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Tizio, Caio e Sempronio impugnavano la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo da loro proposta, sancendone l’irrevocabilità e compensando le spese di giudizio.

Prima ancora della costituzione di parte convenuta in secondo grado, gli appellanti rinunciavano al gravame sicché il Collegio, con ordinanza, dichiarava l’estinzione del giudizio.

Successivamente, si costituiva l’appellato gravando incidentalmente il capo della pronuncia che aveva compensato integralmente le spese tra le parti.
L’atto difensivo veniva dichiarato privo di valore processuale e sullo stesso, con provvedimento presidenziale, apposto il “visto agli atti”.

Di conseguenza, il difensore del convenuto proponeva “istanza di riesame” dell’ordinanza che dichiarava l’estinzione del giudizio e dell’ulteriore provvedimento col quale il Presidente del Collegio aveva respinto il deposito della comparsa di costituzione e impugnazione incidentale tardiva. A fondamento della domanda, asseriva che, con comparsa di risposta depositata entro il termine di cui all’articolo 343 c.p.c., aveva interposto gravame incidentale tardivo avverso la sentenza appellata in via principale. Sosteneva, pertanto, l’errore in cui era incorsa la Corte avendo estinto il giudizio, nonostante la proposta impugnazione incidentale che il Collegio avrebbe dovuto delibare, previa revoca dell’ordinanza estintiva e fissazione dell’udienza per la prosecuzione del processo. Si doleva, ancora, l’appellato che il procedimento fosse stato definito con ordinanza piuttosto che con sentenza, posto che, solo attraverso la regolare verifica della costituzione delle parti e previa regolare instaurazione del contraddittorio, la Corte avrebbe potuto decidere, nel merito, l’eventuale appello incidentale tardivo. Asseriva, sul punto, che la disposizione di cui al secondo comma dell’articolo 334 c.p.c., per il quale la declaratoria d’inammissibilità della impugnazione principale produce la perdita di efficacia di quella incidentale, non trovasse applicazione nell’ipotesi in esame, trattandosi di rinuncia, inidonea, come tale, a spiegare effetti sull’appello tardivo. 

Con ordinanza del 19 ottobre 2016, la Corte d’Appello del capoluogo toscano dichiarava inammissibile l’istanza di riesame avverso l’ordinanza di estinzione del processo, ritenendo che la stessa avrebbe dovuto essere impugnata con ricorso per Cassazione.

Può certo condividersi l’orientamento del Collegio di merito il quale ha escluso la “riesaminabilità” dell’ordinanza decisoria che, concludendo il giudizio, ha assunto natura sostanziale di sentenza ed i cui effetti, per questo, potevano essere rimossi, unicamente, attraverso il ricorso per Cassazione, ex articolo 360 cpc, escluso il rimedio, sconosciuto al codice di rito, dell’istanza di riesame. 

Detto arresto interpretativo trova conferma in quello dei giudici di legittimità; sul punto Cassazione civile, sez. III, 17 maggio 2007, n. 11434, in parte motiva, ha chiarito che il provvedimento con cui la Corte di merito dichiara estinto il giudizio, ancorché pronunciato in forma di ordinanza, sia suscettibile d’impugnazione con ricorso per Cassazione, posto che “a seguito dell’abrogazione dell’art. 357 c.p.c., che contemplava e disciplinava il reclamo al collegio contro le ordinanze dell’istruttore dichiarative dell’improcedibilità, inammissibilità ed estinzione dell’appello, la pronuncia di siffatti provvedimenti spetta ora al collegio nella nuova struttura collegiale del giudizio di appello ed ha natura formale di sentenza non essendo, detti provvedimenti, più soggetti a reclamo ed essendo perciò decisori e definitivi, con l’ulteriore conseguenza che dette sentenze del Giudice di appello sono ricorribili in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c.”.

Ancora, Cassazione civile, sez. I, 27 agosto 2003, n. 12537, afferma: “a seguito della modifica – ad opera dell’art. 55 l. 26 novembre 1990 n. 353 – dell’art. 350 c.p.c., con la soppressione della figura dell’istruttore nel giudizio di appello e del potere allo stesso attribuito di dichiarare con ordinanza l’inammissibilità, l’improcedibilità o l’estinzione del gravame, nonché dell’abrogazione – ad opera dell’art. 89 della stessa legge (come modificato dall’art. 3 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, conv. in l. 6 dicembre 1994 n. 673) – dell’art. 357 c.p.c., che prevedeva il reclamo al collegio contro le ordinanze dell’istruttore dichiarative dell’inammissibilità, improcedibilità o estinzione dell’appello, deve ritenersi che l’adozione di siffatti provvedimenti spetti senz’altro al collegio (nella nuova struttura collegiale del giudizio di appello prevista dal testo modificato dell’art. 350 c.p.c., e salva la monocraticità dello stesso giudizio davanti al tribunale introdotta dall’art. 74 d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51, che ha ulteriormente modificato l’art. 350 c.p.c.), il quale provvede con sentenza, trattandosi di provvedimenti che definiscono il giudizio decidendo una questione pregiudiziale attinente al processo e che devono, dunque, rivestire detta forma ai sensi dell’art. 279, n. 2, c.p.c.; con l’ulteriore conseguenza che, per il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, allorché tali provvedimenti siano stati erroneamente assunti con ordinanza, essi sono comunque soggetti alla disciplina della sentenza per quanto riguarda sia il regime delle impugnazioni (onde l’ammissibilità del ricorso per cassazione), sia i requisiti formali di validità (che sono quelli di cui all’art. 132 c.p.c. e, in particolare, la sottoscrizione sia del presidente che del giudice estensore)”. 

Cassazione civile, sez. II, 17 aprile 2001, n. 5610, asserisce, inoltre, che, “a seguito dell’abrogazione dell’art. 357 c.p.c., che contemplava e disciplinava il reclamo al collegio contro le ordinanze dell’istruttore dichiarative dell’improcedibilità, inammissibilità ed estinzione dell’appello, la pronuncia di siffatti provvedimenti spetta ora al collegio nella nuova struttura collegiale del giudizio di appello ed ha natura formale di sentenza non essendo, detti provvedimenti, più soggetti a reclamo ed essendo perciò decisori e definitivi, con l’ulteriore conseguenza che dette sentenze del giudice di appello sono ricorribili in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., dello stesso avviso”.  Negli stessi termini, Cassazione civile, sez. lav., 18 novembre 2000, n. 14936, afferma: “il provvedimento con il quale il collegio – nel giudizio di appello – dichiari l’estinzione del processo, ancorché emesso nella forma dell’ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza, giusta la previsione dell’art. 306, ultimo comma, c.p.c., e, pertanto, non è soggetto a reclamo al collegio, ma a ricorso per cassazione della parte che ha interesse a contrastare tale declaratoria di estinzione. Tale mezzo di impugnazione può anche essere utilizzato – in alternativa alla proposizione di una autonoma azione di accertamento del vizio o di una eccezione “ad hoc” in sede esecutiva per far valere il vizio di nullità – inesistenza del provvedimento, derivante dalla sua sottoscrizione da parte del solo presidente del collegio in assenza di elementi che ne facciano ritenere la congiunta qualità di relatore o estensore, purché nel rispetto delle relative regole di ammissibilità, ivi comprese quelle relative alla tempestività del ricorso”.

Sul tema si segnala:

(Altalex, 29 novembre 2016. Nota di Ettore Gorini)


 

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