Al termine della lettura di questa recentissima sentenza della Corte di Cassazione è tornato alla mente dello scrivente un quesito rivoltogli da un lettore consultabile nella rubrica dei quesiti sull’applicazione del D. Lgs n. 81/2008 di questo stesso sito nell’articolo ” Sugli obblighi del committente non datore di lavoro in caso di appalti da svolgere fuori dei cantieri edili“ pubblicato sul quotidiano del del 9/11/2011. Nel quesito veniva chiesto un chiarimento su quali fossero gli obblighi di verifica e di controllo di un committente nei confronti di un appaltatore nel caso in cui il committente stesso non fosse anche datore di lavoro e nel caso in cui contestualmente i lavori appaltati non fossero ricompresi nell’elenco dei lavori edili o di ingegneria civile di cui all’allegato X dello stesso D. Lgs. non avendo in tal caso né l’obbligo di applicare le disposizioni di cui al Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., relative ai cantieri temporanei o mobili, né di ottemperare agli adempimenti di cui all’art. 26 dello stesso D. Lgs. contenente le disposizioni di sicurezza da applicare negli appalti e subappalti.
Lo scrivente, nel rispondere al quesito, ha messo in evidenza che il committente in tali casi, pur non essendo un datore di lavoro, requisito essenziale per l’applicazione di tale articolo, ha tutto l’interesse a controllare la idoneità tecnica professionale della ditta appaltatrice potendo essere chiamato a rispondere in solidarietà del suo comportamento ed ha tutto l’interesse altresì a verificare che i luoghi nei quali è chiamato ad operare la ditta appaltatrice siano privi di pericoli che possano compromettere la salute e la sicurezza del personale; ha evidenziato inoltre che se si dovesse verificare durante i lavori un evento lesivo a persone che risulti legato ad una assenza di misure di sicurezza, lo stesso può essere chiamato a rispondere sia penalmente che civilmente per colpa dovuta ad una sua negligenza, imprudenza, mancanza di custodia, carenza di vigilanza, ecc. e comunque per non avere adottate, ex art. 40 c. p., tutte le misure necessarie per evitare che l’evento stesso si verificasse.
Analogo è il quesito al quale ha dovuto rispondere la suprema Corte nel decidere su di un ricorso presentato da una committente privata nel caso di cui alla sentenza ora in commento, L’infortunio era accaduto a un lavoratore di un’impresa che, mentre stava abbattendo un albero sistemato sul terreno di proprietà del vicino dell’appaltatore, è stato investito dall’albero stesso subendo delle lesioni che lo hanno portato al decesso. Alla committente era stata addebitata in concorso con l’appaltatore, una colpa generica e un profilo di colpa specifica per avere omesso di valutare, pur avendone l’obbligo, ai sensi dell’art. 90 comma 9 lettera a) del D. Lgs. n. 81/208, l’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria e la stessa è stata condannata, con sentenza conforme nei due gradi di giudizio, per il reato di cui agli artt. 113, 40, 41 e 589 commi 1 e 2 del codice penale. L’imputata ha ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che non vi era stato un contratto fra lei e l’appaltatore avente ad oggetto il taglio di alberi ad alto fusto e che quest’ultimo si era recato nell’area di sua proprietà di sua iniziativa e a sua insaputa per approvvigionarsi di legna per uso personale. Si era quindi trattato di un atto di pura cortesia.
