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Sommario: 1. Premessa: Il contenzioso bancario. Uno sguardo d’insieme dell’intero problema. – 2. L’ordinanza del Tribunale di Salerno del 19 luglio 2023. – 3. Il provvedimento della Prima Presidente della Corte di Cassazione. – 4.1. L’ammortamento cd. alla francese ed il divieto di anatocismo. – 4.2. L’ammortamento cd. alla francese: maturazione ed l’esigibilità degli interessi. – Segue: 4.2.1. Ancora sulla maturazione ed l’esigibilità degli interessi: Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474. – 5. Ammortamento alla francese: fra determinatezza, trasparenza e (non?) meritevolezza. Una recente posizione dell’ABF. – 6. Ammortamento alla francese: una questione di determinatezza? – 7. Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. Il controverso utilizzo dell’interesse composto. – 8. segue: Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. La rilevanza del piano di ammortamento. – 9. Ammortamento alla francese: rimedi esperibili per una questione di trasparenza. – 10. Conclusioni.

1. Premessa: Il contenzioso bancario. Uno sguardo d’insieme dell’intero problema.

Alla fine, saranno le Sezioni Unite a dirci se l’ammortamento alla francese sia legittimo o meno.

È da qualche tempo, in verità, che, sulla spinta delle discussioni di matematici e giuristi, nelle aule di Tribunale di tutta Italia si discute della legittimità o meno di tale modalità di rimborso.

Salito sul banco degli imputati degli imputati con l’accusa di un malcelato effetto anatocistico insito nello sviluppo rateale del piano di rimborso, più di recente il dito viene puntato sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto e sulla violazione della c.d. trasparenza bancaria, in relazione alla ritenuta applicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori e del conseguente, ma inespresso e quindi non convenuto, incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito.

Ecco che, sfruttando immediatamente le potenzialità del nuovo rinvio pregiudiziale, il Tribunale di Salerno investe la Corte di Cassazione della questione che presenta evidenti difficoltà interpretative e che ha già dato luogo, nella giurisprudenza di merito, alle più disparate letture delle norme di riferimento e su cui, salvo, in verità, sporadiche pronunce di cui si farà menzione, la Corte non si è ancora ex professo pronunciata.

Alle origini di tale contrasto giurisprudenziale – che trascende la questione specifica devoluta – si pongono, in generale, alcune motivazioni di fondo.

È sufficiente una rapida “carrellata” all’interno dei repertori di giurisprudenza per cogliere che il contenzioso bancario e finanziario è, forse, uno degli argomenti in questo momento maggiormente divisivi e le ragioni di una tale conflittualità (giudiziaria) possono rinvenirsi in una pluralità di fattori.

V’è, da un lato, la complessità del sistema normativo derivante da una normazione “multilivello”: i testi normativi, quando non ne siano diretta promanazione, sono condizionati dal formante sovranazionale che incide sull’attività del Legislatore, prima, e dell’interprete, poi, chiamato a ricondurre le disposizioni normative (o la loro interpretazione) in linea con la legislazione eurounitaria, antitrust o, ancora, con il cd. Statuto del consumatore. 

V’è, ancora, l’elevato tasso di tecnicismo che connota la materia: le categorie tradizionali del diritto contrattuale sono, infatti, chiamate a confrontarsi ed arricchirsi dei contenuti propri delle scienze matematiche, non sempre di immediata intellegibilità, di modo che è (anche) sulla scorta di queste che devono, poi, compiersi valutazioni giuridiche afferenti alle prime, in un dialogo sempre più difficile che rende il settore dei contratti bancari e finanziari quasi un “microcosmo” del diritto contrattuale, governato da regole sue proprie.

Dall’altro lato, v’è, poi, una contrapposizione di matrice che potremmo definire in un certo senso “ideologica”.

Il contenzioso bancario e finanziario è, infatti, uno di quelli ove maggiormente si riscontra l’asimmetria contrattuale – che è anzitutto, ma non solo, asimmetria informativa – dove ad un professionista certamente qualificato sul mercato si contrappone una vasta platea di soggetti, che su quel mercato agiscono per le più disparate finalità o per soddisfare le più diverse esigenze ed il cui potere negoziale, siano essi consumatori o meno, può essere, spesso, marginale quando non del tutto inesistente.

Del resto, la difficoltà di addivenire ad un momento di sintesi di tali contrapposti fattori ben la si coglie sol che si ponga mente alla diversità di posizioni espresse dalla giurisprudenza di merito ed al rapido susseguirsi, anche nel recente periodo, di plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, tanto con riferimento ai contratti finanziari che a quelli bancari.

Così, senza pretesa alcuna di esaustività e limitando il richiamo agli esempi più rilevanti del “fermento” che attraversa la materia – evidente espressione di un’esigenza di chiarezza ma, al contempo, anche di ricerca di stabilità di un intero sistema il cui rilievo va oltre il momento della singola contrattazione – nel volgere di pochi anni la giurisprudenza, è intervenuta dapprima affermando una lettura funzionale e non strutturale del requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998.

A tale intervento ha, poi, fatto seguito l’affermazione della possibilità dell’investitore di “gestire” a suo vantaggio gli effetti processuali e sostanziali della nullità per difetto di forma scritta contenuta nell’art. 23 comma 3 del d.lgs. n. 58 del 1998, potendo questa essere fatta valere esclusivamente dell’investitore, con il temperamento che, ove la domanda fosse diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, l’intermediario avrebbe potuto opporre l’eccezione di buona fede qualora la “selezione” della nullità avesse determinato un ingiustificato sacrificio economico a suo danno alla luce della complessiva esecuzione degli ordini conseguiti alla conclusione del contratto quadro

Nella materia bancaria, poi, si sono registrate, dapprima, le pronunce sull’usura sopravvenuta, quindi, quelle sui rapporti tra disciplina dell’usura e la Commissione di Massimo Scoperto, ancora quelle sul rilievo che nella disciplina dettata in tema di usura hanno gli interessi moratori, con affermazioni importanti tanto in ordine all’interesse ad agire quanto in ordine alla disciplina concretamente applicabile.

Il tutto senza tralasciare il dibattito, presente in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità, ad esempio, quanto alla necessità del previo esperimento della richiesta ex art. 119, comma 4, t.u.b., al fine di poter invocare in giudizio la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio ai sensi dell’art. 210 c.p.c., al superamento del limite di finanziabilità, anch’esso di recente oggetto di un intervento delle Sezioni Unite, alla nullità del tasso di interesse per la violazione del parametro EURIBOR, in relazione al quale sarà interessante verificare se ed in che misura, nelle differenti posizioni già emerse in seno alla giurisprudenza di merito (e che non si possono qui indagare) la soluzione che adotterà la giurisprudenza di legittimità sarà influenza dagli approdi cui si è pervenuti in una fattispecie, certo non sovrapponibile ma sicuramente contigua, rappresentata dalle sorte delle fideiussioni omnibus reiterative del modello ABI.

Da ultimo, tutto il contenzioso giudiziario è, di recente, chiamato ad occuparsi delle vicende connesse alle cessioni del credito ed alla prova delle stesse.

Non è evidentemente questa la sede per soffermarsi, analiticamente, su tutti gli argomenti che si sono appena indicati; può, tuttavia, ritenersi che tutti tali interventi abbiano un minimo comune denominatore che è quello di contemperare, sul piano rimediale, le diverse esigenze di trasparenza, correttezza, informazione, equilibrio contrattuale, ma anche equità, proporzionalità e stabilità di un sistema che, negli ultimi anni, ha visto un costante incremento del tasso di litigiosità.

Tornando, allora, all’oggetto delle considerazioni che seguiranno, ad occupare, oggi, l’attenzione degli interpreti si pone la questione – predicata in termini di (in)validità, (in)determinatezza, (maggiore) onerosità, modalità di imputazione ed esigibilità degli interessi – dell’ammortamento alla francese e delle condizioni – tra tutte l’utilizzo o meno dell’interesse composto – che il piano rateale di rimborso pone.

Per cogliere i termini del problema posti dal piano di ammortamento ala francese, ancora una volta potrebbe essere sufficiente scorrere rapidamente in rassegna le pronunce – in larghissima parte rinvenibili nelle banche dati di giurisprudenza – delle sentenze di merito in materia.

Procedendo in via di prima approssimazione, da un lato v’è la posizione di quanti ritengono che la modalità di rimborso rateale del mutuo secondo le formule dell’ammortamento alla francese dia luogo ad una forma di anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c., derivante dall’uso della capitalizzazione composta per il calcolo della rata costante.

Dall’altro lato, la posizione, che nel panorama giurisprudenziale appare, allo stato, essere ampiamente maggioritaria, che esclude tale fenomeno sull’assunto che l’anatocismo è vietato nel caso in cui gli interessi scaduti si sommino al capitale e producano a loro volta interessi e tale fenomeno si verifica solo nel caso in cui la banca determini l’ammontare della rata applicando il tasso stabilito nel contratto sia sull’ammontare del capitale complessivo ancora da rimborsare, sia su una quota di interessi scaduti nel periodo preso a riferimento per l’addebito della rata in scadenza, ma non nel caso in cui alla scadenza della rata il tasso pattuito in contratto viene applicato sul capitale ancora da restituire giacché in tal caso nessun addebito di interessi su interessi scaduti verrà addebitato al mutuatario.

Da qui la conclusione per cui tale modalità di rimborso risulta più rispettosa del principio di cui all’art. 1194 c.c. dal momento che prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione dei pagamenti agli interessi piuttosto che al capitale laddove l’eventuale maggior onere di interessi rispetto di tale piano di ammortamento rispetto a quello all’italiana costituisce un rilievo fattuale inidoneo ad incidere sulla validità del piano di ammortamento.

Tale questione – dopo essersi già tradotta in un ampio e diffuso contenzioso, che la pronuncia della S.C. più che prevenire, come ipotizza il Tribunale di Salerno nell’ordinanza di remissione, potrebbe, semmai sedare – giunge, quindi, all’attenzione delle Sezioni Unite non già per effetto della proposizione degli ordinari mezzi di impugnazione, ma attraverso l’attivazione del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. cui ha fatto seguito il provvedimento che ha investito direttamente le Sezioni Unite della Suprema Corte della questione.

Nel vasto panorama giurisprudenziale, la pronuncia del Tribunale di Salerno merita di essere segnalata in quanto rivolge il proprio sguardo non all’esistenza di profili di antigiuridicità intrinseci del piano di ammortamento alla francese, di cui la pronuncia salernitana, per il vero, non sembra farsi carico, ma perché dubita della (carenza di) trasparenza e determinatezza del regolamento contrattuale e, ancor prima, di una compiuta informazione sulle sue caratteristiche.

Plurimi sono, quindi, i fronti problematici aperti da tale pronuncia sia in merito alla violazione delle regole di trasparenza sia, qualora positiva sia la risposta a tale primo quesito, in merito alle conseguenze che da ciò dovrebbero farsi discendere.

Su tali interrogativi, dunque, pur senza pretesa di esaustività argomentativa, è opportuno soffermarsi.

2. L’ordinanza del Tribunale di Salerno del 19 luglio 2023.

Veniamo, allora, alle coordinate di fondo in cui si iscrivono le questioni poste al Tribunale di Salerno ed oggetto del rinvio pregiudiziale.

Da quanto si ricava dalla ricostruzione in fatto operata nel provvedimento in commento, la questione origina da un contratto di mutuo caratterizzato dalla presenza di un piano di ammortamento.

