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Pensioni, i mini-aumenti. Ritocco degli assegni per recuperare l’inflazione #finsubito prestito immediato


Firenze, 18 novembre 2024 – Da gennaio 2025 le pensioni saranno adeguate al costo della vita grazie alla consueta rivalutazione annuale, o perequazione. Questo meccanismo consente agli assegni pensionistici di tenere il passo con l’inflazione.

L’Istat comunicherà l’indice definitivo basandosi sull’inflazione del 2024, che è stata più contenuta rispetto al 2023. Per questo motivo, l’aumento sarà inferiore rispetto all’anno scorso, quando la rivalutazione era del 5,4%. «Si stima che le pensioni saranno rivalutate tra l’1,8% e il 2,3%, secondo i soliti scaglioni.

Quindi i pensionati che hanno gli assegni più bassi riceveranno il 100% di perequazione, viceversa chi ha la pensione più alta avrà di meno», spiega Sandro Renzoni, coordinatore dei patronati Inca Cgil Toscana. In dettaglio, le pensioni fino a 4 volte il minimo Inps saranno rivalutate al 100%, tra 4 e 5 volte il minimo al 90%, tra 5 e 6 volte il minimo rivalutazione al 75%, oltre 6 volte al 50%.

Sandro Renzoni

Per fare un esempio, ipotizzando che la pensione minima salga nel 2025 a 617,89 euro e che la perequazione sia del 2,3%, una pensione di 1.000 euro sarà rivalutata di 23 euro, in quanto ricade nel primo scaglione, mentre una pensione di 3.000 euro sarà rivalutata al 90% del 2,3% (pari al 2,07%), ovvero di circa 62 euro in più.

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A chi è destinata la perequazione? «A tutti i pensionati ad eccezione, e questa è una novità introdotta per il 2025, dei pensionati italiani all’estero con assegni superiori al trattamento minimo Inps», sottolinea Renzoni.

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Un ufficio dell’Inps

Altra novità riguarda il cosiddetto bonus Maroni, incentivo per chi sceglie di continuare a lavorare pur avendo maturato i requisiti per andare in pensione: è confermato per il 2025, ma con delle modifiche. L’agevolazione consente al lavoratore di ricevere direttamente in busta paga la quota dei contributi previdenziali a suo carico, pari al 9,19% dell’imponibile per i dipendenti privati e all’8,85% per quelli pubblici.

Inoltre, questi importi saranno esentati dall’Irpef. Potranno beneficiarne i lavoratori che hanno maturato i requisiti per Quota 103 contributiva (62 anni di età e 41 anni di contributi) e per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne). Ma conviene davvero? «Secondo i miei calcoli, il bonus Maroni non è molto appetibile perché al lavoratore va solo la quota di contributi a loro carico, circa il 9%, che non è un grande guadagno», fa presente Renzoni. Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, Upb, ne ha analizzato l’efficacia, concludendo che è utile solo nel breve termine.

Prendendo ad esempio un lavoratore di 62 anni con un reddito annuo di 40mila euro che sceglie di usufruire del bonus fino alla pensione di vecchiaia otterrebbe 6.876 euro netti il primo anno, 5.570 euro a 63 anni, 4.229 euro a 64 anni. Con l’avanzare dell’età, il beneficio diminuirebbe ulteriormente: 2.855 euro a 65 anni e 1.445 euro a 66 anni.



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