Quanti volti ha il dolore? E quanto ci può ingannare, soprattutto se il malato non è in grado di trasmettere le proprie emozioni e guidare la diagnosi con la parola? E soprattutto, cosa fare quando i dolori sono “sbagliati” almeno in senso topografico, con influenza su aree lontane dall’organo di partenza?
Provate a rifletterci. E scoprirete che in certi casi è davvero difficile dare una risposta. A meno che, e stiamo parlando di futuro, non entrino in gioco i complessi calcoli del Machine Learning. Grazie all’AI, infatti, forse si potranno capire le origini di algie anche in chi non può parlare. Come ad esempio un animale. E, magari, da quegli spunti di natura veterinaria, si potranno trovare algoritmi capaci di decodificare i malanni umani.
Se vi sembra che si stia parlando di fantascienza, sappiate che anche la “smofriza” (se vogliamo umanizzarla, chiamiamola così) di una capra potrebbe diventare un indice di semeiotica del dolore, grazie al supporto dell’Intelligenza artificiale. A farlo pensare, aprendo finestre future di applicazione per pazienti che in qualche modo non sono in grado di spiegare a voce quanto sta avvenendo al loro corpo, è una ricerca davvero originale, apparsa su Scientific Reports.
Lo studio, coordinato da Ludovica Chiavaccini dell’Università della Florida, si è concentrato proprio sulla calcolosi vescicale dell’animale, particolarmente esposto a disturbi di questo tipo. Questi quadrupedi, in qualche modo sono diventati uno strumento di studio.
Fotografando i loro musetti simpatici, in presenza di una sofferenza legata a questo ed altri problemi in grado di indurre sofferenza, gli esperti sono riusciti in qualche modo a definire un percorso di AI in un sistema che si è rivelato in grado non solo di analizzare la “facies” dell’animale, ma anche di rivelare intensità del dolore e potenzialmente aiutare nel percorso di diagnosi.
Le scansioni delle espressioni caprine, insomma, hanno fatto da base per un modello basato sull’AI che è stato testato, riporta il lavoro, su una quarantina di animali. E grazie al Machine Learning si è riusciti a comprendere come e quanto la sofferenza delle capre trasparisse dai volti, con un’accuratezza compresa tra il 62% e l’80% nell’identificare i volti sofferenti, a seconda di come gli scienziati hanno testato il modello.
Ovviamente siamo solo all’inizio. E se è vero che il controllo del dolore acuto e cronico negli allevamenti si traduce in una miglior crescita ponderale e una maggior produttività, si deve fare strada la competenza nel comprendere le condizioni di malessere.
Il tutto per arrivare ad una sorta di “scala di valutazione” intelligente nel dolore dei quattro zampe e non solo. Oggi infatti la percezione di quanto sta avvenendo nell’organismo degli animali nasce soprattutto dalla competenza e dall’esperienza del medico veterinario. Ma in futuro, grazie a questi sistemi, potrebbero nascere veri e propri algoritmi valutativi, capaci di superare le scale del dolore standardizzate per diverse specie per ridurre la soggettività.
Purtroppo però l’efficienza di queste metodologie di misurazione non è sempre uguale. Per le capre, ad esempio, esiste un punteggio del dolore. “Ma è convalidato solo per i maschi sottoposti a castrazione, dimostrando la necessità di un sistema più generalizzabile” rivela la stessa Chiavaccini in una nota dell’ateneo, spiegando anche come ci sia bisogno di studi ulteriori. Anche per trasferire queste modalità d’approccio dell’AI nell’essere umano.
Perché grazie alle ricerche si potrebbe arrivare a trasferire il Machine Learning anche al dolore umano. Consentendo di ottenere dati di valutazione oggettivi anche in chi non può spiegare cosa sta provando, come ad esempio i bambini molto piccoli o chi ha subito un danno nell’area del linguaggio.
Insomma: dall’animale all’uomo, in un percorso che non è quello dei classici studi clinici, l’immagine del volto potrebbe diventare la chiave per comprendere l’intensità di algie e presupporre la loro origine. Grazie all’AI.
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