Più nel dettaglio, all’attenzione del Tribunale, in particolare, era stato portato un contratto di mutuo che non recava alcuna indicazione della modalità di ammortamento, del regime finanziario adottato e della modalità di calcolo degli interessi, pur essendo presente – ed in tale direzione era andata la difesa dell’istituto di credito – il piano di ammortamento, recante l’indicazione del numero delle rate, del relativo ammontare e della composizione quanto a quota capitale ed interessi.

Da qui, quindi, la richiesta da parte del mutuatario di declaratoria di nullità della clausola recante la pattuizione del tasso di interesse passivo per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, sull’assunto che a fronte della mancata indicazione del regime finanziario adottato in punto di capitalizzazione degli interessi, il piano di ammortamento alla francese a parità di importo finanziato, di tasso di interesse convenuto, di durata del finanziamento, avrebbe comportato costi “diversi ed ulteriori” rispetto ad altri piani di ammortamento, tra cui, ad esempio, quello cd. all’italiana che, sovente al primo viene contrapposto. 

Il giudice campano, ritenendo sussistenti tutti i presupposti previsti dall’art. 363 bis c.p.c., ha sollevato il rinvio pregiudiziale dinanzi la Suprema Corte di Cassazione, ricostruendo gli aspetti problematici della questione. 

Anzitutto, osserva il Tribunale di Salerno, quanto alla mancata espressa indicazione della modalità di ammortamento cd. alla francese, che, alla tesi secondo cui dalla mancata specificazione del regime finanziario prescelto, non deriverebbero conseguenze in punto di determinatezza delle condizioni contrattuali né in punto di trasparenza (vuoi perché desumibile dal piano di ammortamento, vuoi perché lo stesso non attiene al “prezzo” o alle “condizioni praticate”), si contrappone altra opzione interpretativa che, di contro, ravvisa una carenza del regolamento contrattuale, non colmabile con la presenza del piano di ammortamento.

Quest’ultimo, infatti, potrebbe non essere compreso dal cliente, perché magari non in possesso delle conoscenze necessarie a comprendere la portata economica di un determinato assetto negoziale (recte: finanziario).

Dall’altro lato, prosegue il giudice salernitano, gli istituti di credito sono tenuti a rendere edotti i clienti del tasso di interesse ma anche di prezzo e condizione praticati in modo da consentire ai clienti, specie se consumatori, di orientare le proprie scelte; in quest’ottica, dunque, anche l’indicazione della modalità dell’ammortamento costituirebbe un costo o un prezzo che deve essere indicato nel contratto.

Sul piano delle conseguenze, il Tribunale di Salerno muove dal duplice presupposto che venga impiegato il regime di capitalizzazione composta e che nel regime di capitalizzazione composto gli interessi prodotti in ogni periodo sarebbero destinati a sommarsi al capitale per cui producono a loro volta interessi a differenza di quanto accade nel regime di capitalizzazione semplice, determinandosi, per l’effetto, una maggiore onerosità del primo regime di capitalizzazione rispetto al secondo.

Rileva, pertanto, il provvedimento in commento che, accanto alla tesi per cui già la lettura delle condizioni contrattuali potrebbe fare emergere il regime di capitalizzazione applicato, v’è l’opzione interpretativa in base alla quale l’esigenza di trasparenza bancaria (e di determinatezza del regolamento contrattuale) sarebbe soddisfatta solo da una precisa ed esplicitainformazione nei confronti del cliente di tutte le condizioni applicate, agendo anche la modalità di ammortamento ed il regime di capitalizzazione applicato sul terreno del (maggior) prezzo del denaro mutuato e, dunque, del suo costo in termini di interessi, con conseguente nullità per mancato rispetto del requisito di forma.

Ciò, sostiene il Tribunale di Salerno, per una duplice ragione: da un lato, la maggiore onerosità del regime di capitalizzazione composto potrebbe non essere ravvisata dal cliente, privo delle necessarie competenze; dall’altro, i principi di derivazione sovranazionale non si accontentano della intellegibilità della clausola sul piano sintattico-lessicale, ma richiedono che il consumatore medio sia messo in condizione di comprendere il funzionamento concreto delle modalità di calcolo del tasso e valutare le conseguenze economiche delle clausole che va a sottoscrivere.

3. Il provvedimento della Prima Presidente della Corte di Cassazione.

Riepilogati i termini della questione, il provvedimento della Prima Presidente della Suprema Corta si vede costretto, in realtà, a dedicare un intero paragrafo ad una questione procedurale, ritenuta, tuttavia, non integrare assorbenti profili di inammissibilità, tali già di per sé da risultare ostativi all’ingresso del rinvio pregiudiziale: la mancata attivazione del contraddittorio con le parti prima di disporre il rinvio pregiudiziale.

Trattasi, tuttavia, di aspetto che allontanerebbe queste brevi riflessioni dal tema su cui intendono focalizzarsi sicché sullo stesso non ci si può attardare.

Nel merito, il provvedimento presidenziale condivide e fa proprie le diverse letture ed opzioni interpretative sollevate dal Tribunale campano, ritenendo, pertanto, di investire, anche alla luce delle ricadute processuali del profilo concernente la mancata attivazione del contraddittorio prima dell’adozione dell’ordinanza di rinvio, che si è sopra unicamente accennata, le Sezioni Unite della Corte.

Una precisazione.

Mantenendo fede alla premessa di metodo che si è fatta in apertura, le considerazioni che seguiranno si concentreranno – in termini necessariamente sommari – unicamente sulle sorti dell’ammortamento alla francese, nel difficile dialogo tra le formule di matematica finanziaria sottese al calcolo degli interessi e le regole di validità contrattuale previste dalla normativa bancarie.

Nel far ciò, però, non si seguirà integralmente lo schema adottato dalla decisione in commento: come sarà osservato anche in seguito, la pronuncia del Tribunale di Salerno non ha inteso contestare la validità del piano di ammortamento alla francese in quanto tale.

Non è chiaro, in realtà, se ciò avvenga perché si dia per scontata la legittimità di tale modalità di ammortamento o perché la valutazione condotta dal giudice campano e l’individuazione delle relative questioni siano avvenute attenendosi alle allegazioni ed alle domande svolte dalle parti che avevano sostenuto la nullità parziale del finanziamento per la mancata indicazione della modalità di ammortamento, del regime finanziario prescelto e della mancata pattuizione e indicazione della modalità di calcolo degli interessi passivi.

Nondimeno, l’eco delle problematiche, che continuano a dividere la giurisprudenza di merito e che poco più sopra si sono sinteticamente anticipate, è certamente presente anche nella pronuncia in commento che, pur non affrontandole espressamente, da queste appare nella realtà muovere, sicché è bene da queste prendere l’avvio.

4.1. L’ammortamento cd. alla francese ed il divieto di anatocismo.

Nell’ambito dei finanziamenti a rimborso graduale, nei mutui costruiti secondo l’ammortamento cd. alla francese, il piano di rimborso prevede la restituzione del capitale erogato secondo un meccanismo rateale che incorpora in ciascuna rata una quota (crescente) di capitale e una quota (decrescente) di interessi calcolata sul capitale residuo, caratterizzata dall’iniziale imputazione dei pagamenti ai secondi ma con invarianza dalla rata corrisposta nel tempo.

In tale modalità di rimborso, in ogni rata, la quota di interessi è calcolata tramite il prodotto fra tasso di interesse e debito residuo al termine di ciascun periodo di ammortamento e la quota capitale rimborsata per differenza tra l’ammontare della rata e gli interessi di periodo; il calcolo degli interessi sul capitale residuo comporta che gli interessi si riducano progressivamente di rata in rata in ragione dell’ammortamento del debito capitale, che nella invarianza della rata viene rimborsato per quote capitali, invece, crescenti.

Trattasi della modalità di restituzione certamente più diffusa (ma, altrettanto certamente, non l’unica possibile) nell’operatività (recte: prassi) dei finanziamenti a restituzione rateale, e che, proprio in ragione della sua diffusività all’interno del sistema bancario è stata ritenuta idonea a fondare, un vero e proprio uso in grado di derogare all’art. 1283 c.c.

Riprendendo quanto prima accennato, e come del resto suggerisce lo stesso provvedimento in esame, attorno a tale modalità di rimborso, oramai da qualche tempo, è insorto un vivace dibattito tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza in merito alla legittimità dei piani rateali di restituzioni costruiti secondo tale modalità di ammortamento, la cui legittimità è stata via via contesta, talvolta per l’effetto anatocistico che si anniderebbe al suo interno, talaltra per la ritenuta maggiore onerosità di tale piano di rimborso, talaltra ancora in relazione alla esigibilità degli interessi.

Problematiche, queste, che, per la verità, sono tenute presenti nell’ordinanza qui in esame, di cui costituiscono, in qualche modo, “l’ossatura”; ciò che cambia è che le stesse non sono declinate quali vizi propri del piano di ammortamento cd. alla francese bensì lette sotto la diversa prospettiva della carenza di determinatezza e trasparenza delle condizioni contrattuali applicate.

Per il vero, mentre le posizioni assunte in dottrina, pur sembrando convergere per l’esclusione della violazione del divieto di anatocismo posto dall’art. 1283 c.c., seguitano ad evidenziare alcuni aspetti ed elementi problematici in merito alla concreta costruzione del piano di ammortamento, nella giurisprudenza di merito l’orientamento più recente e diffuso tende, oramai, ad escludere che il piano di ammortamento alla francese comporti la violazione del divieto di anatocismo previsto dall’art. 1283 c.c. quest’ultimo “…frettolosamente assimilato all’impiego del regime composto”.

In particolare, al netto di poche pronunce di segno contrario, la posizione più recente assunta dalla giurisprudenza di merito (ma che inizia ad affacciarsi anche nella giurisprudenza di legittimità) si è andata progressivamente assestando nel senso che l’ammortamento alla francese altro non è che un metodo di restituzione i cui elementi sono dati dal capitale dato in prestito, dal tasso di interesse fissato per periodo di pagamento nonché dal numero delle rate e che consente di pianificare, in base alla periodicità di restituzione stabilita, la restituzione del capitale mutuato e degli interessi pattuiti con un piano di pagamento a rata costante, di talché, al termine del periodo stabilito di ammortamento, il debito sia completamente estinto, sia in linea capitale sia per interessi. 

Tale modalità di rimborso, si legge ancora, comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota di capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata, senza possibilità che sugli interessi maturati in relazione a ciascuna di essa possano maturare ulteriori interessi, con conseguente esclusione della violazione del divieto di anatocismo.

Ed anzi, correttamente distinguendo il fenomeno dell’anatocismo da quello della capitalizzazione composta, l’esclusione della violazione dell’art. 1283 c.c. è fatta pur nella prospettiva che nel piano di ammortamento alla francese la composizione della rata evidenzi il meccanismo dell’interesse composto sul capitale in scadenza: ciò in quanto si ha anatocismo, rilevante ai fini dell’art. 1283 c.c., soltanto se gli interessi maturati sul debito in un determinato periodo si aggiungono al capitale, andando così a costituire la base di calcolo produttiva di interessi nel periodo.

Tali conclusioni appaiono, invero, condivisibili.

Il fenomeno dell’anatocismo vietato non pare essere caratteristica riferibile a tale modalità di rimborso laddove si consideri che lo stesso è configurabile solo ove gli interessi maturati sul debito in un certo periodo si aggiungono al capitale, andando così a costituire, in un meccanismo di produzione secondaria ed esponenziale, la base di calcolo produttiva di interessi nel periodo successivo.