La suprema Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso e ha confermata la condanna della ricorrente sostenendo che in tema di prevenzione degli infortuni il committente privato non professionale che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, pur non essendo tenuto a conoscere le singole disposizioni previste dalla normativa prevenzionale, ha comunque l’onere di scegliere adeguatamente l’impresa e verificare i suoi requisiti, altrimenti assumendo su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte d’Appello ha confermata la pronuncia del Tribunale, che aveva condannato la committente di alcuni lavori per l’abbattimento di alberi di alto fusto siti nel terreno di sua proprietà per il reato di cui agli artt. 113, 40, 41, 589 commi 1 e 2 cod. pen. perché, in cooperazione colposa con il suo appaltatore aveva cagionato per colpa la morte di un lavoratore, deceduto per shock traumatico ed emorragico conseguente alla caduta di un tronco che lo aveva colpito alla schiena. Alla committente era stata addebitata una colpa generica e un profilo di colpa specifica per aver omesso di valutare, pur avendone l’obbligo, ai sensi dell’art. 90, comma 9, lett. a), del D. Lgs. n. 81/2008, l’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria.
Secondo i giudici di merito l’istruttoria dibattimentale aveva consentito di accertare che: 1) l’albero che aveva investito e provocato la morte del lavoratore si trovava nella proprietà dell’imputata; 2) era intervenuto, nell’estate precedente, un accordo tra l’imputata e il lavoratore, in base al quale quest’ultimo avrebbe dovuto provvedere al taglio degli alberi insistenti nella proprietà della committente, cui era stato intimato dal Comune di tagliare alberi e rami pericolanti; 3) era dunque intercorso tra i due un contratto di appalto avente ad oggetto, appunto, il taglio delle piante ad alto fusto. Così ricostruiti i fatti, la Corte territoriale, nel respingere i motivi di gravame, concordava con la tesi del primo giudice, che aveva attribuito all’imputata la qualità di committente, con la conseguente affermazione di responsabilità in ordine all’infortunio occorso alla vittima, stante l’omesso controllo delle qualità tecniche dell’impresa prescelta per la regolare esecuzione del lavoro commissionato.
L’imputata ha proposto ricorso per Cassazione motivandolo sul fatto che la Corte di Appello aveva del tutto omesso di dare risposta alle specifiche deduzioni avanzate con i motivi di appello, allegati al ricorso. La sentenza impugnata, ha sostenuto la difesa della ricorrente, aveva fatto erronea applicazione della legge penale, ritenendo sussistente il contratto di appalto, e conseguentemente attribuendo all’imputata la responsabilità dell’evento. In particolare, con l’atto di appello la difesa aveva puntualmente contestato che tra l’imputata e la vittima fosse stato stipulato un contratto di appalto, non essendo stato in alcun modo dimostrato che la stessa l’avesse incaricata per l’abbattimento di alberi insistenti sulla sua proprietà; si era infatti trattato di un atto di mera cortesia, ossia della autorizzazione all’infortunato, vicino di casa, di accedere alla proprietà per approvvigionarsi di legname.
L’istruttoria dibattimentale aveva invece comprovato che l’asserito rapporto contrattuale era del tutto avulso dagli accadimenti. I passaggi fondamentali delle sentenze di condanna sono stati basati sulla deposizione della madre dell’infortunato, che non conteneva elementi univoci; sulla circostanza che il Comune avesse ordinato l’abbattimento degli alberi nonostante, in modo contraddittorio, i giudici di merito avessero riconosciuto che l’abbattimento non era avvenuto in esecuzione delle ordinanze comunali; sul possesso, da parte dell’infortunato, delle chiavi di accesso al fondo; sul fatto che, di sua autonoma iniziativa, lo stesso avesse chiesto al Sindaco l’autorizzazione a chiudere la strada di accesso per eseguire il taglio degli alberi.
