Il docufilm «Civico 120» di Lorenzo Sepalone ricostruisce la tragedia di 25 anni fa a Foggia: 67 morti (con 62 corpi ritrovati e 5 dispersi) a causa della malaedilizia
«Il palazzo era nato morto. Un ossimoro che mi ha tormentato per anni. Perché significa non solo che sono state strappate via delle vite (…) ma anche che quegli anni vissuti insieme furono anni vissuti sull’orlo di un precipizio». Nello struggente racconto di Salvatore Taronna, sta tutta la ruvida ma inscalfibile bellezza del docufilm «Civico 120» di Lorenzo Sepalone.
Regista e interprete di «true stories» (parte del cast della serie “Qui non è Hollywood” di Pippo Mezzapesa), Sepalone si misura con la più grande tragedia dell’edilizia italiana. Il crollo di una palazzina di sei piani avvenuto in viale Giotto a Foggia l’11 novembre 1999, causando 67 vittime (62 corpi ritrovati, 5 dispersi) e incidendo nella memoria della città una ferita che si fa nuovamente largo tra i tessuti in occasione del venticinquesimo anniversario della strage.
La presentazione all’Università
Domani 8 novembre, «Civico 120» sarà presentato in anteprima (ore 20, aula magna Università di Foggia, in via Caggese) come introduzione delle celebrazioni in memoria delle vittime, ma superato il protocollo l’auspicio è che il docufilm si liberi dell’etichetta e torni alla missione per cui Sepalone sembra averlo girato: per farne una testimonianza di come soprattutto la carne lacerata si ostini a rigenerarsi. Sensazione che si tocca con mano quando il regista, verso il finale, chiede ai protagonisti di raccontarsi oltre la morte: come sono evolute le speranze, che strada hanno preso i sogni.
«Per quanto riguarda mia figlia Antonietta – racconta uno dei sopravvissuti che la notte del crollo era assente per lavoro, l’operaio Pino Padalino – mi ha dato tre nipoti splendidi. Io avevo tre figli che sono morti (nel crollo, ndr), adesso ho tre nipoti che hanno preso il posto dei miei figli». Quando si dice andare oltre. Nove i superstiti della più grande strage pugliese in tempo di pace, il loro racconto – che incarna dolore e ricordi di Salvatore Taronna, Pino Padalino, Valeria Capitaneo e Guerino Alessandrino – fissa le immagini a una dimensione emotiva da cui è impossibile staccarsi. Questa la ragione per cui quei superstiti – le loro voci, le loro facce – rappresentano la fiamma di una candela spesso bagnata ma mai spenta.
Dai bombardamenti (della guerra) al crollo del palazzo
Nel cuore di una città distrutta più volte da bombardamenti e terremoti, il crollo di uno stabile popolare ha rappresentato l’ennesima umiliazione di un destino eccessivamente baro: alle 3.12 della notte tra 10 e 11 novembre 1999, un edificio rimasto in piedi per miracolo («nato morto» per tornare alle parole di Taronna, riprese dalla perizia in sede di procedimento giudiziario) si accascia in 19 secondi passando un lenzuolo sopra le vite di chi c’era e squarciandone un altro su chi era altrove, mettendo a nudo miracoli inspiegabili come quello di Valeria Capitaneo (che aveva sempre dormito a casa dei suoi in viale Giotto, ma quella sera rimase a casa sua). «Ho dovuto capire – racconta – e farmi aiutare a capire, come mai proprio io fossi stata scelta per un altro destino, per vivere e non per morire com’è successo a tutti gli altri, a cominciare dalla mia famiglia».
La produzione
Civico 120 è stato prodotto dall’associazione Movimento ArteLuna col sostegno del Comune di Foggia, della Fondazione dei Monti Uniti e di diverse aziende del territorio. L’unico appunto che gli si potrebbe rivolgere è aver attinto all’archivio dell’emittente TeleNorba, trascurando l’esperimento senza precedenti di Teleradioerre. Per tutti i giorni dei soccorsi, l’emittente privata Teleradioerre piazzò una telecamera sul tetto di uno stabile di fronte al cratere del crollo, emulando la fissità di chi in fondo cerca solo speranza come fu per Alfredino Ciampi (Vermicino, 1981): quel patrimonio dovrebbe essere custodito dall’archivio del Comune di Foggia, sarebbe il posto più adatto per celebrare il sacrificio di chi dormendo ha trovato la morte e di chi sopravvivendo ha interpretato l’epica generosità dei foggiani (bello l’omaggio ad Agostino Laquaglia, l’operaio che non scese dalla ruspa per tre giorni e che in quella strage visse la nemesi della perdita dei suoi cari).
Per il resto il film racconta senza enfasi (voce narrante Dino La Cecilia) l’epilogo della stagione del cemento e la sepoltura dei sogni di gloria di una comunità che da allora in poi conobbe soprattutto umiliazioni. Tutto il peso morale di quel lutto poggiò sulle spalle dell’allora sindaco Paolo Agostinacchio: un peso che avrebbe fatto vacillare chiunque, e che invece trasformò un politico spesso burbero in un padre autentico. Anche questo è Civico 120, la costruzione di un sentimento che però non riuscì ad andare oltre le celebrazioni. La sfida del film potrebbe essere bucare il muro della retorica, scavare nell’antropologia dei perché.
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