Tale fenomeno non può, invece, ritenersi ricorrente nel piano di ammortamento alla francese la cui modalità di rimborso comporta che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi: ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce e gli interessi conglobati nella rata successiva sono al loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti. 

Detto altrimenti, il pagamento della singola rata estingue del tutto gli interessi maturati in relazione alla rata mensile medesima, mentre gli interessi considerati nella rata successiva vengono, a loro volta, calcolati unicamente sulla residua somma dovuta in linea capitale ed unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata precedente.

E d’altro canto, come osservato in maniera condivisibile in giurisprudenza, la produzione di interessi su interessi è elemento, certamente, necessario del divieto di anatocismo, ma da solo non sufficiente in quanto “…determinanti nella considerazione legislativa del divieto sono: dal lato del creditore, l’esigibilità immediata dell’interesse prima; dal lato del debitore, il pericolo di indefinita crescita del debito d’interessi, incalcolabile ex ante, prima che l’inadempimento si sia verificato…”.

Senonché “…nel mutuo con ammortamento francese, o a rata costante, mancano entrambe le caratteristiche determinanti del divieto di anatocismo – rischio di crescita indefinita e incalcolabile ex ante del debito d’interessi dal lato del debitore; esigibilità immediata del pagamento degli interessi primari dal lato del creditore – anche a considerare la circostanza che il calcolo della rata utilizza l’interesse composto.

Il primo rischio non sussiste, se si considerano gli interessi corrispettivi (o “di ammortamento”). Anche se la quota interessi, calcolata sulla quota capitale in scadenza, rende evidente la produzione di interessi su interessi per annualità successive alla prima, è decisiva la considerazione che gli interessi corrispettivi sono conosciuti o conoscibili ex ante sulla base degli elementi contenuti nel contratto e non sono esposti a una crescita indefinita, poiché la loro produzione cessa alla scadenza del periodo di ammortamento…”. 

4.2. L’ammortamento cd. alla francese: maturazione ed l’esigibilità degli interessi.

Proseguendo nell’esame delle posizioni assunte dalla giurisprudenza, si è, di poi, ritenuto che tale strumento risulta rispettoso del principio di cui all’art. 1194 c.c. dal momento che prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione dei pagamenti agli interessi piuttosto che al capitale; ancora, si assume che lo stesso risponde anche all’interesse del mutuatario di avere contezza sin dal momento della stipulazione del contratto, dell’entità dell’impegno periodico assunto con la Banca.

In verità, anche a voler prescindere dalla correttezza dell’assunto, il rapporto fra maturazione ed esigibilità degli interessi impone alcune precisazioni alla luce delle posizioni emerse soprattutto in dottrina.

Se, come visto, la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che il piano di ammortamento alla francese risulti rispettoso del meccanismo di imputazione descritto dall’art. 1194 c.c., è stato affermato che, pur condividendosi l’idea di fondo che il piano di ammortamento alla francese abbia struttura d’imputazione di pagamento, le regole di imputazione dei pagamenti dovrebbero essere lette in funzione della regola di maturazione del debito da interessi di cui all’art. 821, co. 3, c.c.

Ne seguirebbe, in tale prospettiva, per un verso, che gli interessi maturano giorno per giorno e divengono esigibili nel momento in cui, però, anche il capitale è divenuto esigibile e, per l’altro verso, che la modalità di imputazione degli interessi propria di tale piano di ammortamento è tale da determinare, nei fatti, “una rinuncia a un diritto che è proprio del debitore”, imponendo, dunque, una valutazione di meritevolezza del piano.

Nella medesima direzione si è, di poi, sostenuto che, se i frutti civili si ricavano dalla cosa “come corrispettivo del godimento che altri ne abbia” (art. 820 c.c.), il piano di ammortamento alla francese presterebbe il fianco a criticità laddove lo stesso non vada a remunerare alcun godimento di capitale, rendendo la relativa convenzione invalida in quanto priva di causa, nel momento in cui finisce con il remunerare interessi non ancora maturati.

Entrambi tali assunti, tuttavia, non sembrano condivisibili.

Ed infatti, se, per un verso, è certamente vero che maturazione ed esigibilità degli interessi attengono a profili differenti, paiono condivisibili le osservazioni di chi evidenzia, quanto alla maturazione degli interessi, che essa consegue al semplice fatto che il mutuante si è privato della somma che è andata, dunque, nella disponibilità del mutuatario, rinvenendo, da quello stesso istante, il debito di interessi la propria causa in ragione del mancato godimento del capitale messo a disposizione del mutuatario.

Quanto, invece, alla loro esigibilità, già si è detto sopra che il metodo alla francese comporta che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi.

Detto altrimenti, nel sistema progressivo secondo la periodicità stabilita, ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce, senza che sia dato apprezzare il pagamento di interessi che corrisponda ad una quota di capitale non goduto: il pagamento degli interessi avviene in funzione del tempo decorso e sul capitale residuo.

Con altre parole, “…il problema non è di interessi pagati in anticipo rispetto alla loro generazione (qui, non ve ne sono); ma di interessi che, in quanto commisurati a tutto il debito residuo, sono pagati – per la parte generatasi – in anticipo rispetto al rimborso del capitale cui si riferiscono…”.

Ma, non essendo revocabile in dubbio la possibilità di disciplina convenzionale in punto di esigibilità degli interessi, muovendosi in tale prospettiva, non persuade l’idea di una rinuncia ad un diritto proprio del debitore ed al conseguente giudizio di meritevolezza che se ne fa discendere, anche in ragione del fatto che la previsione di cui all’art. 1193, da un lato, individua una facoltà per il debitore che potrebbe non essere esercitata, lasciando in tal caso spazio ai criteri legali di imputazione e, dall’altro, segna comunque una disciplina dispositiva derogabile dal differente accordo tra le parti.

Segue: 4.2.1. Ancora sulla maturazione ed l’esigibilità degli interessi: Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474.

La questione concernente la divaricazione tra maturazione e debenza degli interessi era stata, in verità, posta da Cass. Civ. sez. VI, 24 maggio 2021, n. 14166, di cui è bene ripercorrere molto sinteticamente i fatti che ne stanno alla base.

In particolare, la vicenda originava da una domanda di ammissione al passivo in via di privilegio ipotecario di crediti derivanti da due distinti contratti di mutuo strutturati con ammortamento alla francese.

Con una prima pronuncia il giudice delegato aveva ammesso al passivo il credito in linea capitale, escludendo la quota di interessi.

Cassata, quindi, la decisione che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione al passivo in quanto tardiva, il giudice del merito, nuovamente investito della questione, aveva disposto l’ammissione al passivo in grado ipotecario anche delle quote di interessi corrispettivi delle rate scadute calcolate al tasso convenzionale, riconoscendo, ai sensi del secondo comma dell’art. 2855 c.c., alla quota di interessi il medesimo rango ipotecario in forza dell’estensione del relativo privilegio agli interessi compensativi.

Su ricorso della Curatela, il procedimento perviene, quindi, nuovamente alla S.C. che ha ritenuto che l’assenza di precedenti sul tema ed il rilievo della questione in ragione della “diffusa operatività del mutuo ipotecario” consigliassero la decisione in pubblica udienza.

L’ordinanza interlocutoria aveva essenzialmente posto il dubbio che il rientro rateale del finanziamento potesse dar luogo al pagamento di interessi non ancora maturati in quanto corrispondenti a quote di capitale non ancora godute.

Orbene, la S.C., con la pronuncia Cass. Civ. sez. I, 11 novembre 2021, n. 33474, ha però dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Curatela, ritenendo che lo stesso non abbia colto la effettiva ratio decidendi sottesa al provvedimento impugnato.

Più nel dettaglio, la Corte di Cassazione, nel richiamare l’incedere argomentativo del giudice del merito, ha osservato che lo stesso poggiava su una duplicità presupposti e cioè, da un lato, che lo scioglimento del rapporto operasse per il futuro, impedendo all’istituto di credito di richiedere la quota di interessi, già conteggiata nell’ammortamento ma in relazione alla rate a scadere; e dall’altro, che la particolare composizione della rata – comprensiva, come più volte detto, di una quota di interessi ed una di capitale in rapporto variabile tra di loro – non impedisse l’effetto estensivo dell’art. 2855, co. 2, c.c. nella parte in cui interessi dovuti erano quelli risultanti dal piano di ammortamento in relazione alla rate scadute nel limite del biennio. 

Ritiene, cioè, la S.C. – e il rilievo dell’assunto sarà ripreso nella parte conclusiva delle presenti note – che attraverso il rinvio al piano di ammortamento, le parti avessero disciplinato la modalità di rientro dell’erogato “con coeva determinazione dell’entità dei frutti percentualizzati per ogni singola scansione del pagamento”, così dando luogo ad una clausola negoziale vincolante tra le parti, eventualmente da invalidare secondo le ordinarie azioni con riferimento alla singola clausola ovvero all’intero contratto.

V’è, in verità, un passaggio di detta pronuncia che potrebbe risultare “distonico” con quanto poco prima sostenuto.

Si legge, infatti, che la parte ricorrente non solo non avrebbe chiarito in base a quale parametro era stata determinata la composizione delle singole rate, ma, inoltre, sarebbe stato anche da verificare se gli interessi inglobati nelle rate fossero stati maggiori di quelli maturati in relazione al capitale in restituzione, soggiungendo, poi, che “…questo, infatti, potrebbe essere magari vero per le prime rate…che le stesse fossero quasi tutte composte di interessi, ma non necessariamente per quelle intermedie o per le ultime …in cui la quota capitale sarebbe maggiore”. 

Se tale ultimo inciso sembra effettivamente ammettere la possibilità di una non perfetta corrispondenza tra maturazione degli interessi e pagamento degli stessi ma anche, e verrebbe da dire a fortiori, l’inversione del medesimo rapporto quantitativo nel periodo finale dell’ammortamento, pare che l’epilogo della vicenda giudiziaria in esame conforti quanto prima detto in punto di maturazione (dalla data della dazione) ed esigibilità (concordata) degli interessi, identificando come dovuti gli interessi indicati nei piani di ammortamento perché, per dirla con le parole della Corte, “così pattuito tra le parti”, purché vi sia equivalenza tra i valori.

Ora, se tale affermazione è certamente condivisibile laddove dalla stessa si faccia discendere l’esistenza di una convenzione sulla modalità di imputazione degli interessi nello sviluppo diacronico dell’ammortamento, v’è da chiedersi quanto la stessa valga a rappresentare, più in generale, una convenzione sulle modalità e sulle condizioni di rimborso che possa dirsi trasparente.

5. Ammortamento alla francese: fra determinatezza, trasparenza e (non?) meritevolezza. Una recente posizione dell’ABF.

Le considerazioni che precedono, anche in punto di rilevanza del piano di ammortamento, consentono di tornare alle questioni poste dall’ordinanza del Tribunale salernitano.

Già lo si è detto e lo si ripete: il Tribunale di Salerno non si occupa della validità del piano di ammortamento alla francese ed, anzi, in un inciso del provvedimento sembra espressamente escludere qualsivoglia violazione del divieto di anatocismo.

