L’affondo è arrivato alla fine del Consiglio europeo informale dei 27, che ha fatto seguito ieri a Budapest al quinto vertice della Comunità politica europea che raggruppa 47 paesi: l’ospite Viktor Orbán, presidente di turno del Consiglio Ue, che pretende di incarnare il trait-d’union tra Europa e Trump, ha invitato i paesi membri ad «adattarsi» alla nuova situazione sull’Ucraina. «Trump detesta la guerra – ha detto – e per noi europei la situazione evolve, adattiamoci rapidamente e passiamo dalla guerra alla pace». Per Orbán, «la situazione sul campo è evidente, è una disfatta militare» di Kyiv.
La Ue non può più nascondere le divisioni. In una dichiarazione comune, Emmanuel Macron e il polacco Donald Tusk hanno ribadito la «determinazione a portare un sostegno indefettibile all’Ucraina e al suo popolo». A questa posizione si è unito lo svedese Ulf Kristersson. Ma Orbán insiste: «Il numero di coloro che adesso stanno zitti mentre prima parlavano molto sta aumentando, il numero di chi è prudente sta aumentando, così come chi si domanda se dobbiamo adattarci».
Orbán cerca di forzare la mano alla Ue sull’aiuto all’Ucraina, perché i 27 sono preoccupati di un disimpegno Usa. Ma i paesi membri restano paralizzati di fronte all’incertezza delle posizioni di Trump e, per il momento, scelgono la prudenza.
Il Consiglio europeo informale si è concluso ieri con una “Dichiarazione di Budapest” edulcorata rispetto alle aspettative della bozza del presidente Charles Michel, al suo ultimo appuntamento europeo. La presidenza ungherese ha lavorato per annacquare il testo di reazione al Patto sulla competitività europea, presentato due mesi fa da Mario Draghi, che ancora ieri ha sottolineato che «le decisioni non possono essere rimandate» visti i cambiamenti nella situazione internazionale dopo il ritorno di Trump. Ma la Ue, impegnata nelle audizioni dei futuri commissari, di fronte alla “lenta agonia” che minaccia si divide sui finanziamenti.
Nelle conclusioni del vertice non ci sono decisioni sul mercato dei capitali e sull’Unione bancaria, che dovrebbe entrare in vigore nel 2026, mentre oggi il risparmio europeo finanzia l’economia Usa. Gli europei possono tranquillamente continuare a utilizzare l’americana WhatsApp perché non sono state prese decisioni sullo spezzettamento delle telecom europee – solo un’incitazione a “passi decisivi” – come del resto nessun approfondimento sulla convergenza del fisco a 27. Nessuna decisione neppure sulle risorse proprie, salvo un auspicio che si trovino “nuovi strumenti” per far aumentare il budget Ue al di fuori del finanziamento degli stati. Peggio ancora: la competitività europea è perdente rispetto agli Usa, dice Draghi approvato da Ursula von der Leyen, ma i 27 per il momento non prendono nessun impegno ad aumentare gli investimenti nella ricerca, l’obiettivo del 4% del Pil è rivisto al ribasso, al 3% entro il 2030 (ora è al 2,3%).
Sul tappeto resta solo il pungolo a spendere di più per la difesa: Trump ha già minacciato un disimpegno Nato dal vecchio continente, incitato ad aumentare i contributi almeno al 2% del Pil, mentre il nuovo segretario dell’Alleanza, l’olandese Mark Rutte, già spinge verso il 4%. La Polonia ha già raggiunto questo livello – l’esercito polacco è il grosso d’Europa – ma l’aumento della spesa militare si traduce in acquisti di armamenti Usa. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha un’altra idea per venire incontro all’esigenza di Trump di riequilibrare la bilancia commerciale Usa-Ue (la “mini Cina” ha 160 miliardi di attivo, la metà grazie alla Germania): «Riceviamo ancora molto Gnl (gas liquido) dalla Russia, perché non sostituirlo con Gnl Usa?» (che già inonda la Ue).
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