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Studenti fuori sede tra tentativi di integrazione e leggi obsolete – Format Rieti #finsubito prestito immediato


 

di Massimo Palozzi – Con l’inizio dell’anno accademico cominciano ad articolarsi i servizi dedicati agli studenti del Polo universitario di Rieti. In settimana la Asl ha annunciato l’apertura di due presidi sanitari: un ambulatorio per l’assistenza medica di base e un consultorio dedicato alla cura e prevenzione delle patologie ginecologiche, alla contraccezione e alle malattie sessualmente trasmissibili.

Il primo funzionerà nell’area codici bianchi dell’ospedale de Lellis dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 16, e il sabato e la domenica dalle 10 alle 20. Il secondo sarà attivato nel blocco 5 del Consultorio in via del Terminillo ogni giovedì dalle 14.30 alle 17.30. Il servizio è totalmente gratuito. Gli studenti potranno accedere alle due strutture senza prenotazione, presentando la tessera sanitaria, un documento di identità e l’iscrizione a un corso universitario.

L’iniziativa è stata accolta con favore dal Comitato inter-ateneo e in effetti rappresenta un passaggio importante nell’accoglienza ai ragazzi che hanno scelto Rieti per frequentare l’università, considerando che l’80% degli iscritti è costituito da fuori sede.

Manco a farla apposta, mercoledì si è svolto al Senato un incontro promosso da The Good Lobby, Will Media e la rete Voto Sano da Lontano per affrontare il fenomeno dell’astensionismo elettorale involontario e sollecitare i senatori ad approvare la legge delega sul voto dei fuori sede, ferma in commissione Affari costituzionali da luglio 2023.

Il cuore dell’iniziativa è la possibilità riconosciuta a studenti e lavoratori che si trovano lontano da casa di partecipare alle varie consultazioni elettorali, senza dover tornare nel proprio comune per poter votare.

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Una prima sperimentazione la si è tentata alle europee dello scorso giugno. Gli studenti domiciliati per un periodo di almeno tre mesi in un comune fuori dalla propria regione di residenza potevano votare nel comune dove vivevano temporaneamente se rientrante nella stessa circoscrizione elettorale, ovvero in seggi speciali istituti nel capoluogo di regione del comune di temporanea dimora, se questo apparteneva a una circoscrizione elettorale diversa da quella di residenza. Per l’ammissione al voto gli studenti interessati dovevano presentare un’apposita istanza al comune di origine.

Come detto, la nuova tipologia di voto è stata introdotta in via sperimentale e valida per quell’unica consultazione, peraltro riservata agli studenti e non anche ai lavoratori.

I risultati sono controversi. Ad avvalersi della possibilità di votare sono stati in 24mila, l’8% degli aventi diritto. Una percentuale all’apparenza bassa che tuttavia viene letta positivamente dalle associazioni mobilitate sul tema, sia per la novità in sé, difficile da gestire in prima applicazione, sia per le complicazioni burocratiche che l’hanno caratterizzata.

La questione è seria. Volendo favorire la mobilità accademica non si può non considerare che l’esercizio del diritto di voto deve essere garantito in maniera sostanziale e non solo teorica, tanto più di fronte al continuo e preoccupante aumento dell’astensionismo.

Come altre esperienze insegnano, dal principio all’applicazione pratica il passo è però niente affatto breve. Le modalità concrete per consentire a tutti di esprimersi nelle urne passano infatti attraverso processi tecnici di pari difficoltà rispetto a quelli decisionali. Pur con ciò, l’argomento non può essere eluso, perché ne va della democrazia e, come riflesso, degli sforzi organizzativi che realtà piccole come Rieti stanno mettendo in campo per attrarre un numero sempre maggiore di giovani intenzionati a formarsi presso il locale polo universitario. Peraltro, proprio venerdì il sindaco Daniele Sinibaldi ha annunciato l’approvazione da parte del consiglio di amministrazione della Tuscia della futura attivazione del corso di laurea in Agraria presso il Centro sperimentale di granicoltura Nazareno Strampelli di Campomoro, oggetto di una complessa opera di recupero bandita dall’Ufficio speciale per la ricostruzione della Regione Lazio grazie a un duplice finanziamento del Commissario al sisma (5 milioni di euro) e del ministero dell’Agricoltura (un milione e mezzo).

Accoglienza e inclusività non possono del resto rimanere concetti vuoti, soprattutto quando certe resistenze politico-burocratiche finiscono per generare contraddizioni ai limiti del paradosso.

Martedì nel cimitero di Rieti è stato celebrato il 23° anniversario dell’apertura delle aree destinate a defunti di diverse fedi religiose, che a suo tempo fece diventare quello del capoluogo uno dei primissimi cimiteri multiconfessionali d’Italia. La ricorrenza è stata l’occasione per un incontro di dialogo tra le grandi religioni monoteiste sul tema particolarmente attuale “La pace: quale speranza possibile?”, con la partecipazione del vescovo Vito Piccinonna, della rappresentante della comunità ebraica Franca Coen e dell’imam Mohamed Ahardane per la parte islamica.

L’apertura nel 2001 dell’ala multiconfessionale del cimitero reatino rappresentò un bell’esempio di serena convivenza tra culture e credi differenti, che mantiene ancora intatto il suo valore anche simbolico. Grazie a quel passo, oggi uno studente universitario musulmano italiano proveniente da un’altra regione e iscritto al polo reatino, che dovesse morire da queste parti, potrebbe trovare sepoltura nel cimitero di via Angelo Maria Ricci. Ma in vita, quello stesso studente (come tutti gli altri) non avrebbe l’opportunità di votare per eleggere un sindaco o un parlamentare nel luogo che lo ospita. Un’asimmetria davvero surreale.

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