Come si diceva, superata la dicotomia fra validità/invalidità del piano di ammortamento alla francese in base all’occulto effetto anatocistico che il piano celerebbe, sotto accusa finisce la compatibilità di tale piano di ammortamento con l’esatta determinatezza dell’oggetto contrattuale e con le norme in tema di trasparenza bancaria in ragione della mancata espressa menzione della modalità di ammortamento prescelto (“alla francese”) e – verrebbe da dire, soprattutto – della (mancata indicazione della) capitalizzazione composta accolta nel medesimo piano in luogo di quella semplice ritenuta, nel provvedimento in rassegna, la modalità fisiologica di computo degli interessi, “con evidente maggiore onerosità” di tale modalità di rimborso.

Non può non osservarsi che la prospettiva, in verità, non è del tutto nuova.

Questi stessi contenuti, nel recente passato, sono stati infatti portati all’attenzione del Collegio dell’ABF e il Collegio di Coordinamento n. 14376 dell’8 novembre 2022, a fronte di censure sollevate dal mutuatario in quella sede sostanzialmente analoghe a quelle oggetto di scrutinio nell’ordinanza in rassegna, aveva ritenuto di poter escludere qualsivoglia profilo di illegittimità del piano di ammortamento, affermando che in caso di finanziamento con ammortamento alla francese la mancata consegna del piano di ammortamento al momento della conclusione del contratto non comporta violazione da parte dell’intermediario né rende indeterminato l’oggetto del contratto qualora nel contratto medesimo siano riportati tutti gli elementi e le informative previsti dalla normativa in materia. 

La questione, forse troppo celermente risolta dall’Arbitro, merita una maggiore riflessione.

6. Ammortamento alla francese: una questione di determinatezza?

Giova muovere da una considerazione fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità: nei c.d. mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. 

Il fatto che nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque sufficiente a mutarne la natura né ad eliminarne l’autonomia.

Ciò posto, come ritenuto in maniera condivisibile in giurisprudenza, per affermare la determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria relativa agli interessi, è indispensabile che gli elementi estrinseci o i parametri della determinazione degli interessi ad un tasso diverso da quello legale siano specifici; mentre la determinabilità è definibile come la possibilità di identificare chiaramente l’oggetto sulla base dagli elementi prestabiliti dalle parti. 

Si ha indeterminatezza quando le clausole, pur apparendo di per sé analitiche, da un punto di vista matematico finanziario, sono formulate in modo tale da non dar luogo ad un’univoca applicazione, richiedendo la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi e, pertanto, non determinate o determinabili nel loro oggetto.

Orbene, provando, ora, a ripercorrere gli stessi passaggi motivazionali dell’ordinanza in rassegna, muovendo dalla diversità e dall’autonomia delle obbligazioni, par lecito ritenere che, nella vicenda da cui muove il Tribunale di Salerno, non sia, neanche astrattamente, ravvisabile una carenza di determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale: il contratto di mutuo portato all’attenzione del Tribunale recava l’indicazione delle rate da restituire, del relativo ammontare del tasso annuo nominale e del tasso annuo effettivo, quest’ultimo di entità maggiore del T.A.N. e, pertanto, esso stesso espressivo della capitalizzazione infrannuale degli interessi

In sostanza ben può ritenersi che nel momento in cui il contratto rechi l’indicazione del capitale, l’indicazione del tasso di interesse nominale, l’indicazione del numero delle rate, non può esservi dubbio alcuno circa la determinatezza del tasso di interesse espresso, in realtà, in modo univoco.

Sicché, la tesi della carenza dell’oggetto appare francamente poco plausibile tutte le volte in cui risulti perfettamente determinata l’obbligazione degli interessi ed il costo complessivo del credito.

E ciò tanto più se, come nella specie scrutinata dal Tribunale di Salerno, il contratto sia corredato dal piano di ammortamento con indicazione delle rate, queste ultime, addirittura, espresse non solo nel loro ammontare ma anche nella relativa composizione circa la quota per capitale e per interessi.

Peraltro, quanto alla determinatezza o determinabilità del regolamento contrattuale, sembra corretto ritenere che a non dissimili conclusioni si dovrebbe pervenire anche per la differente ipotesi in cui il piano di ammortamento non risulti allegato, tutte le volte in cui, però, risultino espressi i dati economici del contratto, da cui poter desumere, per l’appunto, la stessa maggiore onerosità del finanziamento in ragione del meccanismo di capitalizzazione composta espressa dal valore maggiore del TAE rispetto al TAN.

7. Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. Il controverso utilizzo dell’interesse composto.

Maggiormente spinosa può risultare la questione, su cui la S.C. è stata investita dall’ordinanza in commento, relativa alla mancata indicazione del regime di capitalizzazione (semplice o composta) adottato nel contratto, tale da determinare una maggiore onerosità del finanziamento costruito secondo la capitalizzazione composta rispetto ad uno analogo piano costruito, invece, secondo la metrica dell’interesse semplice.

L’ordinanza in commento nuove da un presupposto che sembra, invero, dare per assodato.

Si legge, invero, che il piano di ammortamento alla francese ponga il problema della modalità di rimborso degli interessi quali frutti civili (arg. art. 820 c.c.) e che la modalità di capitalizzazione semplice degli interessi ne costituisce la modalità ordinaria di loro computo, ai sensi dell’art. 821, co. 3, c.c., difformemente da quella invece adottata; anche nel provvedimento in rassegna, anzi, si afferma che in tali casi, l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce, a sua volta interessi, e viene calcolato con una formula dove il tempo è esponente e non fattore.

Evidente, dunque, risulta l’eco di numerosi pronunciamenti di merito – le cui citazioni potrebbero moltiplicarsi – ove si legge che “poiché il tempo è esponente e non fattore, nella determinazione della rata costante è implicito l’uso della legge di capitalizzazione composta per il calcolo della rata”.

Peraltro, sembra che ciò di cui il provvedimento in rassegna dubita non sia, neanche in tal caso, la legittimità del piano di ammortamento quand’anche costruito secondo la metrica dell’interesse composto rispetto a quella dell’interesse semplice.

Il dubbio espresso dal Tribunale di Salerno, invece, attiene al fatto che tale modalità venga adottata senza essere stata sorretta da una scelta consapevole da parte del prenditore.

Ora, proprio l’effettivo impiego dell’interesse composto nella costruzione dell’ammortamento è aspetto dove le posizioni giuridiche e quelle matematico/finanziarie segnano la maggiore distanza.

In particolare, come per il Tribunale di Salerno, nella giurisprudenza di merito è largamente diffusa l’affermazione per cui il metodo di ammortamento alla francese evidenzierebbe la composizione della rata secondo il meccanismo nell’interesse composto; ciò nonostante, come visto, sarebbe esclusa ogni coincidenza con il fenomeno anatocistico, rispetto a cui la costruzione della rata in interesse composto rimane eterogena, affermandosi che la capitalizzazione composta “è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato.

In dottrina, invece, accanto a chi ritiene che l’ammortamento alla francese evidenzi l’impiego dell’interesse composto, v’è la posizione di chi, invece, esclude categoricamente la sussistenza di tale fenomeno affermando che l’ammortamento alla francese “standard” non si svolge secondo le regole dell’interesse composto ma dell’interesse semplice, ritenendo che l’intera questione rimessa alla Suprema Corte si fondi, dunque, tutta su un equivoco

Sta di fatto, peraltro, che nella prassi giudiziaria è tutt’altro che infrequente imbattersi in accertamenti tecnici da cui sembra emergere che l’ammortamento alla francese venga costruito mediante il ricorso all’interesse composto.

Sicché, anche a voler spostare il discorso sul differente terreno della concreta struttura del singolo mutuo di cui si discute – il che a sua volta impone di verificare che cosa sia stato eventualmente allegato e provato – un piano di ammortamento con frequenza delle rate infrannuale è determinato applicando a ciascun capitale residuo, precedente la rata di riferimento, un tasso di interesse nominale periodale; quest’ultimo, poi, potrà essere applicato in regime di capitalizzazione semplice o – per lo meno astrattamente – in regime di capitalizzazione composta, ancorché quest’ultima sembri, poi, di fatto essere la forma largamente in uso nella prassi bancaria.

Ed allora, nell’ottica della trasparenza della pattuizione, dunque, effettivamente i dubbi sollevati dal Tribunale di Salerno potrebbero essere, entro certi limiti, condivisibili.

 Vediamo, allora, in che senso il dubbio può essere condiviso.

A scanso di equivoci: deve ribadirsi, anche in questa sede, che il piano di ammortamento alla francese, nel suo fisiologico svolgimento, non corrisponde alla pratica dell’anatocismo vietato di cui all’art. 1283 c.c.

Caratteristica di questa tipologia di ammortamento è, come detto, che la quota interessi componente ciascuna rata di rimborso è calcolata unicamente sul debito in linea capitale residuo, e non anche su eventuali interessi maturati in un periodo precedente in quanto essi vengono periodicamente pagati alla scadenza di ogni singola rata, di talché l’obbligazione assunta con la sottoscrizione di un mutuo regolato nelle forme del piano di ammortamento alla francese nulla ha a che vedere con il divieto di anatocismo né appare sanzionabile con un negativo giudizio di meritevolezza o per il tramite dell’applicazione della previsione di cui all’art. 1344 c.c., potendosi escludere una intrinseca contrarietà all’ordinamento del piano di ammortamento alla francese.

La maggiore onerosità, messa in risalto come fattore problematico anche dall’ordinanza in commento, effettivamente sussiste e la stessa è derivante dal fatto che, partendo dalla costruzione della rata come costante, ma con una diversa composizione nel tempo della componente interessi e della componente capitale, viene maggiormente diluito nel tempo il godimento del secondo in conseguenza di una inizialmente maggiore restituzione dei primi.

In tal senso, va da sé che se l’ammortamento alla francese, oltre a non ricorrere all’uso della capitalizzazione composta, è costruito secondo il solo ed unico sviluppo possibile, l’intera questione posta dal Tribunale di Salerno, verrebbe immediatamente a cadere nella sua interezza.

Di contro, se è concepibile il concreto sviluppo del piano di ammortamento secondo la formula dell’interesse composto, può risultare in effetti corretto ritenere che il regime finanziario adottato (e la conseguente modalità di costruzione di una rata), laddove si dimostri che lo stesso si è tradotto in un maggior onere per il mutuatario, individui una di quelle “altre condizioni” che, a mente del quarto comma dell’art. 117, D. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, devono essere indicate nel contratto, la cui inosservanza può dar luogo, se del caso, alle conseguenze di cui ai successivi sesto e settimo comma della medesima disposizione.

Ciò, invero, non già perché si ritenga che su tale modalità di calcolo della rata si debba raccogliere l’assenso del cliente, non potendosi negare la libertà degli operatori di fissare il prezzo dei propri prodotti, e non potendosi imporre un prodotto costruito secondo un determinato ammortamento o, ancora, la rappresentazione di un regime finanziario non oggetto di proposta né di trattativa, o avviare su di esso un confronto.

Le indicazioni sulla modalità di costruzione della rata possono, però, legarsi alla necessità che il cliente sia messo in grado di sapere quanto ed in che termini quella data condizione incide sul contratto che si andrà a stipulare.

È in questo senso, e in questo soltanto, dunque, che l’ammortamento alla francese, più che presentare problematiche connesse alla legittimità del criterio di calcolo, può destare preoccupazioni, con riferimento al rischio, cioè, che esso possa risultare non intellegibile per il cliente in relazione al prodotto che sta per sottoscrivere.