La sentenza impugnata inoltre, secondo la difesa, non aveva motivato in ordine alla circostanza che, al momento dei fatti, la ricorrente era assente, poiché residente altrove, ed era inconsapevole della autonoma iniziativa del vicino di casa; che era emerso come l’infortunato non avesse mai compiuto lavori presso terzi; che egli era stato semplicemente autorizzato a titolo di mera cortesia ad approvvigionarsi di legna per uso personale; che non era stato pattuito alcun corrispettivo né era stata data indicazione circa il quantitativo e l’ubicazione degli alberi da abbattere; che per l’esecuzione della ordinanza comunale di abbattimento degli alberi, già qualche anno prima, era stata incaricata una ditta specializzata. Non a caso gli ispettori dello Spresal avevano escluso che erano ricorsi i presupposti di un contratto di appalto o prestazione d’opera: si trattava infatti di una mera autorizzazione al proprio vicino di casa di rifornirsi di legname, senza alcun corrispettivo. La Corte territoriale, quindi, non aveva preso alcuna posizione in ordine a tali punti, emersi dall’istruttoria ed evidenziati nei motivi di gravame, rendendo una pronuncia assertiva e manifestamente illogica.
Sia il Procuratore generale che le parti civili costituite hanno insistito per il rigetto del ricorso.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato rietenuto manifestamente infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha sostenuto che i temi probatori sono risultati adeguatamente esplorati e illustrati sia dalla sentenza di primo grado, sia da quella impugnata, specie considerando che le due pronunzie, corrispondenti alla nozione ed aventi i requisiti della c.d. “doppia conforme”, devono essere lette ed esaminate come un unicum motivazionale. La Corte ha inoltre rammentato che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Era stato accertato che gli alberi secchi erano stati abbattuti a fronte di un corrispettivo in natura pattuito né poteva avere valore escludente detta circostanza il fatto che, in precedenza, il lavoro di taglio dei tronchi d’albero fosse stato eseguito da una impresa avendo in merito i giudici riportate le dichiarazioni della stessa imputata secondo cui, per abbattere gli alberi come ordinatole dal Comune, era stato affidato il compito prima a una impresa e poi al vicino. Immuni da vizi quindi la Corte suprema ha ritenuto le conclusioni dei giudici di merito, secondo cui l’accordo intercorso tra le parti ha configurato un contratto di prestazione d’opera, dietro corrispettivo in natura.
Ciò premesso, la stessa Corte ha ribadito di avere più volte affermato che il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché all’agevole ed immediata percepibilità da parte del committente delle situazioni di pericolo, citando in merito quali precedenti alcune espressioni della Corte di Cassazione fra cui la sentenza della Sezione IV n. 44131 del 2 novembre 2015, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano del 22.2.2016 nell’articolo ” La responsabilità del committente e l’eziologia dell’evento“.
In particolare, è stato ripetutamente affermato, ha così proseguito la suprema Corte, che sussiste un preciso obbligo di diligenza, previsto anche dalla normativa antinfortunistica, in ordine all’esercizio dei criteri di scelta della impresa esecutrice, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo, anche in considerazione, appunto, della natura dei lavori affidati all’impresa prescelta. Il committente è infatti tenuto alla verifica della concreta capacità della impresa prescelta ad eseguire la tipologia delle lavorazioni appaltate, specie nella ipotesi di attività intrinsecamente pericolose.
La stessa ha altresì sottolineato che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente privato non professionale che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, pur non essendo tenuto a conoscere, alla pari di quello professionale, le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale, ha comunque l’onere di scegliere adeguatamente l’impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A., che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, altrimenti assumendo su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza”.
Le pronunce di merito, quindi, ha così concluso la Corte di Cassazione, hanno fatto quindi puntuale e corretta applicazione di detti principi, sottolineando come la ricorrente avesse affidato il delicato compito di abbattimento di alberi ad alto fusto ad un privato totalmente sprovvisto di una idonea organizzazione e non in grado di operare con gli indispensabili presidi di sicurezza, come dimostrato dalla dinamica del sinistro, la cui ricostruzione costituisce cosa giudicata. Il rischio, dunque, come correttamente evidenziato nella impugnata sentenza, così come in quella del primo giudice, era non solo prevedibile in astratto ma anche in concreto.
Stante quindi la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannata la ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al versamento di una ulteriore somma in favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, nonché alla refusione delle spese in favore della parte civile.
Gerardo Porreca
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