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di Gianvito Caldararo

Tutti ricordano di come il ministro Giorgetti, di fronte agli emendamenti di Forza Italia al decreto sul Superbonus aveva fatto trapelare la notizia di eventuali sue dimissioni. Il ministro Giorgetti ha maturato la consapevolezza, anche dopo il segnale indirizzato dal Governatore di Bankitalia nelle sue Considerazioni finali, che è giunto il momento di predisporre un serio piano per il graduale rientro del debito pubblico.

L’Italia continua ad occupare saldamente il secondo posto per maggiore indebitamento tra i Paesi europei. Ad aprile 2024 il debito ammontava a ben 2.906 miliardi di euro, mentre ad aprile 2023 si attestava su 2.184 miliardi di euro. Il Governo Meloni, nel suo documento di economia e finanza (DEF) ha programmato un rapporto debito/Pil del 137,8 % al 2024, del 138,9 al 2025 e del 139,8% al 2026.

Sono ben chiare le cause che comportano il costante aumento del nostro debito pubblico, rappresentate da una eccessiva spesa pubblica, una crescita stagnante e le ataviche e consolidate inefficienze strutturali. Le preoccupazioni del ministro Giorgetti nascono dal fatto che buona parte del debito pubblico italiano, cioè il 28,7% è detenuto da investitori esteri, mentre il 23,7% dalla Banca d’Italia, il 21,9% dalle banche italiane, 11,7% da istituzioni finanziarie italiane (Assicurazioni e Fondi pensioni) e il 14% da aziende e privati investitori.

Giorgetti, ha registrato il calo dei BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) e dei Bot (Buoni Ordinari del Tesoro) detenuti dalle banche, che dal picco dei 712 miliardi di euro del giugno 2022 sono passati ai 632 miliardi di euro a marzo 2024, ovvero dal 25,4% al 21,9%.

Ad aprile 2020 le banche detenevano il 27,8% del totale del nostro debito pubblico. È di tutta evidenza che nel momento in cui la BCE e le banche alleggeriscono i propri portafogli dei nostri BTP, l’Italia torna in balia dei mercati, dal momento che ammontano a 350 miliardi di euro i BTP e simili che dovranno essere emessi nei prossimi mesi.

Riducendosi i BTP nei portafogli delle banche centrali e in quelle commerciali, si pone il problema se le imprese e i privati investitori sono in grado di sottoscrivere e fronteggiare il flusso di titoli di debito pubblico. La riduzione da parte delle banche può essere indicativa, come sostengono alcuni esperti, “di una strategia di riduzione del rischio, che dovrebbe parzialmente proteggere gli istituti bancari italiani da brusche oscillazioni dello spread BTP-Bund tedeschi, come quelle osservate nell’ultima settimana in scia della instabilità politica della Francia”.

In tale contesto lo spread BTP-Bund è ampliato di oltre 20 punti base in una settimana, attestandosi su 159bp rispetto a 139bp. La situazione impone al Governo una attenta valutazione delle misure da adottare. Quasi certamente diventa insostenibile continuare a sostenere una miriade di “bonus “. Sono molteplici i bonus in vigore, di cui ben 7 sulla casa, con alla testa il Superbonus, ben 5 sulle famiglie e ben 3 sul lavoro ed infine il bonus disoccupati, assegno sociale, reddito alimentare, reddito per abitabilità , bonus rimpatriati, bonus animali domestici e finanche un bonus per la chirurgia estetica.

Un sistema di agevolazioni che richiederebbe una crescita di almeno il 2% del Pil (Prodotto Interno Lordo). Non è più possibile continuare a legiferare misure come il Reddito di Cittadinanza e il Superbonus 110 per cento, che hanno rappresentato le misure più discusse di politica economica. Infatti, secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), al 31 maggio 2024 le detrazioni maturate per i lavori di ristrutturazione edilizia conclusi ed effettuati grazie al Superbonus hanno raggiunto un valore pari o quasi a 123 miliardi di euro.

Per avere un ordine di grandezza, nel 2024 il finanziamento dello Stato al Servizio sanitario nazionale raggiungerà una cifra di poco superiore a 134 miliardi di euro. È stato ormai accertato, anche con il contributo della Banca d’Italia, che il costo del Superbonus, introdotto nel 2020 per rilanciare l’economia colpita dalla pandemia di Covid 19, è stato enormemente più alto delle previsioni iniziali, mentre i benefici sono stati più bassi rispetto a quelli rivendicati dai suoi più accesi sostenitori.

E’ stato rilevato che il 77% degli interventi del Superbonus finanziato con i fondi del PNRR ha riguardato ” le villette”, con particolare diffusione nelle regioni del Nord. La maggior parte dei partiti italiani ha scritto nei programmi per le elezioni europee che si dovrà continuare la strada dell’emissione di debito comune europeo, con cui sono finanziati i piani di ripresa come il PNRR. Per farlo, i neoeletti rappresentanti italiani al Parlamento europeo dovranno però convincere i loro colleghi di altri Stati, e forse il Superbonus, anche per le numerose truffe rilevate, non sarà l’esempio migliore da usare per convincerli.

Non a caso l’Unione Europea ha stabilito che gli Stati membri devono adottare tutte le misure più opportune per tutelare gli interessi finanziati dall’Unione europea quando si parla dell’uso di fondi europei. Siamo in presenza delle “asseverazioni rendicontate”, cioè del documento che certifica la corretta esecuzione dei lavori. Di fronte ad una tale situazione del debito pubblico non si possono fare più promesse, ma bisogna pensare a razionalizzare la spesa pubblica, ad un maggior rigore nell’utilizzo dei fondi pubblici, a razionalizzare la platea dei bonus, ma soprattutto a rilanciare l’economia e quindi la crescita economica, per garantire la sostenibilità del debito pubblico, incrementare l’occupazione e il migliorare i servizi, con particolare riferimento e priorità alla sanità.

L’ingorgo delle riforme, con le inevitabili polemiche, non facilita né il lavoro del Governo e né quello del Parlamento. Speriamo bene.

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