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Pensioni, il Veneto è in bilico: «Ci salvano gli immigrati ma il lavoro va pagato di più» #finsubito prestito immediato


di
Martina Zambon

Il rendiconto sociale dell’Inps sul 2023 ha analizzato l’istantanea della regione: imprese incerte, crescono cassa integrazione e precari

Pensioni, lavoro, inverno demografico e migranti. In un domino perfetto, ogni tessera, se non allineata, rischia di far cadere rovinosamente tutte le altre. Giovedì il rendiconto sociale dell’Inps sul 2023 ha analizzato l’istantanea di una regione che, sotto la patina dell’occupazione in ripresa, nasconde crepe potenzialmente molto pericolose per il futuro.

Equilibrio precario

Il Veneto sul fronte delle pensioni oggi è sostanzialmente in equilibrio ma si tratta di un equilibrio precario: da un lato le culle vuote, dall’altro il contributo prezioso degli immigrati che lavorano sostentando le pensioni di una popolazione con un’aspettativa di vita sempre più lunga. Il saldo finale, però, non mente. E, seppur di poco, è già lievemente negativo. Nel 2023, infatti, sono stati quasi diecimila i veneti che hanno fatto la valigia per andare a lavorare altrove, spesso all’estero. Nello stesso anno il saldo delle nascite segnava -22.800 bimbi. In compenso all’Inps si sono registrati 28.288 immigrati. Il conto finale, fra ingressi e uscite, è di -4 mila unità. Un nulla rispetto a una popolazione di 4 milioni e 800 mila persone ma, spiega il direttore regionale dell’Inps, Filippo Pagano, «non possiamo immaginare ingressi migratori esponenziali e se anche il saldo migratorio continuasse ad essere stabile, dobbiamo chiederci se parliamo di lavoro povero o lavoro ricco. Se è un saldo di “lavoro povero”, significa che siamo destinati ad avere “pensioni povere”, comunque».




















































Le assunzioni a tempo determinato

Il tema del valore del lavoro in Veneto è cruciale. Il dato iniziale sull’occupazione è lusinghiero: 9 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. Eppure è un dato altamente fuorviante. Perché è vero che nel 2023 si contano più di 700 mila nuove assunzioni, ma di queste soltanto 164 mila sono a tempo indeterminato. La maggior parte sono contratti a scadenza per non parlare della galassia di stagionali, contratti di somministrazione e intermittenti. Centinaia di migliaia di posti di lavoro che contribuiscono davvero poco al sistema pensionistico. Il totale dei dipendenti subordinati, che quindi versa regolarmente i contributi, è di circa 1,4 milioni di veneti, uno su 4 (calcolando anche anziani e bambini).
Questo per tacere del lavoro nero o irregolare che continua a essere diffuso. Anche qui aiutano i dati delle ispezioni sul campo e dei controlli documentali da parte dell’Inps. Controlli aumentati, per inciso, nonostante il numero degli ispettori sia sceso da 38 a 34. Nel corso del 2023 si è accertata un’evasione contributiva di quasi 33 milioni di euro. Le aziende irregolari sul fronte dei contributi sono state 346. I controlli sul campo hanno portato a scoprire 33 lavoratori in nero e quasi diecimila irregolari, il 50% in più del 2022. Campi minati per contribuzioni discontinue sono le coop e la logistica, ad esempio, settori in cui il margine è risicato e quindi si «risparmia» sui contributi.

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L’incertezza e i lavori precari

Quindi, il combinato disposto fra lavori precari o lavoro irregolare e mancanza di forza lavoro è una spada di Damocle sulle pensioni di domani e dopodomani. Si dovrebbero pagare salari più sostanziosi per trattenere chi, spesso con un’alta formazione, sceglie di andare all’estero ma anche per attrarre immigrati che sarebbero decisivi a patto di fornire condizioni lavorative e di inserimento congrue. Un orizzonte quasi utopico perché l’incertezza non è solo di chi cerca e trova lavori precari, ma anche delle stesse aziende.

La cassa integrazione

Salta agli occhi il dato sulle ore di cassa integrazione ordinaria richieste in via preventiva lo scorso anno: quasi 43 mila contro le 29 mila dell’anno precedente. «Anche al netto di dinamiche contingenti che possono aver aumentato la disparità fra i due anni – spiega ancora Pagano – la tendenza da parte degli imprenditori di mettere le mani avanti chiedendo ore di cassa integrazione conferma una difficoltà, data anche dal contesto geopolitico, a essere sicuri del proprio piano economico finanziario. E per la stessa ragione, fare contratti a tempo indeterminato spaventa un po’ di più». Indipendentemente da come andrà, il consiglio, per chi se lo può permettere, è scegliere anche la previdenza complementare. Il prima possibile.

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