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Non comportano un’accettazione tacita di eredità gli atti che, per loro natura e finalità, non esprimono con certezza l’intenzione di assumere la qualità di erede.

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4843/2019, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di accettazione tacita dell’eredità, precisando quali atti siano da considerare idonei ad esprimere in modo certo l’univoca intenzione di un chiamato all’eredità ad assumere la qualità di erede.

La questione sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità era nata nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nel corso del quale, il Tribunale, adito in sede di appello, aveva annullato i precetti azionati, dichiarando che gli appellanti, essendo privi della qualità di eredi dell’originario debitore, fossero carenti di legittimazione passiva.

Il creditore procedente, rimasto soccombente all’esito del giudizio di seconde cure, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 460 e 476 del c.c., nonché un vizio di motivazione della sentenza d’appello. Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale aveva errato nell’escludere che le controparti avessero realizzato un’accettazione tacita dell’eredità, avendo esse posto in essere una serie di atti processuali idonei a tal fine, tra cui un’istanza di conversione del pignoramento ex art. 495 del c.p.c.

La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso.

Gli Ermellini hanno ribadito che, sulla base degli artt. 475 e ss. del c.c., ricorre un’ipotesi di accettazione espressa dell’eredità quando la volontà di essere erede venga manifestata in modo diretto, attraverso il compimento di un atto formale. Si ha, invece, un’accettazione tacita di eredità qualora il chiamato all’eredità compia un atto che implichi, necessariamente, la volontà di accettarla e che egli non potrebbe compiere se non in qualità di erede.

Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che, presupposti fondamentali e indispensabili al fine di avere un’accettazione tacita di eredità, siano, in primo luogo, la presenza della consapevolezza, da parte del chiamato, dell’esistenza di una delazione in suo favore, ed, in secondo luogo, l’assunzione, da parte dello stesso, di un comportamento inequivoco, nel quale si possa riscontrare sia l’elemento intenzionale di carattere soggettivo, ossia l’animus, sia l’elemento oggettivo attinente all’atto stesso, il quale potrebbe essere compiuto soltanto da chi possieda lo status di erede.

Come evidenziato dalla stessa Cassazione, vengono, di norma considerate ipotesi di accettazione tacita di eredità “a) la proposizione da parte del chiamato dell’azione di rivendicazione, oppure, l’esperire l’azione di riduzione, l’azione, cioè, volta a far valere la qualità di legittimario leso o, comunque, pretermesso dalla sua quota; b) l’azione di risoluzione o di rescissione di un contratto; c) l’azione di divisione ereditaria, posto che può essere proposta solo da chi ha già assunto la qualità di erede; d) la riassunzione di un giudizio già intrapreso dal de cuius o la rinuncia agli effetti di una pronuncia in grado di appello; e) il pagamento da parte del chiamato dei debiti lasciati dal de cuius col patrimonio dell’eredità; f) ed infine, secondo la dottrina più attenta, anche, la voltura catastale determinerebbe un’accettazione tacita dell’eredità, nella considerazione che solo chi intenda accettare l’eredità assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a sé stesso”.

Alla luce di tali precisazioni, dunque, il Tribunale non ha errato nell’escludere che, nel caso de quo, tra gli atti del processo, vi fosse un atto idoneo ad integrare un’accettazione tacita di eredità. Tale effetto non può, infatti, essere attribuito nemmeno alla richiesta di conversione del pignoramento, ai sensi dell’art. 495 del c.p.c., posto che essa, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, non comporta né un riconoscimento del debito, né un’accettazione di eredità, servendo esclusivamente ad evitare le conseguenze negative dell’esecuzione.

Secondo gli Ermellini, quindi, il Tribunale ha correttamente applicato, al caso di specie, il principio di diritto per cui “ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attesa la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere, in modo certo, l’intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione, infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, legittimamente, può essere escluso dal giudice di merito, a cui compete il relativo accertamento, il proposito di accettare l’eredità. Peraltro, siffatto accertamento non può limitarsi all’esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell’erede potenziale, ed all’eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell’eredità(Cass. Civ., n. 5275/1986).



 

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