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In tema di opposizione ad ingiunzione esattoriale è illegittima la norma che non prevede, oltre la competenza territoriale del giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto, anche quella del luogo in cui ha sede l’ente locale concedente, nel caso di concessionario della riscossione delle entrate patrimoniali. 

E’ quanto chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 25 giugno 2019, n. 158 (scarica il testo in calce).

Sommario

La questione di costituzionalità

La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, sollevata giudice di prime cure, con riferimento all’art. 24 della Costituzione. In particolare, è stata censurata la norma nella parte in cui, nello stabilire che per le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui all’art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, prevede che : «[è] competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto». 

Tale regola va applicata anche nel caso in cui l’ingiunzione venga emessa dal soggetto cui è affidato il servizio di riscossione dell’entrata patrimoniale dell’ente pubblico concedente, e la sede ricada in un circondario differente da quello in cui ha sede l’ente locale impositore/concedente.

Nel caso in esame, il rimettente ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. 150 del 2011 non manifestamente infondata in relazione all’art. 24 Cost., rilevando che, nella disciplina oggetto del dubbio di costituzionalità, il legislatore ha individuato un criterio attributivo della competenza tale da determinare un impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione.

Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha insistito sull’inammissibilità della questione.

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La decisione

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione in relazione all’art. 24 Cost., per cui la norma censurata comporta la lesione del diritto di azione. Riportandosi ai princìpi espressi nella sentenza n. 44 del 2016, che aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina, per le entrate tributarie, che stabiliva che le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione, nonché quelle proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, sono devolute alla competenza della commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi ed i soggetti hanno sede, invece di quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente. Le conclusioni della summenzionata sentenza, sono applicabili anche al caso in esame, in cui l’identico criterio di determinazione della competenza prescelta comporta identici effetti negativi per il ricorrente.

A ciò si aggiunga che, lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate «non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente».

Il Collegio ha precisato che, per individuare il criterio alternativo di competenza, non va effettuata una scelta tra più soluzioni non costituzionalmente obbligate, in quanto, il rapporto tra l’ente locale ed il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il secondo costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo. Da ciò consegue che, ai fini del radicamento della competenza territoriale, è irragionevole il solo riferimento alla sede del soggetto cui è affidato il servizio di riscossione, dovendo dare rilievo al rapporto sostanziale tra l’opponente e l’ente concedente, alla cui sede, ai fini della determinazione della competenza, non c’è alternativa.

Per tali ragioni, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui dopo le parole «È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto» non prevede le parole «ovvero, nel caso di concessionario della riscossione delle entrate patrimoniali, dell’ente locale concedente».

CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA N. 158/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF

 

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