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Il divieto di formulare domande suggestive vale anche per il giudice, a cui spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte fornite dal testimone.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15331/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla possibilità o meno di ritenere operanti anche nei confronti del giudice le regole poste, ai sensi dell’art. 499 del c.p.p., per l’esame testimoniale, con particolare riferimento al divieto di formulare domande suggestive nei confronti del teste.

La questione sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità era nata in seguito alla condanna inflitta ad uomo dalla Corte d’Appello, in sede di rinvio, per il reato di violenza sessuale, ai sensi dell’art. 609 bis del c.p.

Di fronte a tale pronuncia, l’imputato decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione censurando, in particolare, le modalità di assunzione e di valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa. Secondo l’uomo, infatti, contrariamente a quanto riportato nella motivazione della sentenza impugnata, le modalità di assunzione della suddetta prova testimoniale non erano consistite in un esame ed in un controesame del teste, bensì nella formulazione di domande suggestive, poste direttamente alla testimone dal consigliere relatore, il quale ne aveva così minato la credibilità.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata.

Gli Ermellini, concordemente a quanto sostenuto dal ricorrente, hanno rilevato come, effettivamente, le modalità di assunzione della testimonianza della persona offesa, condotta in gran parte dal consigliere relatore, nonché il contenuto delle domande da lui rivolte alla testimone, ne abbiano gravemente pregiudicato l’attendibilità, facendo così risultare radicalmente viziata, sotto il profilo della tenuta logica, la motivazione fornita proprio sulla base delle dichiarazioni della persona offesa.

L’art. 499 del c.p.p. detta, infatti, le regole per l’esame del testimone, indicando i criteri a cui il giudice si deve attenere nell’ammettere o nel vietare le domande formulate dalle parti. A tal fine il giudice deve, in particolare, vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte, vietare alla parte che abbia addotto il teste o che abbia con lui un interesse in comune di formulare le domande in modo tale da suggerirgli le risposte, nonché, infine, assicurare, durante l’esame testimoniale, la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni.

Il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte del testimone, nella duplice accezione di domande “suggestive”, ossia volte a suggerire la risposta al teste, e di domande “nocive”, cioè finalizzate a manipolarlo, è, quindi, espressamente previsto dalla legge soltanto con riferimento alla parte che ne abbia chiesto la citazione, in quanto il legislatore la considera interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa.

A maggior ragione, però, la costante giurisprudenza di legittimità ha precisato che lo stesso divieto si debba applicare anche al giudice, a cui spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte fornite dal testimone, come previsto dal comma 6 dello stesso art. 499 del c.p.p. (Cass. Pen., n. 7373/2012; Cass. Pen., n. 25712/2011).



 

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