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L’avvocato Massimo Melpignano è il responsabile nazionale per il settore Banche e Finanza dell’associazione Konsumer Italia. Il suo sguardo da consumerista ci ha aiutato a comprendere meglio le criticità dei decreti governativi in piena pandemia. Lo abbiamo intervistato.

Avvocato, qual è il suo
giudizio sul Decreto Liquidità e sul Cura Italia? Quali sono le prime
esplicazioni pratiche? Ci sono delle problematiche?

Direi che fondamentalmente il Decreto Cura Italia e il
Decreto Liquidità scontano due problemi: il primo concerne la differenza tra
ciò che è stato annunciato in conferenza stampa dal premier e ciò che è stato
scritto nei testi dei provvedimenti. Il secondo è che nessuno dei due dice la
verità, nel senso che il Cura Italia è stato chiamato così perché è stato
emanato in una fase transitoria, dovrebbe curare l’Italia, ma non è garantita
la guarigione, il Decreto Liquidità in realtà di liquidità ne mette ben poca,
quasi nulla, è una enorme cambiale, che consente alle imprese di poter accedere
a credito bancario attraverso la garanzia di una società del gruppo Cassa
Depositi e Prestiti, la Sace, ma poi questi debiti devono essere ovviamente
rimborsati e devono essere rimborsati in un arco temporale anche piuttosto
breve.

Restano 6 gli anni di
rimborso, vero? O si può sperare in tempi più lunghi?

Facciamo una premessa: tutto quello che stiamo dicendo vale
nell’esatto momento in cui lo diciamo.

Un’altra esperienza che stiamo vivendo in questi tempi è che
le cose cambiamo con una velocità spaventosa e con una moltiplicazione di fonti
a cui dover attingere, che rende anche complesso dire quale sia la norma che si
applica e quale sia la verità. Questo è un altro tema. Il meccanismo è molto
semplice: se pensiamo che l’Italia riparta così come ha chiuso, diciamo una
cosa sbagliata, peraltro ci stanno dicendo che i nostri comportamenti sociali, e
conseguentemente anche quelli economici, non saranno da subito identici a
quelli che adottavamo prima. La conseguenza è evidente: qualunque riapertura
economica si esplicherà in modo diverso. L’altro limite di questi due decreti è
che guardano alla base della piramide e alla cuspide della piramide, ma
dimenticano la parte intermedia.

In che senso?

Il bottegaio, il negoziante, il fioraio, il ferramenta si
troveranno in grossa difficoltà quando dovranno riaprire. Per le misure di
sicurezza da adottare all’interno, le sanificazioni, i dispositivi di
sicurezza, il costo dei dipendenti insostenibile a fronte di un ribasso dei
ricavi, con una gestione pregressa, come i debiti maturati verso le banche e
verso l’Agenzia delle Entrate, che vengono soltanto spostati e non debitamente spalmati.
Se io ho un negozio, che in questo periodo deve star chiuso, il beneficio che
io ho avuto dal Cura Italia è che sposto le mie tasse a fine maggio, i
contributi previdenziali al 10 giugno, posso congelare tutti i debiti con le
banche fino al 30 settembre. Ma non è che dal primo ottobre sono in grado di
pagare tutto.

Anzi quel commerciante
si potrebbe trovare anche in una situazione peggiore di quella odierna…

Esatto, perché nel frattempo non ho guadagnato e per
riprendere a guadagnare faticherò molto di più, perché ci sarà un accesso limitato.
La soluzione in cui si è venuti incontro col Decreto Liquidità è fai debiti, chiedi un prestito te lo
garantisce lo Stato e con questo prestito metti in moto il meccanismo
. Ma qual
è il primo meccanismo che devo mettere in moto? Facile: le tasse che sono
scadute e le banche che bussano alle mie porte. La percezione è che con questi
debiti che dovremo comprare attraverso le banche, ammesso che le banche ce li
diano e li diano in tempi ragionevoli e brevi e nei tempi in cui ci servono,
poi dovrei usarli per pagare lo Stato. Quello stesso Stato che mi garantisce il
prestito. Sembra un po’ il cane che si morde la coda.

In quarantena abbiamo
anche assistito ad una ulteriore disparità tra cittadini. Tra statali e coloro
che hanno perso gli utili. Lo smart working inoltre è ricaduto quasi
interamente sui cittadini, come costo privato.

Sul concetto di smart working ci dovremmo un po’ intendere, dietro le parole dobbiamo sempre capire se si nasconde una grande verità o una grande bugia. Sfido chiunque tra coloro che hanno continuato a lavorare da casa e io sono tra quelli a dire che hanno lavorato con lo stesso ritmo, senza incontrare difficoltà, con la stessa produttività e con la stessa redditività. Tanti si sono dovuti organizzare in fretta in furia con software per consentire il lavoro in remoto, magari non avevano una grande digitalizzazione delle attività. Questa parola, smart working, per chi l’ha potuta realmente applicare ha avuto un senso ma per gli altri non è stato uno smart working, ma un hard working, un lavoro molto duro, mirato non certamente al guadagno e al profitto, ma fondamentalmente a mantenere in piedi da un lato il capitale di ogni attività medio piccola, per la presenza sul territorio della clientela e dall’altro in molti casi fare del vero e proprio volontariato intellettuale. Penso ai tantissimi commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ma anche tante altre categorie, che in questo momento si sentono domandare quali benefici si possono avere, che ne sarà dei contratti coi fornitori, che hanno commesse pubbliche. C’è una parte del Paese, di cui si parla poco, che ha continuato a fare da cuscinetto tra la base della piramide e la cuspide della piramide. Il sistema di welfare ha mantenuto, aggiungiamo anche lo straordinario ruolo del terzo settore, del volontariato, oggi abbiamo capito quanto sia importante.

