Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 32767/2024, udienza dell’11 giugno 2024, ha precisato che, in tema di spese di giustizia, è inammissibile l’incidente di esecuzione proposto al fine di ottenere la rideterminazione delle spese processuali liquidate con la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato conseguente ad intervenuta oblazione, dovendo la domanda essere proposta dinanzi al giudice civile nelle forme dell’opposizione all’esecuzione forzata ex art. 615 cod. proc. civ.
Il collegio ha affermato infatti che la liquidazione ed il pagamento delle spese processuali costituiscono vicende del tutto autonome rispetto alla definizione del procedimento penale per oblazione.
In effetti, come già osservato dalla giurisprudenza, l’unica condizione processuale richiesta dall’art. 162-bis cod. pen., riguardante l’oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative, e applicato nel caso di specie, è che sia depositata una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista, ma non anche la somma relativa alle spese del processo (Sez. 3, n. 6293 del 10/04/1997, Rv. 208690 – 01).
Questa conclusione, la quale postula l’irrilevanza della liquidazione delle spese processuali e del loro versamento ai fini della definizione del procedimento penale per oblazione, oltre che fondata su un elemento testuale, è perfettamente coerente con il sistema.
La condanna al pagamento delle spese processuali, infatti, in linea generale, non presuppone la quantificazione delle stesse, poiché questa è effettuata sulla base di un distinto procedimento e di un autonomo provvedimento rispetto alla sentenza.
Invero, in materia di spese di giustizia, costituisce principio generale, fissato dall’art. 165 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, quello secondo cui la loro liquidazione «è sempre effettuata con ordine di pagamento del funzionario addetto all’ufficio se non espressamente attribuita al magistrato».
In particolare, per quanto concerne specificamente le spese per il consulente tecnico, ossia le spese non considerate nella sentenza di oblazione, e poi oggetto di correzione con il provvedimento impugnato in questa sede, viene in rilievo la disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 3, 168 e 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e dell’art. 15 d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.
Questa disciplina, precisamente, prevede che la liquidazione delle spettanze a favore dell’ausiliario del magistrato – ma anche a favore del custode e dell’impresa incaricata di effettuare demolizioni e riduzioni in pristino – è effettuata con decreto di pagamento motivato, avverso il quale il beneficiario e le parti processuali, compreso il PM, possono proporre opposizione al giudice civile specificamente indicato.
Sulla base di questa disciplina, la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite, ha più volte precisato che le doglianze di errata quantificazione delle spese processuali, sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna, debbono essere proposte al giudice civile nelle forme dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., e che il giudice penale erroneamente investito, nelle forme dell’incidente di esecuzione, della domanda del condannato di accertamento dell’inesistenza dell’obbligazione di pagamento di determinate partite delle spese processuali, deve dichiarare il non luogo a provvedere sull’istanza e non il difetto di giurisdizione, fermo restando che tale declaratoria non preclude, di per sé, la riproposizione della stessa istanza al giudice civile competente in materia di opposizioni all’esecuzione forzata (Sez. U, n. 491 del 29/09/2011, dep. 2012, Pislor, Rv. 251265 – 01, e Sez. 1, n. 50974 del 29/10/2019, Rv. 277866 – 01).
Né la disciplina generale appena richiamata può ritenersi derogata dalle disposizioni di cui agli art. 162 e 162-bis cod. pen., relative, rispettivamente, all’oblazione nelle contravvenzioni punite con la sola ammenda e all’oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative. Invero, le due disposizioni appena citate fanno riferimento, in termini assolutamente generali, al pagamento delle spese del procedimento, senza introdurre alcuna specificazione. Le due disposizioni indicate, piuttosto, servono a precisare che la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per oblazione comporta comunque, per l’imputato che è stato ammesso a tale forma di definizione del procedimento, l’obbligo di pagare le relative spese; e si tratta di puntualizzazione non superflua, se si considera che, ad esempio, è opposta la disciplina fissata dall’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., la quale esclude la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del procedimento nel caso di patteggiamento quando la pena irrogata non supera i due anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria.
Posto che la liquidazione ed il pagamento delle spese processuali costituiscono vicende del tutto autonome rispetto alla definizione del procedimento penale per oblazione, le determinazioni in ordine alla quantificazione delle stesse non possono che rimanere assoggettate alla disciplina loro specificamente riservata dall’ordinamento giuridico, diversa da quella relativa alla sentenza che dichiara l’estinzione del reato per tale causa, in quanto estranee al contenuto proprio di quest’ultima.
Ne discende, quindi, che il giudice penale, quando è investito con incidente di esecuzione della richiesta di rideterminare la misura delle spese del procedimento indicate nella sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per oblazione, deve limitarsi a dichiarare il non luogo a provvedere sull’istanza.
Di conseguenza, la decisione impugnata, il cui contenuto consiste nella rideterminazione della somma dovuta a titolo di spese del procedimento, in accoglimento dell’istanza proposta nelle forme dell’incidente di esecuzione, è errata, perché non avrebbe potuto essere in alcun modo adottata, e deve perciò essere annullata senza rinvio.
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