La Cassazione distingue tra falso doloso con danno e falso doloso senza danno per il pubblico, il secondo non è punibile
Relativamente ad una dichiarazione falsa consapevole sottoscritta in una CILA, possiamo fare un distinguo e considerare l’eventuale tenuità della dichiarazione falsa che non ha prodotto danno al pubblico, a prescindere dal dolo? O in quanto dolosa una dichiarazione falsa risulta sempre dannosa e di conseguenza punibile? Ti ricordo che la scelta e la compilazione successiva del modulo più appropriato per la richiesta di un titolo edilizio non è un’operazione da sottovalutare, in questo caso, a scanso di errori costosi in termini monetari, giuridici e di credibilità professionale, puoi valutare l’utilizzo di un software titoli edilizi che attraverso una procedura guidata ti aiuterà nella gestione e nell’archiviazione dei molteplici moduli edilizi sempre aggiornati e a tua disposizione.
Addentriamoci, quindi, nella sentenza penale n. 48828/2023 della Corte di Cassazione in merito ad un caso di false dichiarazioni nella CILA
Dichiarazione falsa e dolosa in CILA. Quando non è punibile?
La Corte d’Appello condannava l’amministratore di un condominio, poiché aveva dichiarato falsamente in una CILA che il fabbricato interessato dai lavori di cui alla dichiarazione, non era interessato da opere realizzate in assenza di titolo abilitativo idoneo.
Occorre precisare che qualche mese prima la presentazione della CILA, vi era stato un accertamento dell’ufficio comunale che aveva riscontrato un abuso, consistente nell’installazione di cinque lampioni non autorizzati nell’area circostante il fabbricato, e che l’amministratore, diffidato a provvedere, non aveva adempiuto alla prescrizione.
La Corte d’Appello accertava, quindi, il dolo della dichiarazione dell’amministratore e la conseguente impossibilità di riconoscere la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” del codice penale.
L’amministratore decideva di ricorrere in Cassazione con due motivi:
- l’eventuale falsità sarebbe stata inidonea ad ingannare l’amministrazione proprio perché questa era ben consapevole del ritenuto abuso da diversi anni. Si sarebbe trattato dunque di un caso di “falso innocuo”;
- mancata applicazione dell’art. 131-bis e assenza di danno alla pubblica amministrazione.
La Cassazione riconosce il dolo, ma anche la tenuità del fatto non punibile
Gli ermellini in premessa spiegano che:
- il “falso innocuo” o meglio l’innocuità del falso non significa che sia inutile o senza conseguenze. Esso, invece, è caratterizzato dalla mancanza di valore probatorio dell’atto falso in sé, indipendentemente dall’uso che se ne faccia. In altre parole, il falso qui costituisce realmente prova del dolo poiché l’amministratore era stato già intimato ad eliminare gli abusi, senza dare alcun seguito definitivo alla richiesta del Comune, anzi, nella CILA (che rimane un documento probatorio) aveva dichiarato la non presenza di abusi;
- nei reati di falso, non sono importanti concetti come il danno o il profitto, ma basta il solo rischio che la contraffazione o l’alterazione possano danneggiare la fiducia del pubblico, che è il principale interesse protetto dalla legge in materia.
Per la Cassazione ne consegue che il nodo della questione sia da spostare realmente sulla mancata applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale, escluso dalla Corte d’Appello per la sussistenza del dolo, che comunque non ha prodotto danni alla fede pubblica, in quanto i lavori sarebbero stati eseguibili anche in presenza di quegli abusi, con conseguente tenuità del fatto che non risulta così punibile.
La Suprema Corte decide, quindi, per l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello.
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