Per il rifugio, uno dei luoghi simbolo delle Dolomiti, chiusura di stagione (il 27 ottobre) all’insegna dell’Amarcord: «Cartoline e bolli andavano a ruba, ora non esistono quasi più. Qui, però arredi e stile sono gli stessi del 1901»
Una grande festa l’ultima domenica di ottobre concluderà la stagione estiva del rifugio Croda da Lago, ma sarà soprattutto l’occasione per festeggiare i trent’anni dal debutto della famiglia Alverà in uno dei luoghi simbolo delle Dolomiti ampezzane. Tanta neve è caduta da quando Modesto insieme con la moglie Monica Molin, accompagnati dai sei figli che oggi hanno dai trenta ai quarant’anni, hanno deciso di iniziare la loro avventura a duemila e passa metri. Erano i primi anni Novanta e anche se in fondo tre decadi sembrano poca cosa, il mondo è cambiato così velocemente da far parere memorie archeologiche usi e costumi di quegli anni. «Basta pensare – ricorda Modesto, che è arrivato al rifugio da guida alpina – che dalla Germania e dall’Austria arrivavano le lettere di prenotazione un anno per l’altro. All’epoca i nostri ospiti provenivano in gran parte proprio da questi Paesi vicini, oggi non è più così, anche quest’anno abbiamo avuto tanti americani, inglesi, molti coreani…».
La globalizzazione in vetta
La globalizzazione è arrivata anche tra i monti, la stessa che uniforma le merci di uso comune, facendo somigliare le vetrine dei nostri centri storici a quelle di tutte le città del mondo. Il «c’era una volta» di Modesto rievoca tanti ricordi, tra questi gli oramai introvabili espositori con le cartoline. «Finivano per vuotarsi rapidamente e avevamo i francobolli, oggi merce rara – racconta – e ci facevamo carico di spedirne tante… Oggi al massimo qualche decina anche se le cartoline restano per una vita, mentre le foto scattate con i cellulari dopo qualche secondo finiscono per essere dimenticate». Una consuetudine che si è persa, come tante. Il rifugio Croda da Lago ha mantenuto ben saldo il proprio legame con la tradizione e Modesto lo sottolinea con orgoglio: «Gli arredi come anche il legno che decora gli ambienti sono gli stessi che accompagnano questo rifugio del Cai dal 1901. E anche la cucina è fedele al territorio, i piatti del menu sono limitati alle specialità locali e agli ingredienti del momento. In questo periodo – spiega Modesto che dà una mano in cucina alla figlia Beatrice – prepariamo diverse varianti di canederli con zucca e con i funghi. Poi mia moglie Monica prepara i dolci, oltre a essere quella che più di chiunque altro della famiglia ha il polso e il controllo della situazione».
Affare di famiglia
Una famiglia felice, che vede anche il figlio Sebastiano impegnato al bar, mentre Veronica si occupa della sala. Tutti insieme condividono il duro lavoro nei mesi estivi e ogni domenica, quando agli escursionisti che percorrono l’alta via numero uno si aggiungono i turisti toccata e fuga. «Il lavoro è tanto – spiega Modesto – e a volte anche troppo. Dovrebbe esserci una giusta via di mezzo, perché davvero il rischio è di faticare tanto senza la giusta soddisfazione. Spesso vediamo arrivare comitive organizzate che nemmeno sanno dove sono, non si guardano in giro, entrano in rifugio, mangiano e se ne vanno». Anche se da Selva o da Cortina i sentieri per arrivare al rifugio richiedono due ore di cammino quel che sembra mancare in molti è apprezzare la bellezza e l’unicità del punto d’arrivo. «Soprattutto gli italiani – spiega Modesto – sembrano portati a sottovalutare, a non considerare che un rifugio è e resta un rifugio dove non possiamo garantire una scelta di piatti infinita o camere paragonabili a quelle di un hotel, ma solo qualità e genuinità nelle nostre offerte». Da qualche anno la famiglia Alverà chiude nel periodo invernale e il 27 ottobre sarà l’ultimo giorno per poi riaprire la prossima primavera. «Aspettiamo tutti coloro che avranno voglia di esserci – conclude Modesto – e sarà un’occasione anche per noi di passare una giornata tra amici per poi chiudere. Anche se, come sempre, questo posto finirà per mancarci quando saremo scesi a valle».
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