In tale direzione, del resto, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato, di recente, che al fine di rispettare l’obbligo di trasparenza di una clausola contrattuale che fissa un tasso d’interesse nell’ambito di un contratto di mutuo ipotecario (nella fattispecie considerata, variabile), tale clausola deve non solo essere intelligibile sul piano formale e grammaticale, ma consentire altresì che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie

Le perplessità, allora, sembrano doversi rivolgere, più che altro, alla modalità di formazione della rata (recte: alla mancata indicazione delle modalità di formazione della rata), nella misura in cui la struttura dell’ammortamento incide concretamente su “prezzo” e “condizioni” praticati, esponendo il prenditore alla restituzione di una quota di interessi maggiore.

Detto altrimenti, la questione diviene, allora, non già se il tasso di interesse sia determinato, ma, da un lato, se le condizioni del contratto siano state, o meno, rappresentate correttamente nella, differente, prospettiva delle norme in tema di trasparenza bancaria (oltre che, a questo punto, nella prospettiva del rispetto dell’onere di forma scritta) nonché, dall’altro, quali siano le modalità di assolvimento di tale onere.

8. segue: Ammortamento alla francese: …una questione di trasparenza. La rilevanza del piano di ammortamento.

Ed allora, se di trasparenza si discorre, anzitutto, par lecito ritenere, con riferimento al primo dei profili indicati dal Tribunale di Salerno, che lo stesso non possa certo esaurirsi né essere risolto con la presenza dell’espressione “alla francese” o con la semplice affermazione per cui il piano è costruito con una data modalità di capitalizzazione: non pare, detto altrimenti, che sia l’indicazione della “nomenclatura” dell’ammortamento o della capitalizzazione concretamente utilizzati, laddove la stessa si esaurisca in un mero dato letterale (“alla francese” ovvero capitalizzazione “composta”) privo di altre informazioni, che possa spostare gli equilibri della valutazione di legittimità o meno del piano di ammortamento né sul piano della trasparenza ma nemmeno sul quello della determinatezza del regolamento contrattuale.

Laddove, invece, il contratto descriva l’obbligazione degli interessi, il costo complessivo del credito, rechi l’indicazione del TAN e del TAE – quest’ultimo, in verità facoltativo, il cui valore però, è, come detto, in grado di esprimere la maggiore onerosità del finanziamento in ragione del meccanismo di pagamento infrannuale degli interessi – nonché, soprattutto, il piano di ammortamento allegato con indicazione delle rate (magari non solo nel loro ammontare ma anche nella relativa composizione circa la quota per capitale e per interessi), non sembra potersi dubitare della corretta e trasparente pattuizione delle condizioni contrattuali.

Sicché, contrariamente a quanto pare “suggerire” alla S.C. il Tribunale remittente, espressi nel regolamento contrattuale i tassi di interesse e le condizioni nei termini appena indicati, sintetizzati nel piano di ammortamento, nell’invarianza della rata (che costituisce in un certo senso l’elemento caratteristico del piano di ammortamento), non sembra esservi spazio per alcun profilo di indeterminatezza o di carente trasparenza, anche con riferimento al regime finanziario adottato.

Soccorre, allora, nuovamente la pronuncia, già sopra richiamata, secondo cui mediante il rinvio al piano di ammortamento, le parti disciplinano la modalità di rientro dell’erogato “con coeva determinazione dell’entità dei frutti percentualizzati per ogni singola scansione del pagamento”.

Del resto, in materia di leasing, la Corte di Cassazione ha ricordato che è soddisfatto il requisito di determinabilità del tasso di interesse anche laddove sia necessario fare ricorso a calcoli di tipo matematico, a prescindere dalla difficoltà.

Si è ricordato, infatti, che in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata, ai sensi dell’art. 1346 c.c., è sufficiente che la stessa – nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 – contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione, ammettendosi, in definitiva, una sorta di rinvio per relationem anche laddove lo stesso avvenga alle altre condizioni del contratto.

Ed infatti, se la trasparenza ha (anche) la finalità di consentire al cliente di comprendere il peso economico di una determinata operazione, un contratto che descriva il costo totale del credito, l’importo complessivo degli interessi, l’ammontare della rata e la sua durata nel tempo sembra potersi ritenere idoneo soddisfare il contenuto imposto dall’art. 117 TUB, quarto comma, e contenere tutti gli elementi che consentono al cliente di comprendere le condizioni di quel contratto e non di un altro, perché, a quel punto, contrapporre a quel contratto un altro il cui ammortamento è costruito nelle forme dell’ammortamento, ad esempio, all’italiana o secondo il regime di capitalizzazione semplice, significa confrontare, in realtà, prodotti diversi da quelli correttamente convenuto e, dunque, parlare di un altro contratto.

Come si accennava, nell’ambito delle opzioni ricostruttive fatte proprie dal Tribunale remittente, la possibilità di desumere il regime finanziario applicato dalle condizioni convenute non pare essere ritenuta sufficiente.

Tuttavia, seguendo fino in fondo il ragionamento del Tribunale di Salerno, secondo cui “il cliente è normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la reale portata economica delle singole clausole…” ed è “…di norma dotato di competenze tecniche in materia di matematica finanziaria elementari, se non inesistenti”, appare ancor più improbabile che il medesimo cliente, soprattutto se non professionale – ma probabilmente poco muterebbe quand’anche avesse tale qualifica – sia in possesso di quel bagaglio di conoscenze ulteriori per comprendere le regole e le formule della matematica finanziaria che dovrebbero presiedere alla formulazione della rata ed all’esplicitazione dell’interesse composto.

Ed anzi, se, ad esempio, il contratto di mutuo, piuttosto che contenere il piano di ammortamento con indicazione del TAE, contenesse l’indicazione sul metodo di matematica finanziaria utilizzato per la predisposizione del piano ovvero ne riportasse la formula, ci si dovrebbe seriamente interrogare su quanto sia effettivamente esauriente ed esaustiva tale informazione sul reale importo delle rate da pagare e sull’ammontare complessivo della somma da restituire, rispetto alla allegazione del piano di ammortamento che consente concretamente di avere piena contezza delle condizioni e del loro sviluppo nella futura esecuzione del contratto sottoscritto per come rappresentate nella tabella di ammortamento.

A diverse conclusioni, per contro, potrebbe doversi giungere tutte le volte in cui tali elementi in realtà non siano adeguatamente espressi.

Così, ad esempio, è il caso in cui il contratto, pur esprimendo il costo complessivo della rata (costante) che il prenditore andrà a pagare, il numero delle rate (quando), quantificando magari l’entità complessiva degli interessi (quantum), non espliciti in alcun modo la modalità di costruzione (quomodo) di tali importi o il tasso effettivo, così incidendo sulla formazione di una volontà consapevole quanto alle condizioni con cui troveranno applicazione i parametri individuati nel contratto sottoscritto e come questo avrà, dunque, concreta esecuzione.

Ciò in quanto, a meno di non voler ritenere ricompreso all’interno del TEG quel maggior onere a titolo di interessi riconducibile per l’appunto al piano di ammortamento adottato, risulta inespresso – né è diversamente ricavabile – quell’elemento che esprime le modalità matematiche e finanziarie di costruzione della rata e, prima ancora, e l’applicazione dei parametri che conducono a quel determinato risultato, secondo quanto disposto l’art. 6 della delibera C.I.C.R. del 9 febbraio del 2000.

Sicché, se può ritenersi che permanga, tuttora, valida l’affermazione della giurisprudenza, per cui la produzione del piano di ammortamento non costituisce elemento indefettibile della prova del residuo credito da mutuo, specie ove i requisiti costitutivi delle reciproche obbligazioni, e in particolare quella restitutoria, risultino dalla chiara previsione contrattuale, dalla natura delle rate e dalla prevedibilità del loro importo per quota di interessi separata rispetto al capitale, tale assunto merita forse una riconsiderazione in relazione al differente tema della chiara e trasparente la modalità di formazione delle rate e di determinazione degli importi dovuti a titolo di interessi.

9. Ammortamento alla francese: rimedi esperibili per una questione di trasparenza.

Ove allegata e provata la costruzione del piano di ammortamento nelle forme dell’interesse composto, una siffatta carenza delle condizioni contrattuali, più che rendere indeterminato l’oggetto contrattuale e, per certi versi, prima ancora di porre un problema di trasparenza, potrebbe far ritenere non soddisfatto, in radice, il requisito della forma scritta imposto dal quarto comma dell’art. 117 TUB.

In sostanza, in tali casi, non sembra porsi semplicemente un problema di determinatezza dell’interesse pattuito, perché lo stesso è indicato e perché, anche nella metrica dell’interesse composto è quel tasso ad essere utilizzato; ciò che però può ritenersi non correttamente indicata in relazione alla quota di interessi dovuta, è la modalità di determinazione di ciascuna rata in relazione al regime di capitalizzazione utilizzato, precludendo al mutuatario di conoscere il meccanismo applicativo degli interessi.

Quanto sopra è tanto più evidente se effettivamente si assume che il piano di ammortamento alla francese può ammettere, per lo meno astrattamente, una costruzione anche nelle forme dell’interesse semplice oltre che dell’interesse composto, con una differenza di costo che ridonda a carico del mutuatario.

Sarebbe difficile negare, in tale prospettiva, che l’operatività di un regime finanziario idoneo a comportare un innalzamento del montante degli interessi costituisca un “prezzo” o una “condizione”, la cui mancata indicazione può assumere rilievo ai fini dell’art. 117 TUB.

Anche in questo caso, vediamo in che termini.

In primo luogo, poco percorribile parre la soluzione, talvolta pure invocata, della sostituzione dell’ammortamento alla francese con l’ammortamento cd. all’italiana.

È, invero, assolutamente diffusa l’affermazione che l’ammortamento alla francese, ove raffrontato con il piano di ammortamento all’italiana (restituzione mediante rimborso graduale secondo importi di capitale costante), determini un maggior onere per il mutuatario in termini di interessi, sicché l’eventuale ricostruzione dell’ammortamento “viziato” dovrebbe avvenire con l’uso di tale diverso ammortamento.

Tuttavia, trattasi di soluzione non condivisibile perché non condivisibili ne sono i presupposti.

Appare, anzitutto, corretta la precisazione di chi nota che tale maggiore onerosità non debba essere affermata confrontando l’ammortamento alla francese e l’ammortamento all’italiana atteso che “…a parità di condizioni, tutti i prestiti standard presentano lo stesso TAE: e dunque sono ugualmente onerosità per il finanziato, ugualmente profittevoli per il finanziatore”.

Va da sé che, laddove non vi sia parità di condizioni, la comparazione tra i due ammortamenti espressa in termini maggiore o minore onerosità mette a confronto, molto semplicemente, grandezze differenti e tra loro non omogenee in quanto fra ammortamento all’italiana e ammortamento alla francese difetta, per l’appunto, il presupposto della parità delle condizioni: il minor onere dell’ammortamento all’italiana discende dalla costruzione del rimborso che quote costanti di capitale di talché alla maggiore restituzione del capitale non può che conseguire un minor importo di interessi. 

Ne consegue che, posto che tale raffronto attiene a contratti costruiti con ammortamenti diversi e, dunque, a contratti diversi, è del tutto evidente che risulti illogica la “riscrittura” dell’ammortamento nelle forme del cd. ammortamento all’italiana.

Ciò posto, la soluzione che suggerisce il Tribunale di Salerno è, in realtà, del tutto in linea con gli approdi della giurisprudenza di legittimità le cui affermazioni, ancorché rese in materia di leasing, risultano, però, applicabili anche a tale soluzione. 

Per il vero, l’art. 117, co. 6, lett. b, prevede che in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso mentre in mancanza di pubblicità nulla è dovuto.

