La Cassazione, nella sentenza n. 18077/2023, ha precisato che il sequestro preventivo in funzione della confisca per equivalente è legittimo anche quando operato per l’intero importo del profitto del reato nei confronti di un solo concorrente nel medesimo, nonostante le somme illecite siano state incamerate, in tutto o in parte, da altri coindagati, salvo l’eventuale riparto tra i concorrenti medesimi, che, però, costituisce fatto interno a questi ultimi, privo di alcun rilievo penale.
Ciò sia in forza del principio solidaristico – che uniforma la disciplina del concorso di persone e che, di conseguenza, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente – sia in ragione della natura della confisca per equivalente, a cui va riconosciuto carattere eminentemente sanzionatorio.

Tale misura non è consentita ove il profitto derivi da bancarotta fraudolenta. In relazione a tale fattispecie, peraltro, può utilizzarsi il sequestro in funzione della confisca diretta, ex art. 240 c.p., che, in caso di concorso di persone nel reato, non può prescindere dall’effettivo vantaggio conseguito dal concorrente nel delitto e, quindi, può essere disposto nei confronti del coimputato solo nei limiti di quanto abbia materialmente appreso.

È un sequestro diretto anche quello di un immobile nel quale siano state reinvestite somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato. Neppure rileva il fatto che si tratti di un bene indivisibile, perché il principio di proporzionalità, operante anche in materia di misure cautelari reali, trova in tale ipotesi un proprio limite, offrendo comunque l’ordinamento gli strumenti di tutela con riguardo alla quota da non confiscare.