COSENZA La Campania e la Sicilia sono le regioni con il maggior numero di associazioni antiracket e di conseguenza di imprenditori che hanno denunciato la richiesta della tassa non dovuta da parte di esponenti dei gruppi criminali. Nonostante questo, i commercianti napoletani ancora oggi ritengono per nulla o poco soddisfacenti le condizioni di sicurezza del quartiere in cui svolgono la propria attività economica. E in Calabria? Lo abbiamo chiesto ad Alessio Cassano, presidente dell’associazione antiracket “Lucio Ferrami”. «Nel 2024 si parla di numeri esorbitanti per quanto riguarda le estorsioni. L’imposizione del pizzo oltre ad essere una fonte di finanziamento per la criminalità, è anche il modo utilizzato per controllare il territorio e avere in mano una fetta di tessuto sociale, commerciale, imprenditoriale», esordisce l’imprenditore.
Qual è l’antidoto al pizzo?
«La sconfitta di questo fenomeno passa solo ed esclusivamente dalla denuncia. Quando arriva, arrivano le collaborazioni e le condanne in tribunale mentre viceversa determinati episodi estorsivi sono difficili anche da provare».
Si spieghi meglio
«Esistono nuovi meccanismi di estorsione che passano, ad esempio, dall’imposizione di una fornitura o della manovalanza: episodi complicati da provare in aula senza il riscontro delle parti offese. La denuncia quindi è la strada principale da percorrere».
Molti continuano ad aver paura
«Oggi abbiamo “armi” che in passato non c’erano. Pensi al coraggio di Lucio Ferrami (imprenditore cosentino ucciso dalla ‘ndrangheta). Ci sono strumenti normativi che consentono di poter affrontare la problematica in sicurezza e garantire agli imprenditori di non piegarsi al pizzo in totale sicurezza ed essere tutelati dallo Stato, sia in fase di denuncia che in fase processuale. L’imprenditore o l’imprenditrice qualora dovesse subire attentati, intimidazioni fisiche, danneggiamenti, può usufruire dei fondi di ristoro previsti dalla legge 44. Non esiste più una scusa per non sentirsi sicuri di denunciare», sostiene l’imprenditore antiracket.
Cresce i numero di imprenditori cosentini che hanno deciso di rivolgersi alla vostra associazione?
«All’apertura dello sportello antiracket abbiamo registrato un incremento di vittime che si sono rivolte all’associazione. Lo sportello di Cosenza, a livello regionale, ha trainato il progetto che riguarda tutta la Calabria, sicuramente per la grandezza della provincia ma anche per la presenza di “zone un po’ più calde” come l’Alto Tirreno Cosentino o lo Jonio. La città di Cosenza e i comuni limitrofi escono fuori dall’operazione “Reset” che ha “tagliato” i vertici delle cosche però sappiamo – come documentano le più recenti inchieste – che la criminalità si stava già riorganizzando per continuare ad imporre il pizzo e il malaffare».
Un’ultima domanda. Vale ancora la pena investire in Calabria?
«Sicuramente sì».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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