Detto altrimenti, partendo dall’assunto che rileva per l’incidenza sui prezzi e le condizioni applicate, tale disposizione potrebbe suggerire che l’eterointegrazione del contratto non debba avvenire mediante la sostituzione dell’interesse regolarmente e legittimamente convenuto con quello sostitutivo.

Del resto, una l’applicazione dell’interesse sostitutivo in sé considerata appare, in realtà, soluzione eccentrica rispetto al problema in esame, da un lato, perché, come detto, anche con l’interesse composto, è l’interesse pattuito che trova applicazione; dall’altro lato, perché anche in ipotesi di sostituzione dell’interesse ultralegale convenuto con quello sostitutivo di cui all’art. 117 TUB, si porrebbe il problema della modalità con cui procedere alla costruzione dell’ammortamento che dovrebbe avvenire nelle forme dell’interesse semplice, salvo verificare quale sia la diversa condizione pubblicizzata

Laddove, cioè, risultasse che l’ammortamento sia stato costruito nelle forme dell’interesse composto, la nullità parziale potrebbe reagire alla mancata indicazione di una condizione dell’ammortamento dando corso all’inserimento della condizione pubblicizzata per la corrispondete categoria di operazione dunque, in ipotesi, anche la modalità di ammortamento alla francese se questa si rinvenisse pubblicizzata, mentre, in assenza di pubblicità, nulla risulterebbe dovuto, di talché si renderebbe necessario procedere alla costruzione della rata con l’interesse semplice.

Ad ogni buon conto, la Corte di Cassazione in tema di leasing ha precisato che la irrogazione della sanzione sostitutiva non è riservata alle ipotesi nelle quali nel contratto manchi la relativa pattuizione ma che alla stessa “…deve essere equiparata quella in cui il tasso sia indicato nel contratto, ma esso porti ad un ammontare del costo dell’operazione variabile in funzione dei patti che regolano le modalità di pagamento, sì da ritenere che il prezzo dell’operazione risulti sostanzialmente inespresso e indeterminato, oltre che non corrispondente a quello su cui si è formata la volontà dell’utilizzatore…”

Pur non versandosi in una “intrinseca” ipotesi di nullità del tasso o di mancata indicazione dello stesso, ad essere sanzionata è, dunque, l’opacità dell’operazione complessiva in cui la volontà del mutuatario si è formata su un tasso di interesse ma non sulle modalità in cui lo stesso sarebbe stato declinato e che hanno portato – ove si riscontri che così effettivamente è stato – ad un aumento del montante interessi da corrispondere in ragione delle modalità concretamente seguite nella costruzione della rata.

10. Conclusioni.

Come si è visto, le questioni oggetto del rinvio pregiudiziale sono, in realtà, molteplici e possono essere lette e declinate nelle più disparate prospettive, a cominciare da quale sia il rimedio concretamente percorribile.

Intanto, in attesa che della pronuncia delle sezioni unite della Corte, la questione della legittimità dell’ammortamento è stata già oggetto di una pronuncia della Cassazione, ancorché nello specifico settore tributario.

Si tratta di Cass. civ., sez. trib., 2 ottobre 2023, n. 27823, la quale ha escluso la fondatezza della censura in ordine al difetto di trasparenza delle condizioni di rateizzazione applicate e costruite nelle forme dell’ammortamento alla francese, rilevando che il metodo di ammortamento a rata fissa è predeterminato e manifestato attraverso un atto dell’Ente di portata generale, la Direttiva Nazionale di Equitalia DSR/NC/2008/012 del 27 marzo 2008, e trova un chiaro aggancio normativo nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 19 laddove, al comma 1-ter dispone che “il debitore può chiedere che il piano di rateazione di cui ai commi 1 e 1-bis preveda, in luogo di rate costanti, rate variabili di importo crescente per ciascun anno”, ritenendo tale disposizione estensibile, per identità di ratio, a tutte le forme di rateizzazione fiscale. 

Non è dato sapere quanto tale pronuncia sarà indicativa degli approdi cui perverranno le sezioni unite sia per la specialità del settore cui si riferisce sia perché, a ben vedere, la pronuncia da ultimo citata non sembra neanche confrontarsi con la questione devoluta poco tempo prima.

Non ci resta che attendere, dunque, l’intervento della S.C. a sezioni unite, auspicando, dunque, che l’intervento della Suprema Corte diventi, nei limiti e nei confini tracciati dal rinvio pregiudiziale, l’occasione per fare un po’ di chiarezza sulla legittimità del piano di ammortamento alla francese.

 Si veda ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»Riv. Dir. Priv., 2007, p. 669; ancora MINERVINI, Il terzo contrattoContr., 2009, pp. 493 e ss.; per una ricostruzione complessiva, E. CAPOBIANCO, Profili generali della contrattazione bancaria, in I contratti bancari, a cura di E. CAPOBIANCO, Utet, 2016, p. 42.

 Si tratta di Sez. U – , Sentenza n. 898 del 16/01/2018, Rv. 646965 – 01), Foro It., 2018, 4, p. 1289, con nota di G. LA ROCCA, “Interessi contrapposti” e “conseguenze opportunistiche” nella sentenza delle Sezioni unite sulla sottoscrizione del contratto; in Le Società, 2018, 4, p. 481, con nota di R. NATOLI, Una decisione non formalistica sulla forma: per le Sezioni Unite il contratto quadro scritto, ma non sottoscritto da entrambe le parti, è valido; in I contratti: rivista di dottrina e giurisprudenza, 2018, 2, 133, con nota di G. D’AMICO, S. PAGLIANTINI, R. AMAGLIANI, Le sezioni unite sul cd. contratto mono-firma.

 Sez. U – , Sentenza n. 28314 del 04/11/2019, Rv. 655800 – 01 in Resp. Civ. prev., 2020, 3, p- 835, con nota di F. GRECO, La nullità “selettiva” e un necessitato ripensamento del protezionismo consumeristico, in esito alla pronuncia delle Sezioni Unite, in I contratti: rivista di dottrina e Giurisprudenza, 2020, 1, p. 11, con nota di S. PAGLIANTINI, Le stagioni della nullità selettiva (e del “di protezione”), in Foro It., 2020, 3, p. 948, Id., La nullità selettiva quale epifania di una deroga all’integralità delle restituzioni: l’investitore è come il contraente incapace?

 Il pensiero è a Sez. U – , Sentenza n. 24675 del 19/10/2017, Rv. 645811 – 01, Foro it., 2017, 11, I, p. 3274 con nota di CARRIERO, Usura sopravvenuta. C’era una volta?, nonché con nota di LA ROCCA, Usura sopravvenuta e “sana e prudente gestione” della banca: le sezioni unite impongono di rimeditare la legge sull’usura a venti anni dall’entrata in vigore, la quale ha affermato che nei contratti di mutuo, ma con principio estensibile ai rapporti di conto corrente, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. Si veda, però, Cass. civ. sez. III, 28 settembre 2023, n. 27545, Diritto e Giustizia, 2023, 29 con nota G. SATTA, ove si legge in motivazione che «Dando seguito al dictum delle Sezioni Unite, occorre qui affermare che: “i saggi di interesse usurari – che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa – costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto».

 Si tratta di Sez. U – , Sentenza n. 16303 del 20/06/2018, Rv. 649294 – 02, con nota di M. TICOZZI, Autonomia contrattuale e interesse convenzionali dopo Cass., Sez. un., n. 16303/2018.Giur. It., 2018, 10, p. 2086; A. STILO, Il c.d. principio di simmetria oltre le Sezioni Unite: nuovi scenari interpretativi e possibili “effetti collateraliI contratti: rivista di dottrina e giurisprudenza, 2018, 5, p. 521, la quale ha, per un verso, ritenuto che l’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare, dunque per il futuro, la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari; per l’altro, ha ritenuto che la verifica del rispetto delle disposizioni in tema di usura ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata procedendo alla separata comparazione del tasso effettivo globale degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia – ricavato dal tasso effettivo globale medio indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 – e con la CMS soglia – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale margine residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

 Si tratta di Sez. U – , Sentenza n. 19597 del 18/09/2020, Rv. 658833 – 02), Foro It., 2021, 2, p. 581, con nota di A. Palmieri “Usura e interessi moratori: questo matrimonio s’ha da fare; in Jus civile, 2021, 6, p. 1805, con nota di P. MAZZAMUTO, L’usurarietà degli interessi moratori. Considerazioni critiche sulla sentenza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19597; in Giur. It., 2021, 6, p. 1395, con nota di B. PETRAZZINI, Interessi moratori e usura: l’intervento delle Sezioni unite; in Giur. It., 2021, 3, 564, con nota di A. BARENGHI, Mora usuraria e interessi corrispettivi: le Sezioni unite disinnescano il contenzioso, la quale, dopo aver precisato che l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati, salvo diversificarne il trattamento, giacché nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento, ha osservato che la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005, con decisione rimessa all’interessato di far valere l’uno o l’altro rimedio.

 Ed infatti, l’orientamento, maggiormente condivisibile e che da ultimo si è andato affermando è quello per cui, muovendo dall’onere probatorio gravante sul correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di danaro, che afferma essere stato indebitamente corrisposto all’istituto di credito nel corso dell’intera durata del rapporto sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente o per addebiti non previsti in contratto (Cass. 7 dicembre 2022, n. 35979; Cass. 28 novembre 2018, n. 30822; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948), il diritto del cliente di ottenere, ex art. 119, comma 4, t.u.b., la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio, può essere esercitato, nei confronti della banca inadempiente, attraverso un’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., nel corso di un giudizio, a condizione che la documentazione invocata sia stata precedentemente fatta oggetto di richiesta, non necessariamente stragiudiziale, e siano decorsi novanta giorni senza che l’istituto di credito abbia proceduto alla relativa consegna (Cass. 1 agosto 2022, n. 23861; Cass. 13 settembre 2021, n. 24641). Siffatto orientamento, in tempi recenti, era però stato messo in discussione da altre pronunce ad avviso delle quali il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non ritenendo corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (così Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3875 del 08/02/2019, Rv. 653135 – 01).

 Il riferimento è a Sez. U – , Sentenza n. 33719 del 16/11/2022, Rv. 666194 – 01), Giur. It., 2023, 3, 527, con nota di S. PAGLIANTINI, La validità secca del mutuo fondiario sovra finanziato: un the end (più) agro (che) dolce e con nota di A. PURPURA, La controversa validità del mutuo fondiario eccedente il limite di finanziabilità.

 Si segnala che la questione è stata rimessa da Cassazione civile sez. III, 27/07/2023, n. 22946), inedita, alla trattazione in pubblica udienza per la rilevanza della questione.

 Si tratta di Sez. U, Sentenza n. 41994 del 30/12/2021, Rv. 663507 – 01), con nota di S. PAGLIANTINI, Fideiussioni omnibus attuative di un’intesa anticoncorrenziale: le Sezioni Unite, la nullità parziale ed il “filo” di Musil, in Foro It., 2022, 2, p. 523, di G. D’AMICO, Modelli contrattuali dell’Abi e nullità dei contratti cd. a valle, in Foro It., 2022, 4, p. 1309, di A. MONTANARI, Nullità dei contratti attuativi dell’intesa illecita e “prova privilegiata”: qualche appunto alle Sezioni Unite n. 41994/21, in Foro It., 2022, 2, p. 528.

