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Il dipendente va al bar ed il detective lo fa licenziare #finsubito prestito immediato


 

 

(PressMoliLaz) 28 Ott 24 Un dipendente è stato licenziato a seguito degli accertamenti svolti dall’investigatore privato incaricato dal datore di lavoro. Il lavoratore, unitamente a due colleghi, in orari di lavoro si dedicava – con prassi costante ed illegittima – ad incontri all’interno di esercizi commerciali. Meeting nel corso dei quali degustava consumazioni varie ed intratteneva ameni colloqui, trascorrendo così gran parte delle pause non autorizzate. Esse, oltretutto, duravano ben oltre il tempo necessario a rifocillarsi, arrivando a protrarsi per un tempo di quasi 45 minuti ciascuna.

Il lavoratore ha sollevato alcune eccezioni in merito all’utilizzabilità degli accertamenti investigativi per una presunta carenza formale nell’autorizzazione di cui all’ex articolo 134 TUPLS in possesso del professionista incaricato. La Corte di Cassazione ha ribadito che “l’autorizzazione prefettizia prevista per le attività di investigazioni, ricerche e raccolta di informazioni per conto di privati, non rappresenta una condizione necessaria per l’utilizzabilità degli esiti testimoniali di tali indagini” (cfr. Cassazione 24580/2013 e 25335/2010).

Prive di pregio sono state ritenute anche le doglianze circa il controllo del lavoratore per mezzo di investigatori privati. La Suprema Corte, per l’ennesima volta, ha riaffermato la legittimità del ricorso ai detective quando la finalità del loro impiego non è il controllo occulto della prestazione lavorativa, bensì il compimento di atti illeciti da parte del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale (cfr. Cassazione 9167/2023). Più precisamente ad essere tutelato è il patrimonio aziendale, che è riconosciuto come quello costituito non soltanto dai beni aziendali, ma anche dall’immagine esterna dell’azienda, così come accreditata presso il pubblico (cfr. Cassazione 23985/2024, 13266/2018, 2722/2012). Costantemente è ritenuta lesiva del patrimonio aziendale la condotta di dipendenti potenzialmente integrante un illecito penale, sia ammettendo l’accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti mediante filmati di telecamere occulte (cfr. Cassazione 10636/2017) oppure a presidio della cassaforte aziendale (cfr. Cassazione 22662/2016), sia in ipotesi di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa ed appropriazione delle somme incassate (cfr. Cassazione 17004/2024 e 18821/2008). È quindi pacifico come la tutela del patrimonio aziendale possa riguardare la difesa datoriale “dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima” (cfr. Cassazione 23985/2024). L’impiego di investigatori privati è ancor più comprensibili nei casi in cui la normale attività lavorativa deve essere eseguita “al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile la lesione dell’interesse all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell’immagine dell’impresa, all’insaputa dell’imprenditore” (cfr. Cassazione 20440/2015).

Nel caso di specie i fatti perseguiti avevano rilievo penale, erano idonei a raggirare il datore di lavoro e a ledere non soltanto il patrimonio aziendale ma anche l’immagine dell’azienda all’esterno, motivi per cui le indagini delegate sono state considerate del tutto legittime e non coincidenti con il controllo occulto della prestazione lavorativa. La Corte ha inoltre ribadito che è da “escludere che la determinazione del tempo e della durata della pausa di riposo, da non confondere coi momenti di soddisfazione delle necessità fisiologiche, sia rimessa all’arbitrio del lavoratore” (cfr. Cassazione 20440/2015). Il massimo provvedimento sanzionatorio è stato pertanto ritenuto congruo anche in ragione del fatto che il dipendente aveva importanti compiti dirigenziali e di coordinamento, e che la percezione del cittadino di una deprecabile prassi – nel vederlo “costantemente in luoghi pubblici e per tempi irragionevoli a degustare consumazioni e chiacchierare con i colleghi” – arreca pregiudizio al decoro aziendale ed all’immagine che essa si crea nella cittadinanza, oltre a recidere il vincolo fiduciario.

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Con l’ordinanza numero 27610 del 24 ottobre 2024, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello e, quindi, il licenziamento, condannando il lavoratore anche al pagamento delle varie spese.



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