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Nota a Corte Cost., 10 marzo 2022, n. 65.

di Francesco Vantaggiato

 

 

 

 

1. La vicenda e l’anomalia normativa dopo il “Decreto Ristori”.

Presso il Tribunale civile di Livorno, il 26 ottobre 2020 due coniugi presentavano un piano del consumatore “familiare” per la composizione della crisi da sovraindebitamento[1]. Il Giudice Delegato dichiarava inammissibile la richiesta di omologa poiché il 28 ottobre 2020, una società titolare di un credito chirografario, inserito nel piano, aveva ottenuto, dal Giudice dell’Esecuzione, un’ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio di uno dei debitori e l’ordinanza era poi divenuta definitiva. La Legge 27 gennaio 2012, n. 3, in proposito, non prevede una sospensione automatica delle procedure esecutive. Gli istanti proponevano, quindi, tempestivo reclamo al Collegio contro il provvedimento di inammissibilità chiedendo l’applicazione analogica dell’art. 44 della Legge Fallimentare, il quale rende inefficaci i pagamenti eseguiti dal debitore dopo la dichiarazione di fallimento: in questo modo, l’omologa avrebbe fatto cessare il pignoramento, prescrivendo il pagamento del credito residuo alle condizioni previste dal piano.

Il Tribunale labronico, pur riconoscendo l’applicabilità alle procedure in corso delle modifiche apportate dal “Decreto Ristori” (Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137 (convertito dalla L. 18 dicembre 2020 n. 176) in tema di falcidiabilità dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno (nuovo art. 8, comma 1-bis L. n. 3/2012), rilevava la mancata inclusione in tale norma del debito oggetto di assegnazione giudiziale all’esito di una procedura di espropriazione presso terzi[2].

In particolare, il Giudice rimettente negava qualsivoglia lettura analogica ostandovi il principio normativo di intangibilità degli atti esecutivi già compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c. nonché la privazione di efficacia (non di un precedente atto negoziale ma) di un provvedimento giudiziale definitivo, conclusivo della procedura esecutiva già intrapresa. Per di più, si faceva presente che di recente la Suprema Corte di Cassazione, persino con riguardo al concordato preventivo ha affermato che, non operando alcuno “spossessamento” del debitore, non può trovare applicazione l’art. 44 della Legge Fallimentare (non potendosi, pertanto, privarsi di efficacia le ordinanze di assegnazione anteriori rispetto alla iscrizione della domanda (Cassazione civile, Sez. I, 15/02/2021, n.3850). Sul punto, peraltro, è il caso di rilevare che, viceversa, altra giurisprudenza di merito toscana, aveva ammesso l’applicazione analogica dell’art. 44 L.F. anche in tema di sovraindebitamento[3].

Tanto premesso, il Tribunale riteneva contrario al principio di ragionevolezza, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, che l’art. 8, comma 1-bis, della legge n. 3/2012 limiti “la possibilità di falcidia e ristrutturazione ai soli “debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione” e non [riguardi] anche […] dei debiti per i quali il creditore abbia già ottenuto ordinanza di assegnazione di quota parte dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione”.

 

2. La soluzione ermeneutica della Corte Costituzionale: lo spirito della legge attrae nella norma anche l’assegnazione giudiziale del credito.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 65 (ud. 26.01.2022) pubblicata il 10.03.2022, ha dichiarato non fondata, per diverse ragioni teleologiche e sistematiche, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1-bis, della L. 27 gennaio 2012, n. 3, quale introdotto dall’art. 4-ter, comma 1, lettera d), del D.L. n. 137/2020, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Livorno.

Preliminarmente, la Consulta ha rammentato a studiosi e Giudici di merito che “la finalità della procedura è quella di «ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni» (sentenza n. 245 del 2019), un soggetto – il consumatore – che, se sul piano contrattuale si connota per una debolezza derivante dalla sua asimmetria informativa, nel quadro della disciplina in esame, che presuppone la condizione patologica del sovraindebitamento, mostra anche i segni di una fragilità economico-sociale”. Tale scopo ha indotto il legislatore a consentire anche la falcidia, salvi i limiti imposti dall’art. 7, dei debiti relativi a crediti muniti di garanzie reali (privilegi, ipoteche e pegni).

Quanto alla questione in esame, inizialmente nella L. n. 3/2012 non vi erano riferimenti ai debiti la cui modalità solutoria o la cui garanzia fossero stati affidati alla cessione di un credito: proprio a tal proposito, però, la Corte precisa che la cessione del credito identifica il mero effetto giuridico del trasferimento del diritto di credito, che può dare attuazione a varie funzioni concrete (ad es. solutoria o di garanzia).

Ad avviso della Consulta, l’avanzato dubbio di irragionevolezza della disposizione in oggetto può, ad ogni modo, essere risolto in via ermeneutica per diverse ragioni.

Innanzitutto, l’espressione inerente la cessione del credito, non altrimenti qualificata, di cui all’art. 8, c. 1-bis L. n. 3/2012 va intesa tuot court e non può escludere aprioristicamente una cessione coattiva del credito: la lettura sistematica della normativa lascia intendere il tenore meramente esemplificativo dell’elenco in disposizione, essendo viceversa del tutto irrazionale estromettere dal piano di ristrutturazione debiti, oggetto di cessione del credito, “sol perché abbiano fonte in contratti diversi da quello di finanziamento”. Inoltre, la Corte evidenzia il paradosso che deriverebbe dall’inclusione, nella falcidia, di cessione del quinto dello stipendio, trattamento di fine rapporto e pensione, crediti con alte probabilità di soddisfacimento, e non di debiti la cui estinzione sia stata affidata alla cessione di crediti futuri dalla solvibilità assai meno certa.