 Non è questa la sede per trattare diffusamente dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità del rinvio pregiudiziale. Ai fini che ci occupano, sia consentito unicamente notare che l’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. deve essere adottata “sentite le parti costituite”. La ratio di tale previsione è evidente: a fronte di uno strumento rimesso, essenzialmente, nelle mani del giudice circa le ragioni e l’opportunità del rinvio, le parti devono potersi, comunque, esprimere a riguardo onde poter contribuire, pur non potendosi opporre alla decisione di procedere al rinvio, come a quella di non farlo, alla individuazione del thema disputandum, stante l’efficacia vincolante nel giudizio a quo che il pronunciamento della S.C. andrà ad assumere. La disposizione, tuttavia, tace circa le sorti dell’ordinanza per l’ipotesi in cui il contraddittorio non venga provocato dal giudice remittente. Il dato testuale, in realtà, sembrerebbe escludere che l’attivazione del contraddittorio sia una condizione prevista a pena di inammissibilità del rinvio: in tal senso, infatti, il filtro di ammissibilità è funzionalmente connesso alla verifica della ricorrenza delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 363 bis c.p.c., le quali, a loro volta, sono testualmente individuate in quelle descritte ai punti 1, 2 e 3 della detta disposizione. In tale solco si colloca il provvedimento della Prima Presidente che, per un verso, osserva come il rispetto di tale requisito non rientra tra gli aspetti da rilevare già in sede di filtro di ammissibilità e, per l’altro verso, ipotizza come il contraddittorio omesso “a monte” (dal giudice del merito) possa poi essere recuperato “a valle” dinanzi al giudice di legittimità. Nondimeno, se il dato testuale dell’art. 363 bis c.p.c. consente effettivamente di escludere che la mancata attivazione del contraddittorio possa essere ravvisata già in sede di filtro preliminare, e salve ragioni di economia processuale, le ragioni di una nullità dell’ordinanza di rimessione per violazione del contraddittorio sembrano ravvisabili non tanto per avere il Giudice remittente analizzato, d’ufficio, una questione di puro diritto senza sottoporla alle parti, quanto, piuttosto, nell’avere frapposto un impedimento alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con pienezza le proprie difese in funzione della questione da sottoporre; in tal senso, tenuto conto degli effetti vincolanti attribuiti alla decisione della S.C., la violazione del contraddittorio appare costituire ex se un vulnus al principio del contraddittorio ed una violazione del diritto di difesa, senza necessità che siano precisati gli argomenti che sarebbero stati svolti, non consentendo alle parti, non già di “paralizzare” il rinvio, quanto di offrire ulteriori elementi di valutazione della fattispecie. Si veda, già richiamata in nota 13, Cass. Civ. 27 ottobre 2023, n. 29961, non massimata, segnatamente par. 9, pag. 23 e ss.

 Per la nullità dell’ordinanza pronuncia senza la preventiva instaurazione del contraddittorio R. TASCINI, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione dell’art. 363 -bis c.p.c. La disciplina. La Casistica, in Giust. Civ., 2023, 2, p. 343; nella stessa direzione G. TRISORIO LUIZZI, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in Judicium.it.; nello stesso senso, pare andare E. D’ALESSANDRO, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Il Processo, 1, p. 51 e ss. Si veda ancora A. SCARPA, Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione di nomofilachia», in Questa rivista 3 marzo 2023, ad avviso del quale la nullità dell’ordinanza sarebbe rilevabile su iniziativa della parte interessata nella prima istanza o difesa successiva, a norma dell’art. 157, comma 2, c.p.c. e, dunque, tenuto conto dell’effetto sospensivo che consegue al deposito dell’ordinanza da parte del Giudice del merito, nel contraddittorio che sarà recuperato dinanzi la S.C. o, come avvenuto nel caso di specie, già con memoria depositata in occasione del filtro del Primo Presidente. Non risulta, per il vero, che la S.C. abbia ex professo affrontato la questione; nondimeno, in Cass. civ. sez. I, 16 ottobre 2023, n. 28727, non massimata, espressamente si legge che «è, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti».

 Si veda A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese»: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca Borsa Titoli cred., 2022, 5, p. 641, ad avviso del quale, in realtà la rata costante non è un elemento identificativo di tale modalità di rimborso ma solo uno dei possibili profili che concretamente tale ammortamento può assumere.

 Così, testualmente, Trib. Alessandria, 10 maggio 2023, n. 405, inedita.

 Limitando ai contributi più recenti, si veda R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2023, 2, pag. 201 e ss.; R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsiibidem, 2021, 5, pag. 700 e ss.; G. B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po’ di chiarezza tra matematica e dirittoibidem, 2021, 5, pag. 679, nonché A.A. DOLMETTA, op. ult. Cit.

 In questa direzione pare andare R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2, 2023, pag. 201 e ss.; nella stessa direzione pare, in realtà, andare anche N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro. Di sicuro, c’è qualcosa che non va, in Banca borsa tit. cred., 2, 2021, pag. 233 e ss. Si veda, però, anche A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese», cit., il quale, pur reputando non del tutto convincente la tesi della violazione dell’art. 1283 c.c., suggerisce una più attenta valutazione del piano di ammortamento alla francese sul, per il vero differente, terreno del giudizio di meritevolezza e della causa in concreto che dovrebbero sorreggere detto meccanismo in termini di maggiore severità. Si veda ancora, R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, il quale osserva come le pronunce che hanno negato la ricorrenza del fenomeno dell’anatocismo vietato nei piani di ammortamento alla francese non abbiano tenuto in debito conto le modalità di pattuizione della rata. 

 Così testualmente, R. MARCELLI, L’anatocismo nei finanziamenti con ammortamento graduale. Matematica e diritto: due linguaggi che stentano ad incontrarsi, in Banca Borsa Tit. Cred., 5, 2021, pag. 700.

 Trattasi di orientamento che si trova affermato anche nella giurisprudenza di legittimità: si tratta di Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2023, n. 13888, inedita.

 R. MARCELLI, op. ult. Cit., evidenzia come “il regime dell’interesse composto…non si pone in un rapporto di sinonimia con l’anatocismo, bensì è il genus nel cui ambito si colloca l’anatocismo come species”.

 Si tratta di Trib. Torino 31 maggio 2019, n. 2676, inedita. La pronuncia è, però, richiamata da N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro, cit.La tesi è ripresa, ancora, in Trib. Torino, 22 settembre 2020, n. 3225.

 In tal senso, sempre limitando i richiami agli arresti più recenti della giurisprudenza, si vedano App. Torino, Sez. I, 14.5.2019, n. 807; App. Torino, Sez. I, 21.5.2020 n. 544; App. Torino, sez. I, 17/09/2020, n. 905; App. Torino, sez. I, 10/03/2022, n.287, App. Brescia, 9 febbraio 2023, n. 240; Trib. Sassari, 16 gennaio 2023, n. 47; Trib. Pisa, 10 gennaio 2023, n. 40; Trib. Napoli Nord, 11 ottobre 2022, n. 3549; App. Firenze, 29 agosto 2022, n. 1846; App. Roma, Sez. imprese, 5 luglio 2022, n. 4620; Trib. Torino, 22 febbraio 2022, n. 747; App. L’Aquila, 2 febbraio 2022, n. 175; App. Milano, 21 gennaio 2022, n. 204; nella giurisprudenza di legittimità, oltre quella richiamata in nota n. 19, Cass., 24 novembre 2022, n. 34677; Cass., 19 maggio 2022, n. 16221.  

 La rispondenza o meno all’interesse del mutuatario è argomentazione che deve rimanere fuori dalla quaestio iuris rappresentata dalla legittimità o dalla chiarezza del piano di ammortamento alla francese alla stessa identica maniera di quanto deve ritenersi quanto alla valutazione della eventuale convenienza o appetibilità da parte degli istituti di credito del prodotto così costruito (in confronto, cioè, ad altre tipologie di prodotti che presentano meccanismi di restituzione graduale differente del capitale).

Ad ogni modo, condivisibili criticità circa la rispondenza di tale piano di ammortamento all’interesse del mutuatario vengono poste in risalto da G.B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po’ di chiarezza tra matematica e diritto, in Banca Borsa Tit. cred., 5, 2021, pag. 679 nonché R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, in Banca Borsa tit. cred., 2, 2023, pag. 201 e ss. che, in maniera condivisibile, evidenzia come siffatta presunzione abbia “il sapore di una petizione di principio”. 

 La posizione che si è percorsa, così la parte testualmente citata, è di A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese», cit.

 In tal senso, N. de LUCA, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro, cit., il quale fa in proposito l’esempio della pattuizione di interessi di cd. preammortamento. Nel senso della possibilità di una divaricazione tra interessi maturati ed interessi esigibili anche G. B. BARILLA’, F. NARDINI, Legittimità dell’ammortamento alla francesecit., laddove si ammette la possibilità dell’addebito di una quota di interessi anche superiore a quella corrispondente al capitale oggetto di rimborso purché non eccedente quelli complessivamente dovuti. In detta affermazione sembra cogliersi il concetto di equivalenza, proprio della tecnica matematica, su cui si veda F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipati, in Banca Borsa e tit. cred., 4, 2022, pag. 636.

 R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, cit.

 Così, testualmente, F. CACCIAFESTA, op. ult. cit. A riguardo, mette conto evidenziare che il commento da ultimo citato si inserisce in un avvincente “botta e risposta” sulle pagine della Rivista tra il Prof. de Luca ed il Prof. Cacciafesta che risultato particolarmente stimolante nel far emergere la differente posizione del giurista rispetto a quelle del matematico. Si tratta in particolare di F. CACCIAFESTA, Osservazioni sull’articolo “Mutuo alla francese di N. de Luca”, in Banca borsa tit. cred., 4, 2022, pag. 627; N. DE LUCA, Ringraziamento e replica al prof. Cacciafestaibidem, 4, 2022, pag. 633 nonché, F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipatiibidem, 4, 2022, pag. 636. Si veda, a riguardo, ancora, R. NATOLI, op. ult. cit. nonché G. MUCCIARONE, Ammortamento alla francese: meritevolezza e trasparenza, in Banca borsa e tit. cred., 4, 2023, pag. 599.

 Si veda ancora R. NATOLI, L’ammortamento “alla francese”: una questione di trasparenza, cit.; nella stessa direzione si veda altresì M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, in Riv. Dir. Banc., 10, 2023, la quale evidenzia come l’art. 821 c.c. ponga unicamente una regola di acquisto degli interessi, laddove la scadenza del credito di interesse sarebbe disciplinata in regime di anno ai sensi dell’art. 1284 c.c., di cui ricorda il carattere dispositivo della previsione e la sua derogabilità ad opera delle part. Si veda ancora G. MUCCIARONE, op. ult. cit., il quale evidenzia come il piano di ammortamento alla francese non contenga neanche un deroga alla disciplina dell’imputazione dei pagamenti, recando, piuttosto una disciplina delle scadenze.

 Si veda N. de LUCA e G. RIPA di MEANA, Mutuo alla francese: non è detto che gli interessi esigibili siano anche maturati, in Dirittobancario.it, 2021; A. DIDONE, Ammortamento alla francese e «anatocismo secondario», in Dirittobancario.it, 2021 nonché, ancora, R. MARCELLI, Ammissione al passivo fallimentare degli interessi relativi a mutuo con piano di ammortamento a rata costante (alla francese). L’art. 2855 c.c., in Ilcaso.it, 10 giugno 2021, il quale sottolinea, altresì, che, sempre in relazione alla possibile divaricazione fra esigibilità ed interessi, “…l’applicazione dell’art. 2855, 2 comma c.c. richiederebbe propedeuticamente la ricostruzione del piano nel rispetto degli artt. 1284 e 1194 c.c., per l’individuazione degli interessi maturati sino all’ultimo biennio, che non risultino già corrisposti anticipatamente negli anni precedenti…”.