La grande impresa, la cuspide,
pure rischia di essere travolta. A cominciare dal settore automobilistico.  

Le grandi imprese generano reddito, gettito e hanno posti di
lavoro. Però facciamo un altro esercizio: c’è un settore che è rimasto immune
dal Covid-19? Nessuno anche quelli che sono rimasti aperti. Chi ha potuto
realmente reggere questo peso? Chi aveva una organizzazione familiare. Chi ha
potuto reggere col calo delle entrate? Chi ha potuto in famiglia improvvisarsi
riders.

Tra due anni chi avrà
contratto un nuovo prestito garantito da Sace dovrà cominciare a restituire il
debito, ma molti direttori di banca temono che tra due anni quelle stesse
imprese si ritrovino decotte. Voi di Konsumer state già immaginando quali
scenari ci potrebbero essere nei confronti di chi non riesce a restituire il
prestito?

La ringrazio molto per questa domanda. È difficile immaginare
uno scenario, ma con altrettanta certezza dobbiamo dire che è difficile
immaginare che il Paese possa rinascere sul debito. Lo ha ricordato Papa
Francesco e lo stanno dicendo in molti, questo non è il momento in cui il
debito la può fare da padrone. Questo è il momento di sostenere le attività,
senza affossarle con altri debiti che non potrebbero mai essere ripagati nell’arco
temporale così breve immaginato. Non è pensabile una soluzione come questa, è
insostenibile non soltanto per alcune categorie, ma per tutte le categorie. Avremo
un dimagrimento economico del Paese sotto ogni profilo, ci sarà chi riuscirà a
riconvertirsi, chi non ci riuscirà dovrà essere sostenuto dal welfare e quindi
dalla nostre tasse, tasse che gioco forza diminuiranno col calo del Pil. È impensabile
che chi non riesce a pagare si ritrovi azioni dello Stato per recuperare il suo
credito. Mi sembra paradossale una situazione come questa.

Immagina che
aumenteranno le pratiche della legge anti suicidi?  

È ragionevole pensare di sì, è uno scenario. A me non piace
chiamarla legge anti suicidi, è la legge sul sovra-indebitamento, la legge 3
del 2012: può essere uno strumento. In realtà stiamo andando incontro ad un
mondo nuovo: non appena si riapriranno le attività produttive ci si porrà una
domanda molto semplice. Cosa ne sarà dei contratti stipulati? Ci sono aziende
che hanno contratti con i fornitori, ci sono fornitori che devono fornire merci
che avrebbero già dovuto consegnare, ci sarà chi invocherà l’impossibilità ad
adempiere all’obbligazione. Non possiamo immaginare un Paese che rinasce sul
debito e sul conflitto, dobbiamo trovare delle soluzioni che consentano la
riapertura graduale della vita economica in maniera pacificata. Stiamo
dimenticando una grossa variabile dell’Italia, che è il rischio inerente chi ha
tanta liquidità, ossia la criminalità organizzata. Le mafie potrebbero
intervenire in maniera pesante in questa condizione di fragilità, dove di
fronte a difficoltà ci potrà essere la tentazione di ricorrere a credito
illegale, che ti viene anche offerto. Ma non dimentichiamo che questa mole di
garanzia che si mette intorno, potrebbe rendere conveniente da parte di
qualcuno rilevare aziende che se la passano male per poter accedere a questi
prestiti garantiti dello Stato, costruendo compagini nuove con prestanomi. C’è
anche il rischio criminalità organizzata su cui mi aspetterei un intervento
protettivo, con una legislazione ad hoc, con un innalzamento dei controlli,
come vigilare sul mutamento delle compagini sociali, con i soci che entrano ed
escono, intensificare i sistemi rilevazioni di possibili infiltrazioni
criminali nel tessuto economico del Paese.

Dopo un tira e molla al
Mef, coloro che avevano beneficiato di un mutuo grazie ai fondi antiusura dello
Stato non sono stati inseriti nel Cura Italia. Per loro non vale la sospensione
dei pagamenti, che ne pensa?

La nostra posizione è chiara se si è fermato tutto, si deve
fermare anche il sistema dei pagamenti. Distinguere tra cittadini di serie A di
serie B, fare delle inutili distinzioni è qualcosa che non ci possiamo permettere.
Il cittadino che non aiuti oggi, è un povero in più domani e nessuno vuole
avere un povero in più dal punto di vista politico e sociale, serve che contribuisca
lo Stato. Terminata questa fase emergenziale, o almeno rallentata, il Decreto
Liquidità potrà essere un auspicio, ma serve che vengano varate misure di sostegno
reale affinché il bello slogan di Conte “nessuno rimarrà senza aiuto”, diventi
un’applicazione vera.



 

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