A ciò si aggiunga che la norma, citando la cessione del credito, ricomprende sia la cessione con funzione solutoria, sia quella con funzione di garanzia, ma, per altro verso, non può che riferirsi alla sola cessione pro solvendo, giacché con una cessione pro soluto il debito sarebbe estinto (ergo, non potrebbe operare alcuna falcidia).

Con riferimento al principio normativo di intangibilità degli atti esecutivi già compiuti ex art. 187-bis disp. att. c.p.c., la Consulta non condivide la tesi che distingue l’effetto traslativo prodotto dall’assegnazione giudiziale del credito rispetto a quello scaturito da un atto di autonomia privata in quanto l’effetto traslativo del credito, derivante dall’assegnazione giudiziale, è il medesimo che discende dalla cessione volontaria del credito in luogo dell’adempimento. In particolare, “l’ordinanza di assegnazione, che conclude la procedura di espropriazione presso terzi e che determina la cessione coattiva del credito pignorato, non fa altro che avallare per via giudiziale, in mancanza di un previo negozio di cessione, l’iniziativa del creditore nella individuazione di una modalità di soddisfazione in chiave solutoria del proprio diritto”. Pertanto, il Giudice dell’Esecuzione non esercita un potere decisorio di tipo contenzioso, tantomeno attribuisce al creditore un nuovo titolo: egli si limita ad autorizzare il creditore ad avvalersi di detta modalità esecutiva. Sarebbe, in altri termini, errato sostenere che il trasferimento della proprietà attuato con una vendita forzata sia “più forte e vincolante” dell’effetto traslativo generato da un atto di autonomia privata, ostandovi gli artt. 2919 e ss. del Codice Civile[4].

La Corte ha poi, voluto sottolineare – confermando in ciò la tesi del Giudice di merito – la non applicabilità alle procedure ex L. n. 3/2012 della disciplina di cui all’art. 44 della Legge Fallimentare, che rende inefficaci tutti i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento. Nella L. n. 3/2012 è, infatti, l’omologazione del piano a rendere inefficaci gli adempimenti eseguiti in difformità rispetto al suo contenuto, ex art. 13, c. 4, L. n. 3/2012.

In definitiva, lo stesso spirito dell’art. 8, c. 1-bis, L. n. 3/2012 attrae nella disposizione, in via ermeneutica, qualunque debito, per il quale la modalità solutoria o la garanzia di adempimento siano state affidate alla cessione pro solvendo del credito, inclusa l’ipotesi in cui la cessione del credito sia derivata da un provvedimento giudiziale (in luogo di una fonte privatistica). In tal modo, la disposizione si coordina con le disposizioni codicistiche succitate e dà piena attuazione alla ratio legisfinalizzata alla protezione di un soggetto contrattualmente e socialmente debole, qual è il consumatore sovraindebitato, nonché al rispetto della par condicio creditorum”.

In tali termini, lo strumento ermeneutico induce a ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale, facendo affiorare il significato normativo conforme al parametro assiologico dell’art. 3 della Costituzione.

 

 

Qui la decisione.

[1] Già prima del cd. “Decreto Ristori”, ossia il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Legge di conversione 18 dicembre 2020 n. 176), infatti, la giurisprudenza di merito ammetteva da tempo la procedura familiare: cfr., ex multis, Tribunale Novara Decreto 10.09.18 (Est. S. Delle Site); Tribunale Mantova, 08.04.2018 (Est. L. De Simone); Tribunale Lecce, 07.08.2019 (Est. G. Maggiore); Trib. Lecce, 24.12.2019 (Est. A. Silvestini).

[2] Recita l’attuale art. 8, c. 1-bis L. n. 3/2012: “1-bis. La proposta di piano del consumatore puo’ prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno, salvo quanto previsto dall’articolo 7, comma  1, secondo periodo.”.

[3] Cfr. Tribunale Grosseto, Uff. Volontaria Giurisdizione, 16.03.2021, considerando che le procedure di cui alla L. n. 3/2012 possono essere definite procedure concorsuali (dotate di concorsualità, universalità e segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori anteriori, nel rispetto della par condicio creditorum).

[4] La Corte Costituzionale precisa i limiti di tale distinzione: “La sola differenza che emerge fra cessione volontaria e assegnazione giudiziale del credito non attiene, dunque, all’effetto traslativo, ma semmai al tipo di cessione. Nel caso dell’assegnazione giudiziale l’art. 2928 cod. civ., cui rinvia l’inciso finale dell’art. 2925 cod. civ., stabilisce che la cessione del credito disposta dal giudice è sempre pro solvendo e, dunque, sino alla riscossione del credito, non estingue il debito principale, il che giustifica la possibile falcidia e ristrutturazione della persistente situazione debitoria. Viceversa, nel caso della cessione volontaria, l’art. 1198 cod. civ. fa salva, rispetto alla regola generale della cessione pro solvendo, la possibile deroga convenzionale.”.

 

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