 Così, F. CACCIAFESTA, Risposte al Prof. de Luca. Con una osservazione in tema di interessi anticipaticit., ove si legge che “…il prezzo da pagare anticipatamente non può, per equità, coincidere con quello da corrispondere posticipatamente: le due somme non devono (“non possono”) essere uguali, ma devono essere “equivalenti”. “Equivalenti” nel senso, umile e convenzionale, ma rigoroso, della Matematica Finanziaria: quanto si paga, o pagherebbe, prima, deve essere il valor attuale di quanto si paga, o pagherebbe, dopo; tale valor attuale essendo calcolato in base ad un fattore di anticipazione (o “di sconto”) oggettivamente dettato dal contesto”.

 In realtà, come si dirà subito infra, l’asserita fisiologia della modalità di computo degli interessi è elemento tutt’altro che pacifico e scontato e divide giuristi e matematici. Si veda a riguardo, per uno spaccato di tali differenti ricostruzioni, F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, in Ilcaso.it, 10 marzo 2022 nonché R. MARCELLI, Finanziamento con ammortamento alla francese. La pattuizione dei rimborsi e gli interessi maturati, in www.altalex.com.  

 La pronuncia è commentata da V. FARINA, Piano di ammortamento alla francese: liceità, meritevolezza e trasparenza della relativa clausola, in Riv. Dir. Banc., 2023, fasc. I, sez. II, pag. 131 e ss. nonché F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza dell’oggetto nei contratti di finanziamento con «ammortamento alla francese». Commento a Collegio di Coordinamento ABF, 8 novembre 2022, n. 14376ibidem, 2022, fasc. IV, sez. II, pag. 319 e ss.

Nella stessa direzione, Collegio di Tornio, n. 5149/2022 e Collegio di Milano n. n. 6906/2022, richiamate, in maniera critica, da A.A. DOLMETTA, A margine dell’ammortamento «alla francese»: gravosità del meccanismocit.

 Peraltro, sembra potersi ricavare dalla pronuncia dell’Arbitro, alla luce di un quadro fattuale ben diverso in quanto privo non solo della dicitura dell’ammortamento alla francese ma anche di una tabella di ammortamento di riferimento. In tale prospettiva appaiono cogliere nel segno le critiche di FARINA, Piano di ammortamento alla francese, cit. e F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit.

 Così, Cassazione civile sez. I, 22/05/2014, n.11400, in Dir. e Giust., 2014, 23 maggio 2014, con nota di G. TARANTINO, Rata non pagata: no agli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi.

 Si veda, App. Brescia, sez. I, 17 luglio 2023, n. 1190, inedita.

 In questo senso, M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, in Dir. Banc., 10, 2023.

 Si veda ancora, M. SEMERARO, op.ult. cit. 

In tal senso, peraltro, sembra corretto richiamare Corte di Giustizia UE 9.11.2016, causa C-42/15, Home Credit Slovakia, secondo cui “l’art. 10, par. 2, lett. h) e i), Dir. 2008/48 dev’essere interpretato nel senso che il contratto di credito a tempo determinato, che prevede l’ammortamento del capitale mediante versamenti consecutivi di rate, non deve precisare, sotto forma di tabella di ammortamento, quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso di tale capitale. Siffatte disposizioni, in combinato disposto con l’art. 22, par. 1, della direttiva in parola, ostano a che uno Stato membro preveda un obbligo del genere nella sua normativa nazionale”.

 Solo per limitare le citazioni si veda App Torino, sez. I, 10 marzo 2022, n. 287 inedita.

 Su tutti, ancora, M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, cit; si veda ancora, diffusamente R. MARCELLI, Finanziamento con ammortamento alla francese. La pattuizione dei rimborsi e gli interessi maturati, in www.altalex.it.

 Si veda, in particolare, F. CACCIAFESTA, Un’ordinanza fondata su un equivoco (l’ammortamento alla francese secondo il Tribunale di Salerno), in ilcaso.it del 23 ottobre 2023; ID. L’ammortamento alla francese “in interesse composto”: un normale ammortamento progressivo, in Ilcaso.it 31 luglio 2021; ancora ID. Sulla presunta indeterminatezza di alcuni contratti di prestito (e altro: a proposito di una sentenza del Tribunale di Cremona), in Il caso.it, 6 luglio 2023; si veda ancora R. NATOLI, I mutui con ammortamento alla francese, aspettando le Sezioni unite, in Riv. Dir. Bancario, novembre 2023.

 Ad esempio, nel già citata pronuncia dell’ABF dell’8 Novembre 2022, si assume per l’appunto, che il piano di ammortamento era stato costruito con il regime finanziario dell’interesse semplice.

 Si veda, in proposito, F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, Cit., par. 6, il quale sembra postulare l’astratta configurabilità di tale modalità di ammortamento salvo rilevarne la sua concreta non percorribilità in quanto non idoneo a “stabilire…quando due somme di denaro disponibili in tempi diversi vadano considerate equivalenti…non consente di definire in modo univoco il tasso effettivo di un’operazione…che può ragionevolmente determinarsi solo se si impiega l’interesse composto”, sicché, prosegue l’A., “la sua applicabilità si ferma, in definitiva, alla gestione infraannuale di un conto corrente, e poco più”, giacché darebbe luogo ad “…un modello largamente irrealistico ed insoddisfacente per la maggior parte degli operatori”. 

 Non è affetto detto, anzitutto, che il cliente, infatti, sia “indotto a ritenere il tasso convenzionale riportato in contratto calcolato sul in regime semplice, nell’ordinario rapporto proporzionale disposto dall’art. 1284 c.c., nell’equilibrio contrattuale riferito al corrispondente utilizzo medio periodale del capitale…”, così R. MARCELLI, Finanziamenti con ammortamento alla francese. Scienza e dottrina asservite al pensiero corrente, in Ilcaso.it, 27 gennaio 2023; anche a voler dare per vera tale supposizione ed ammettere che un cliente medio nutra effettivamente tale aspettativa, deve, al contempo, notarsi che non sembra potersi ritenere che l’operatore bancario sia obbligato a rappresentare che il mercato offra anche altri tipi di ammortamento o, ancora, che altri ammortamenti avrebbero un costo diverso e magari inferiore (in tal senso F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, cit.). Si veda ancora G. MUCCIARONE, Ammortamento alla francese: meritevolezza e trasparenza, in Banca borsa e tit. cred., secondo cui “…Pertanto, definiti nel contratto tasso, durata, ammortamento a rata costante, periodicità della rata, il cliente non deve poi capire come viene calcolata la rata, per fortuna o per grazia. Ma deve sapere, mi sembra, quanto deve pagare ad ogni scadenza e fino a quando, per vedere se riesce; e quanto paga d’interessi per vedere se gli conviene in rapporto ad altre offerte — a Dio piacendo, anche all’italiana o alla thailandese — e quanto paga tempo per tempo d’interessi per vedere se gli può convenire chiudere prima il finanziamento, se ha la facoltà di estinzione anticipata, e quanto dovrebbe pagare per capitale residuo e interessi maturati in caso di decadenza dal beneficio del termine. A ciò mi sembra sufficiente il piano di ammortamento che distingua, rata per rata, capitale e interessi. Se non avesse la facoltà di estinzione anticipata, forse, neppur sarebbe necessario al cliente conoscere l’esatta composizione di ciascuna rata”.

 In questo senso, salvo quanto si dirà in seguito circa il rilievo del piano di ammortamento, si veda l’obiezione di R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, cit., secondo cui a venire in gioco sarebbe la trasparenza precontrattuale prevista dagli artt. 120 novies e 124 T.U.B. ed il principio in essi espresso per cui il finanziatore deve consentire al mutuatario di valutare le implicazioni del contratto di credito e di comprendere quale sia più adeguato alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Nondimeno, anche a voler dare per seguire tale impostazione, l’eventuale rimedio per la violazione di tale obbligo non dovrebbe essere quello previsto dall’art. 117 TUB ma, a tutto concedere, un rimedio risarcitorio.

 In tal senso Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 3 maro 2020, in Causa C125/18. Si è, in particolare, osservato che in tale prospettiva, costituiscono elementi particolarmente pertinenti ai fini della valutazione da effettuare al riguardo, da un lato, la circostanza che gli elementi principali relativi al calcolo di tale tasso siano facilmente accessibili a chiunque intenda stipulare un mutuo ipotecario, grazie alla pubblicazione del metodo di calcolo di detto tasso, nonché, dall’altro, la comunicazione di informazioni sull’andamento, nel passato, dell’indice sulla base del quale è calcolato questo stesso tasso.

 In tal senso, specie assumendo che l’ammortamento alla francese sia costruibile tanto con l’interesse semplice quanto con l’interesse composto, appare condivisibile l’affermazione di chi reputa che tale sola dicitura “si risolva in una formula ambigua”: così, F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit.

 Si veda l’art. 6 della delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, rubricato “trasparenza contrattuale”, secondo cui “…I contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l’entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui sia prevista una capitalizzazione infra-annuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”.

 Di contrario avviso F. QUARTA, Trasparenza e determinatezza, cit. il quale, in realtà, invita ad un riesame delle posizioni della giurisprudenza sul punto. Nondimeno, non appare condivisibile l’idea che il piano di ammortamento sarebbe vincolante solo laddove costituente “sviluppo univoco, su basi prettamente matematiche, delle fondamentali condizioni economiche già compiutamente indicate in contratto”. Anche ad ammettere che il piano di ammortamento, anche quello alla francese possa avere una pluralità di sviluppi, l’ammortamento indicato in contratto è certamente idoneo ad esprimere quale sia lo sviluppo del rimborso del prestito, non rinvenendosi nell’ordinamento alcun onere per gli intermediari di indicare formule differenti o, addirittura, di contrarre secondo tali formule.

 Si tratta di Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2021, n. 12889, in Guid. al dir., 2021, 26, su cui si tornerà nuovamente infra.

 Sulla necessaria indicazione del TAE M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità, cit; nonché F. QUARTA, op. ult. Cit.

 In questo senso sembra andare M. SEMERARO, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di veritàcit.

 Ma, come correttamente rileva, R. NATOLI, L’ammortamento alla francese: una questione di trasparenza, cit., gli usi non possono integrare la regolamentazione dei contratti bancari, posto quanto previsto dall’art. 117, co. 6, TUB, secondo cui “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

 In realtà paiono escludere decisamente la circostanza, F. CACCIAFESTA, Un’ordinanza fondata su un equivoco (l’ammortamento alla francese secondo il Tribunale di Salerno), in ilcaso.it del 23 ottobre 2023 nonché R. NATOLI, I mutui con ammortamento alla francese, aspettando le Sezioni unite, in Riv. Dir. Bancario, novembre 2023.

 In tal senso F. CACCIAFESTA, L’ammortamento alla francese: leggende dure a morire, in Ilcaso.it, 10 marzo 2022

 Estremamente di recente, sui presupposti del rinvio pregiudiziale e sull’estensione del principio di diritto espresso Cass. Civ. 27 ottobre 2023, n. 29961, non massimata, segnatamente par. 9, pag. 23 e ss.

 

 

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