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A oggi la maggior parte dei contenziosi riguardano lavori non terminati del Superbonus che, fino alla fine del 2023, era previsto con aliquota al 110%.

Cosa succede in caso di Superbonus lavori non terminati? E soprattutto: chi paga?

Ecco una mini guida con qualche consiglio per cercare di evitare cause civili, amministrative e tributarie. 

Cosa succede se i lavori del Superbonus non vengono terminati

Il punto è che a partire dal 2024, l’agevolazione fiscale prevista dal Superbonus non è più totale ma si è abbassata alla soglia del 70%.

Questo sta a significare che la restante parte è il privato che deve provvedere a saldare, nei confronti della ditta che esegue i lavori.

Il problema risiede ora nel fatto che, se i lavori del Superbonus non sono terminati entro dicembre 2023, allora chi paga? Il privato ha comunque richiesto per tempo di usufruire dell’agevolazione ma quindi è l’impresa che deve risarcire il danno?

Ebbene, la questione è di quelle che scottano e i contenziosi sono all’ordine del giorno. Questo perché non è la ditta che deve provvedere al pagamento né al risarcimento danni.

La legge infatti prevede che l’impresa che sta eseguendo i lavori debba restituire le somme che ha percepito per la commessa ma non è tenuta a risarcire il committente per il danno subito, visto che non può più usufruire dell’agevolazione.

Ecco allora una mini guida, con i consigli dei commercialisti per evitare di aprire il contenzioso e impelagarsi quindi in estenuanti cause civili.

Lavori non terminati del Superbonus: mini guida per i contenziosi

Le norme per evitare contenziosi includono giocoforza accordi tra committente e impresa. 

Questo, in altri termini, significa che è ormai il danno è fatto ed è preferibile trovare un punto di incontro in cui entrambe le parti ne escono con il minor danno possibile.

Ecco allora che è utile, come consigliano per l’appunto i commercialisti più esperti, conoscere le regole di interpretazione autentica che regolano tali rapporti.

Ad esempio, è bene sapere che se committente e impresa raggiungono un accordo, l’impresa può rinunciare a percepire il 30% del corrispettivo che non è più coperto dal Superbonus.

Il committente, da parte sua, rinuncia però a ogni tipo di pretesa per eventuali penali o risarcimenti derivanti dal ritardo.

Inoltre, sono già presenti alcune sentenze, emesse dai vari tribunali locali, per risolvere i contenziosi su chi deve pagare i lavori non finiti, se si perde la possibilità di ottenere il 110%.

Si tratta di una norma importante a cui fare riferimento, perché permette all’impresa di non perdere il diritto al credito d’imposta al 70%, se malauguratamente il committente non è in grado di pagare il residuo 30%.

Superbonus 110 non finito: altri suggerimenti per gestire il contenzioso

Il contenzioso può aprirsi tra condomini e impresa ma anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Anche in questo caso c’è una regola che permette di proteggere l’incentivo fiscale già goduto, nel caso ci si ritrovi in una situazione di stallo.

Dunque, l’amministrazione finanziaria non è legittimata dal recuperare le somme dell’agevolazione già fruita, ad esempio tramite sconto in fattura del Superbonus oppure cessione del credito d’imposta.

Infatti è prevista una sanatoria che evita di dover restituire le somme legate all’agevolazione maggiorata di cui si è goduto fino a quel momento.

Infine, c’è un ulteriore consiglio che proviene dai commercialisti e di cui è bene essere a conoscenza e riguarda il concetto di effettuazione congiunta.

Ebbene, se gli interventi trainati sono stati realizzati in contemporanea a quelli trainanti, sussiste il requisito di effettuazione congiunta.

Questo significa che lo sconto sul corrispettivo che azzera il netto da pagare per l’intervento è valido.

L’emissione della fattura deve avvenire successivamente alla fine della realizzazione dei lavori che sono legati agli interventi trainanti.

 

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