l’età dell’adottato.”

 

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