“Rete 360”. E’ questo il nome del progetto sul quale stanno lavorando diverse associazioni del territorio, con l’obiettivo di “affrontare i disastri naturali a 360 gradi”, ma al tempo stesso “proteggere ed aiutare adeguatamente le popolazioni colpite a rialzarsi” e “determinare le condizioni perché la ricostruzione sia messa concretamente in atto a partire dal finanziamento dei Piani Speciali”. “Quello a cui stiamo assistendo in Emilia Romagna non può essere derubricato a semplice faccenda locale – premettono le associazioni che stanno mettendo le basi al progetto -. Sono già tante le zone d’Italia ed Europa che hanno sofferto gli stessi drammi: l’Italia è un hotspot climatico, nessun luogo del Paese può dirsi al riparo dalle devastazioni che ormai si presentano ordinariamente quali moderne “normalità””.
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“Non crediamo sia più sostenibile l’arroganza di un modello di sviluppo irresponsabile che pretende di imporsi ad ogni costo su persone ed ecosistemi, indifferente a quelli che sono gli equilibri, i tempi e gli spazi della Natura stessa di un territorio con le sue comunità – viene aggiunto -. Pianure degradate a piazzali di servizio; città accatastate lungo direttrici di traffico senza soluzione di continuità; campagne e terreni dati in pasto ad ogni appetito speculativo: è questo lo specchio di un Paese asfissiato e sfigurato a misura di container, ignorando qualsiasi considerazione non connessa agli standard di produzione, movimentazione e consumo di merci, in un modello noncurante delle condizioni sociali di chi quotidianamente vi sopravvive. Quello stesso modello che ha costretto un intero pianeta a una crisi climatica con cui ora rifiuta di fare i conti, riducendosi persino a negarla pur di proseguire nei propri interessi”.
“Da queste convinzioni e premesse, nasce la volontà di dare vita alla Rete 360: per la Romagna alluvionata e la resistenza climatica; 360 come i mm di pioggia caduti nella terza alluvione, quella del 17-18 settembre 2024; 360 perché il problema dei disastri naturali va affrontato a 360 gradi nella sua complessità”, viene sottolineato. Il tavolo che si è creato per il percorso di costruzione della Rete 360 unisce associazioni della società civile, comitati, realtà collettive
e persone singole che si mobilitano per “chiedere con forza di proteggere ed aiutare adeguatamente le popolazioni colpite a rialzarsi, sostenendole da subito nel recupero di una propria condizione dignitosa. Non è tollerabile che si risponda alle vittime di queste catastrofi – come accaduto in Romagna – con passerelle elettorali e promesse disattese, per poi scaricare loro addosso tutto il peso del disastro, consegnandole magari tra le braccia di banche ed assicurazioni”.
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Il secondo obiettivo è quello di “determinare le condizioni perché la ricostruzione sia messa concretamente in atto a partire dal finanziamento dei Piani Speciali, da attuarsi nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale e sociale, con procedure di appalto che rispettino la legalità delle imprese che vi partecipano, la qualità del lavoro e la sua sicurezza”. E poi “restituire ai territori di pianura una propria ecologia, ripristinando il rispetto della sua dimensione naturale e provvedendo a misure di difesa e sicurezza scientificamente sensate, sulle quali poter realizzare una ripartenza tanto credibile quanto celere. Crediamo che in questo indispensabile processo debbano essere attivamente coinvolte le stesse comunità locali, per una ricostruzione condivisa, equa e partecipata”.
Tra le priorità quella di “riconoscere la centralità delle aree appenniniche come nodo cruciale per la sicurezza dell’intero territorio. Per troppo tempo le zone interne montane sono state retrocesse a fascia marginale, poiché irriducibili agli standard pretesi dalla modernità capitalistica, abbandonate alle proprie fragilità da attenzioni ed investimenti pubblici. Occorre un piano di rilancio socioeconomico per l’Appennino, complementare ad una strategia di prevenzione idrogeologica “a monte” che ne rafforzi gli insediamenti, a partire dall’agricoltura – quale presidio capillare di custodia e manutenzione territoriale – fino agli enti locali, affinché siano dotati delle risorse necessarie a rivestire un ruolo primario nell’intervento e nel monitoraggio di un territorio vasto e complesso”.
Infine “proporre un nuovo modello davanti alla crisi climatica, sostenendo progetti di riconversione partecipata realmente ecologici e circolari. Risulta ormai urgente avviare un processo di decarbonizzazione di ogni settore produttivo e sviluppare una legge nazionale sulle emergenze e sui disastri, che saranno sempre più frequenti. Per farlo occorre smuovere la volontà dei decisori ad ogni livello di responsabilità, affinché non restino ostaggio di interessi speculativi, calcoli elettorali o visioni distorte circa un cambiamento non più rinviabile. Non si può pensare di isolare un tema come la resistenza al cambiamento climatico nel recinto di una categoria o di qualche località: se la crisi è generale, lo sia anche la lotta”.
A mettere le basi su Rete 360 ci sono Appello per l’Appennino Romagnolo, Cgil Forlì-Cesena, Cgil Ravenna, Collettivo Osservo, Forlì Città Aperta, Fridays For Future Forlì, Gruppo 225 Amnesty International Forlì, Legambiente Forlì-Cesena, Collettivo Monnalisa, NoMegastore Forlì, Parents For Future Forlì, Tavolo Associazioni Ambientaliste Forlì, Unione degli Universitari Forlì, Un Secco No e Wwf Forlì-Cesena.
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