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“La morte di Elisabetta non dev’essere una morte vana e solo un tragico destino” #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Oristano

Appello della sorella della giovane di Oristano assassinata a Tempio

“La morte di Elisabetta non deve essere una morte vana, non può essere metabolizzata dalla collettività come una delle tante, come un dato statistico, adducendo addirittura la colpa ad un tragico destino”.  A dirlo è Eliana, 39 anni, insieme a Marianna sorella di Elisabetta Naddeo, la giovane di Oristano uccisa a 22 anni, il 26 ottobre del 2002 a Tempio. Ed è la prima volta che interviene pubblicamente la famiglia Naddeo, molto conosciuta e benvoluta anche ad Oristano, dove il padre di Elisabetta ha lavorato come funzionario dell’Inps e dove sono nate e cresciute le sue tre figlie, prima del trasferimento della famiglia a Tempio. 

 “Se è chiaro che qualcosa a livello sociale sta venendo a mancare, a causa dello sdoganamento generale di qualsiasi tipo di comportamento e linguaggio, o peggio dell’indifferenza fatta passare per fatalità”, prosegue Eliana Naddeo, “è anche vero che la soluzione è insita nella stessa società. E’ necessario innescare una controtendenza, non soltanto colorando di rosso panchine o scarpe femminili, o “facendo rumore” in sostituzione al più canonico minuto di silenzio. Ma prendendo coscienza innanzitutto, a partire dai ragazzi, operando attivamente e concretamente”. 

Il monito di Eliana Naddeo arriva nei giorni in cui l’assassino di Elisabetta, Giuseppe Zanichelli, reo confesso, lascia il carcere di Alghero e riacquista la libertà dopo 22 anni di reclusione, con uno sconto sulla pena di trent’anni che gli era stata comminata.

Quel drammatico giorno

Elisabetta quel 26 ottobre del 2002 non aveva fatto rientro a casa dopo essere uscita per andare ad acquistare un CD con la sorella Eliana da cui però, arrivata al negozio,  si era separata. Sulla strada del rientro era stata avvicinata da Giuseppe Zanichelli che l’aveva attirata, forse costretta, a seguirlo fino a un garage vicino alla sua abitazione, dove la accoltellò e  tentò di nasconderne il cadavere sotto un cumulo di terra, in un cortile attiguo. Il corpo di Elisabetta fu trovato solo a tarda notte dopo l’allarme della famiglia e le ricerche disperate scattate in tutta la città. Subito fermato, Giuseppe Zaniuchelli  confessò di avere aggredito e ucciso la giovane perchè una settimana prima gli aveva negato il saluto.  Una vicenda che aveva sconvolto e segnato non solo la famiglia della ragazza ma tutta la città di Tempio e la Sardegna.

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Un monito da quella tragedia

“Elisabetta ha pagato in nome di molte. Ma se si riproponessero le condizioni che hanno portato ad una morte così tanto efferata, avremmo oggi il coraggio che è mancato a molti allora?”,  afferma ancora Eliana Naddeo. “Dovremmo inoltre interrogarci se la soppressione di una vita possa valere 22 anni di carcere, per via delle attuali norme e degli sconti che esse riconoscono al condannato, nonostante la pena comminata in nome del popolo italiano sia stata di 30 anni. Come è giusto invocare la certezza della pena, è oltremodo necessario pretendere la sua effettività, che non esula né si pone in contrasto con la funzione rieducativa della stessa, come auspicato dalla nostra costituzione.”

“Le storie di Elisabetta, di Giulia Cecchettin, e di molte altre vittime della spasmodica tendenza ad esercitare un potere, un controllo, una volontà su un’altra persona, gridano giustizia su diversi fronti”, conclude Eliana Naddeo. “Devono essere un monito, a tutti i livelli, anche per coloro chiamati a tutelare in primis la nostra sicurezza. Epiloghi del genere non dovrebbero essere più scritti”.

Intervento di Maria Grazia Caligaris (Sdr)

Sulla vicenda interviene anche Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti e riforme, da sempre impegnata nell’assistenza alle persone detenute.

“Ventidue anni di carcere non possono cancellare il dolore di una famiglia”, afferma Caligaris, “ma la pena è stata decisa da un giudice e deve essere rispettata. Voglio sperare però che quest’uomo sia stato davvero recuperato alla vita sociale. Il problema non è il tempo (molto o poco) ma la qualità e i risultati degli interventi di recupero psico-sociale del detenuto. La responsabilità del sistema carcere è molto alta”.

Giovedì, 14 novembre 2024

 

©Riproduzione riservata





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