La Procura della Repubblica di Catanzaro ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini per 27 persone coinvolte nell’operazione Scolacium che ha decapitato i clan che avevano imposto il «controllo assoluto» sul territorio che va da Squillace fino a Catanzaro. Due in particolare le cosche colpite dall’operazione della Dda: i Catarisano che controllavano l’area di Roccelletta di Borgia fino all’area industriale di Germeneto, e i Bruno che da Vallefiorita estendevano i propri tentacoli anche su Amaroni e Squillace. Nulla nei rispettivi territori di competenza poteva avvenire senza il placet del clan. Tutte le attività commerciali e imprenditoriali non sfuggivano alla presa asfissiante della criminalità, dal settore boschivo al commercio dalle attività di ristorazione alle strutture turistiche, il sistema di estorsioni non risparmiava nessuno. Un imprenditore delle energie alternative per ottenere la cosidetta “tranquillità ambientale” e poter realizzare un parco eolico avrebbe dovuto consegnare materiale edile per 250mila euro utilizzato poi per realizzare la casa della moglie di un affiliato. Ma se alcuni imprenditori erano costretti al silenzio con la paura altri avrebbero fatto affari insieme ai clan. È il caso di Paolo Bova accusato di concorso esterno. Per la Dda l’imprenditore avrebbe avuto con la cosca Bruno uno «uno stabile rapporto “sinallagmatico”, caratterizzato dalla perdurante e reciproca disponibilità a prestarsi ausilio». Più in particolare avrebbe utilizzato il legame con la cosca sia per preservare la sua impresa dalle azioni del clan sia per eliminare la concorrenza di altre imprese operanti nel territorio catanzarese. In cambio avrebbe messo anche a disposizione il proprio capannone per «agevolare incontri tra esponenti del sodalizio ed imprenditori estorti; ricevere e portare ambasciate; riscuotere somme di denaro provento estorsivo da consegnare ai vertici del sodalizio mafioso, interfacciandosi personalmente con gli imprenditori taglieggiati per riscuotere le tangenti richieste dal gruppo criminale».
I NOMI
Dalle carte dell’inchiesta Scolacium emergono, a distanza di 8 anni, movente, retroscena e autori dei due incendi di auto subiti dall’ex sindaco di Amaroni, Arturo Bova all’epoca consigliere regionale (nel 2016), presidente della commissione regionale anti ‘ndrangheta e noto avvocato penalista. Tra i reati contestati anche il raid compiuto nella casa dei genitori di un collaboratore di giustizia. Sono 17 le parti offese individuate dalla Distrettuale antimafia che potranno costituirsi nel procedimento penale.
Le persone indagate sono: Bruno Abruzzo 35 anni di Soverato; Pietro Abruzzo 71 anni di Borgia; Stefano Bevilacqua 36 anni di Catanzaro; Paolo Bova 54 anni di Amaroni; Francesco Bruno 53 anni di Vallefiorita; Matteo Catroppa 23 anni di Catanzaro; Massimo Citraro 57 anni di Borgia; Rocco Ceravolo 45 anni di Bologna; Giuseppe Cristofaro 45 anni di Catanzaro; Davide Cristofaro 31 anni di Girifalco; Salvatore Danieli 40 anni di Catanzaro; Adrian Domianov Dimitrov 39 anni bulgaro; Gennaro Felicetta 34 anni di Squillace; Francesco Gualtieri 44 anni di Borgia; Sandro Ielapi 49 anni di Cortale; Simone Macario 40 anni di Vallefiorita; Franco Macario 66 anni di Catanzaro; Santo Mirarchi 40 anni di Catanzaro; Raffaele Pace 49 anni di Catanzaro; Antonio Paradiso 62 anni di Catanzaro; Vincenzo Tolone 45 anni di Girifalco; Danilo Vitellio 44 anni di Vallefiorita; Luciano Babbino 44 anni di Vallefiorita; Ilario Sestito 27 anni di Amaroni; Sandra Stitzia 48 anni residente a Vallefiorita; Domenico Falcone 49 anni di Borgia; Davide Benedetto Zaffina 32 anni di Lamezia. Dopo la notifica della chiusura indagini gli indagati avranno 20 giorni di tempo per chiedere di poter essere sentiti dagli inquirenti o depositare memoria difensiva per chiarire i gravi fatti che gli vengono contestati. Soltanto scaduto questo termine la Procura potrà procedere con la richiesta di rinvio a giudizio o al contrario chiedere l’archiviazione.
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